Innanzitutto sono pratiche fraudolente volte a imbrogliare i consumatori riguardo la natura, la qualità, la quantità o l'origine degli alimenti che acquistano. Esistono varie forme di frodi, tra cui:
sostituire un ingredienti costosi o di alta qualità con meno costosi e di qualità inferiore
modificare l'etichetta degli alimenti per far apparire il prodotto migliore
falsificare la data di scadenza
utilizzare additivi chimici vietati o non dichiarati per migliorare l'aspetto o il gusto
praticare la contraffazione di marchi registrati
Queste pratiche possono avere conseguenze pericolose per la salute dei consumatori, poiché gli alimenti possono essere contaminati da batteri, virus o altri agenti patogeni a causa delle tecniche fraudolente utilizzate. Inoltre, danneggiano l'economia, il commercio e la fiducia dei consumatori nella sicurezza degli alimenti che acquistano.
Per combattere le frodi alimentari, esistono numerose leggi e regolamenti (con quelli europei che sono i più restrittivi al mondo) per garantire che gli alimenti siano prodotti in modo sicuro e trasparente per il consumatore, e hai chimici e biologi degli organismi di controllo spetta il compito di eseguire ispezioni e test sui prodotti alimentari per assicurarsi che siano sicuri e rispettino i requisiti normativi.
Ora approfondiremo alcune categorie di cibi per comprenderne meglio gli aspetti più rilevanti:
POLLO
CARNI ROSSE
PESCE
LATTE
YOGURT
BURRO
MOZZARELLA
OLIO D'OLIVA
OLIO DI SEMI
PANE
La carne di pollame è ricca di proteine ad elevato valore biologico e di amminoacidi. Ha un basso contenuto di grassi, rappresentati soprattutto da acidi grassi polinsaturi (acido linoleico e linolenico) e colesterolo. Inoltre la carne di pollo, a causa del minor contenuto di tessuto connettivo, risulta più facilmente masticabile e digeribile. In Italia ci sono 18.500 allevamenti con una filiera che, con oltre 55mila addetti, comprende anche 400 stabilimenti per la produzione di mangimi, 174 macelli piccoli e grandi e oltre 500 stabilimenti per la trasformazione. L’Italia, con oltre 1,3 milioni di tonnellate di carni avicole, è uno dei principali produttori europei di pollame insieme a Germania, Spagna, Francia, Regno Unito e Polonia.
LEGISLAZIONE ITALIANA
Le norme di commercializzazione contenute nel regolamento 543/2008 si applicano a polli, tacchini, oche, anatre e faraone. L'art. 11 disciplina l'indicazione del tipo di allevamento (estensivo, al coperto...). Particolare attenzione è posta al tenore di acqua contenuto nelle carni, al fine di evitare possibili frodi e tutelare la qualità dei prodotti. A tal fine, il MIPAAF ha varato il DM 18 marzo 2002 con il quale viene disciplinata l'attività di controllo.
Regolamento 543/2008 recante modalità d'applicazione del regolamento (CE) n. 1234/2007.
DM 18 marzo 2002 - Attribuzione dei controlli sul tenore d'acqua.
Decreto Legislativo 27 ottobre 2011 n. 202.
DM 29 luglio 2004 - Etichettatura volontaria carni di pollame.
VALORI NUTRIZIONALI del pollo con pelle per 100 g (fonte: salute.gov.it)
Acqua: 69,5 g
Carboidrati: 0 g
Fibre: 0 g
Proteine: 19 g
Lipidi: 10,6 g
Colesterolo 93 mg
Calorie: 171 kcal
CONSERVAZIONE E TRATTAMENTO indicati dal ministero della salute
Conservare la carne cruda in frigo nei ripiani più alti, con temperature vicine a 5°C, per ostacolare la proliferazione di microrganismi ed evitare il contatto con altri alimenti (soprattutto se pronti per il consumo, come insalate e dessert).
Scongelare in frigo/forno a microonde in un adeguato contenitore che permetta la raccolta dei liquidi.
Manipolare la carne cruda su taglieri lavati impiegando acqua calda e detersivo.
Non lavare la carne prima della cottura. Eventuali schizzi di acqua contaminata da microrganismi nocivi quali il Campylobacter rimossi dalla carne stessa potrebbero diffondersi nell’ambiente, su utensili e alimenti, favorendo ulteriori contaminazioni.
Lavare accuratamente le mani con acqua e sapone per almeno 20 secondi dopo la manipolazione della carne cruda e cuocere bene la carne.
ANALISI
Procedure di campionamento ANSI/ASQC Z1.4 (ISO 2859-1) e le linee guide del World Health Organization. Food Code. Le analisi di laboratorio disponibili per i prodotti di carne e pollame includono:
Analisi microbiologiche:
Organismi indicatori: coliformi, specie di Enterobacter, Stafilococco, batteri dell'acido lattico, lievito e muffa
Agenti patogeni: Salmonella, Campylobacter, Listeria, E. coli, STEC
Analisi chimiche:
Contaminanti: pesticidi, antibiotici, farmaci, residui veterinari, metalli pesanti
Allergeni, compreso il glutine
Analisi approssimata (ceneri, grassi, proteine, umidità, sale)
Test nutrizionali e indicatori della qualità:
Profili nutrizionali completi (calorie, carboidrati, grassi e acidi grassi)
Minerali (calcio, ferro, fosfati, nitrato di sodio)
Percentuale di ossa
Acqua aggiunta, fosfati aggiunti
FRODI
La pratica più comune è l’aggiunta di acqua alle preparazioni a base di carne, come nuggets e cotolette. Questo fa sì che i produttori aumentino artificialmente e a costo zero il peso e, quindi il loro margine di guadagno. La pratica non ha nessuna conseguenza negativa sulla salute del consumatore, né sulle proprietà organolettiche, ma si tratta di una vera e propria frode in commercio. Tuttavia durante il processo di surgelazione la carne incorpora un certo quantitativo d’acqua, per cui il superamento dei limiti di legge potrebbe verificarsi in maniera accidentale.
In Italia il laboratorio nazionale di riferimento è identificato nell'ufficio di Modena dell'Ispettorato centrale repressione frodi. Questo laboratorio ha il compito di coordinare le attività dei laboratori incaricati di effettuare le analisi sul tenore in acqua delle carni di pollame, organizzare i controlli presso i destinatari della normativa comunitaria e nazionale del settore, provvedere alla diffusione presso le autorità interessate delle informazioni fornite dal laboratorio comunitario e dai laboratori di analisi, collaborare con il laboratorio comunitario. DM 29 luglio 2004 - Etichettatura volontaria carni di pollame.
Per carne rossa si intendono quelle carni derivanti da animali da macello adulti, come bue, cavallo, montone e di alcuni volatili, come faraona, oca, piccione e anatra. Questa classificazione deriva dal colore che assume la carne, che dipende dalla concentrazione di mioglobina (es. per un bovino adulto la conc. varia da 1,5 a 2,0%).
Composizione chimica
Acqua 75,8%
Proteine 20%
Sostanze estrattive 2%
Grassi1%
Sali minerali 1%
Ceneri>0,1%
Vitamine>0,1%
Frazione lipidica
Il contenuto di grasso nella carcassa è circa del 20%, di cui solo la metà risulta edibile. La carne magra di un bovino contiene dal 5 al 10% di grasso, che se sottoposta ad uno sgrassamento di tutta la parte visibile si riduce al 2%. Questa carne contiene circa il 5% di trigliceridi e l’1% di fosfolipidi altamente insaturi (all’incirca il 20% di questi hanno 4 o più legami). I grassi delle carni possono essere di tre tipi: sottocutaneo, intermuscolare o intramuscolare. Questo inizia ad accumularsi nell’addome o sotto la pelle, mentre il grasso muscolare si depone per ultimo. Quest’ultimo è definito marmorizzazione, ed è indice di qualità della carne. La quantità di grasso depositato deriva da numerosi fattori, tra i quali predisposizione genetica, età, genere, maturità sessuale, livello nutrizionale e esercizio fisico.
I lipidi sono essenzialmente triacilgliceroli. I lipidi nei muscoli differiscono nelle proprietà, in base alla composizione degli acidi grassi nei trigliceridi, in base alla specie dell’animale, alla dieta, all’età, al sesso e al peso. La dieta è particolarmente importante nelle specie monogastriche, dove riflette la composizione dei grassi della dieta. Nelle specie poligastriche, invece, i grassi insaturi sono idrogenati dall’idrogeno prodotto dai microrganismi del rumine, rendendo i grassi corporei più duri.
I grassi interni sono molto più duri di quelli sotto la cute, in quanto ,essendo la temperatura esterna più bassa, i grassi devono avere un punto di fusione inferiore per permettere la mobilizzazione. Il grasso interno, invece, deve avere una certa rigidità strutturale e il suo punto di fusione più alto.
I livelli di colesterolo variano dai 41 a 103 mg/100 g di parte commestibile con contenuto medio nel muscolo magro di 65-75 mg/100 g. l’estrazione di questi è fattibile con CO2 supercritica, ma non attuabile su scala commerciale.
Analisi di controllo qualità
Lo scopo del controllo delle carni è quello di individuare alterazioni nocive per la salute o ripugnanti e prevenire la trasmissione di malattie e la contaminazione delle carne. Pertanto la legge prescrive quali parti della carcassa esaminare e come, soprattutto in riferimento agli organi interni sensibili. In caso di dubbi, l’ispezione a occhio nudo viene integrata da ulteriori analisi chimiche e microbiologiche. Questo controllo avviene subito dopo la macellazione.
Frodi
Vendita di carni provenienti da animali ai quali sono state somministrate sostanze ad azione anabolizzante
Vendita di carni contenenti residui di medicinali utilizzati per la cura degli animali, il cui trattamento non è stato dichiarato o senza aver rispettato i tempi di sospensione prescritti prima della macellazione
Vendita di carni contenenti sostanze atte a migliorarne l'aspetto
Vendita di carni della stessa specie ma di qualità diversa
Vendita di tagli meno pregiati per tagli pregiati
Con il termine pesci, dal latino piscis, si intende un gruppo eterogeneo di organismi vertebrati fondamentalmente acquatici, coperti di scaglie e dotati di pinne, che respirano attraverso le branchie.
Le normativa che ne regolano il commercio sono divise tra norme di pesca o acquacoltura e norme per il mercato all’ingrosso dei prodotti ittici. Queste norme sono regolamentate in modo diverso per ogni provincia, ma fanno tutte riferimento a “La politica comune della pesca (PCP)” che consiste in una serie di norme per la gestione delle flotte pescherecce europee e la conservazione degli stock ittici. L'attuale politica comune europea della pesca si articola in quattro settori: gestione della pesca, politica internazionale, mercati e politica commerciale e finanziamento della politica della pesca, attraverso il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP).
Composizione alimento
Lipidi nei pesci
I pesci grassi, o pesci oleosi, sono pesci nei cui tessuti e cavità del tratto gastrointestinale è concentrata una quantità significativa di lipidi. Il loro filetto può contenere fino al 30% di grasso, anche se la quantità effettiva può variare sia tra specie diverse che tra individui della stessa specie. In questa categoria rientrano sia piccole specie di pesce foraggio, come sardine, aringhe e alici, che grandi predatori come salmoni, trote, tonni, pesce spada, sgombri e palamite.
La carne dei pesci oleosi — in particolare la sottocategoria dei pesci azzurri grassi è generalmente ricca di acidi grassi essenziali della serie omega-3: EPA e DHA. Tale contenuto è particolarmente accentuato nei pesci selvatici che vivono in acque fredde e salate.
Omega-3 nei pesci
Gli omega-3 (o PUFA n-3) sono una categoria di acidi grassi essenziali (come gli omega-6). Caratterizzati dalla posizione del primo doppio legame che, iniziando il conteggio dal carbonio terminale (carbonio ω ovvero carbonio n), occupa la terza posizione, da cui il termine Omega-3
DHA (Acido docosaesaenoico) e EPA (Acido eicosapentaenoico)
Sono ricchi di DHA i pesci oceanici di acque fredde. La maggior parte del DHA presente nei pesci e negli organismi complessi, che vivono nelle fredde acque oceaniche, proviene dalle alghe fotosintetiche; diventando sempre più concentrata negli organismi man mano che si sale lungo la catena alimentare. Il DHA è anche prodotta commercialmente da microalghe, Crypthecodinium cohnii che è un microrganismo del genere Schizochytrium. IL DHA prodotto utilizzando microalghe è di origine vegetale.
L'EPA viene assunto con la dieta mediante l'ingestione di alcuni pesci, come merluzzi, aringhe, sgombri, salmoni e sardine. Si trova anche nel latte materno umano.
L'EPA che si trova nei pesci, comunque, non viene prodotto naturalmente da essi, ma assunto a sua volta dalle alghe di cui si cibano. I vegetariani possono trovarlo in alcune fonti non-animali, come le microalghe. L'EPA solitamente non si trova nelle piante superiori, anche se è stata riportata una sua presenza in basse concentrazioni (<1%) nei semi di alcune varietà di quercia negli oli di cartamo e di Oenothera paradoxa oltre che nella portulaca oleracea.
LNA (locked nucleic acid)
Un acido nucleico bloccato ( LNA ), spesso indicato come RNA inaccessibile , è un nucleotide di RNA modificato in cui la porzione di ribosio viene modificata con un ponte aggiuntivo che collega il carbonio 2 'ossigeno e 4'.
Analisi prodotto
I prodotti ittici sono alimenti ad alto valore nutrizionale, importantissimi per una dieta sana ed equilibrata, tuttavia necessitano di particolari accorgimenti per la loro conservazione. Essendo molto sensibili al deperimento, tendono a sviluppare velocemente molecole tossiche e non che influiscono spesso sulla qualità salutare e organolettica del prodotto. Un adeguato monitoraggio quindi, assicura al consumatore cibo sano e di qualità.
I prodotti ittici possono provenire da una pesca naturale oppure da allevamenti ed entrambe le origini possono presentare problematiche diverse.
Al di là della qualità della carne, un pesce di allevamento a causa degli spazi ridotti e lo stress a cui è sottoposto è più soggetto a contrarre malattie che vengono solitamente trattate con antibiotici. Solitamente però, al pesce di allevamento prima di essere commercializzato, vengono sospese le cure antibiotiche una settimana prima, così da poter metabolizzare (emivita) e smaltire completamente i farmaci assunti.
Il pesce di mare invece, può presentare altre problematiche, come ad esempio la contaminazione da metalli pesanti (piombo e mercurio).
Altre problematiche salutistiche dei prodotti ittici si riscontrano nella fase di lavorazione e conservazione post mortem, in cui è facile raggiungere il deperimento e lo sviluppo di tossine se non vengono attuate le dovute precauzioni. Un accurato e costante controllo analitico è quindi doveroso a garanzia della salubrità dei prodotti. I parametri che solitamente si ricercano per un adeguato controllo sono:
PARAMETRI CHIMICI
Piombo, Mercurio, Solfiti (SO2), Inibenti, Istamina, Azoto Basico Volatile Totale (ABVT), Trimetilammina (TMA), Ossido di Trimetilammina (TMAO), Dialdeide Malonica (DMA).
PARAMETRI MICROBIOLOGICI
Ricerca di Vibrio parahaemolyticus, Ricerca di Listeria monocytogenes, Conta di Enterobatteriacee, Conta di Clostridi Solfito Riduttori, Conta delle Colonie a 30°C, Conta di Pseudomonas spp.
La ricerca di metalli pesanti quali Piombo e Mercurio è vincolata al rispetto dei valori-limite indicati nel Reg. CE 1881/2006 e s.m. La contaminazione dei prodotti ittici da parte di questi due metalli è dovuta essenzialmente all’inquinamento delle acque marine ed è variabile a seconda dell’età, del peso e dell’habitat in cui sono cresciuti.
I Solfiti (SO2) sono spesso utilizzati nel settore ittico come conservanti, sbiancanti ed antiossidanti. Il loro utilizzo è permesso e regolamentato dal Reg. UE 1129/2001 e s.m.
Le Sostanze Inibenti sono utilizzate come farmaci antibiotici solitamente negli allevamenti, in cui è facile per i pesci contrarre patologie che li renderebbero non commercializzabili.
L’Istamina è un’ammina biogena prodotta dal pesce in seguito alla sua degradazione ed è spesso causa di intossicazione alimentare (Sindrome Sgombroide). I livelli di Istamina dipendono dal quantitativo di amminoacidi presenti nel prodotto e si sviluppa per proliferazione batterica solitamente ad una temperatura superiore ai 6-10°C. Questa sostanza non altera né il colore, né l’odore, né il sapore dell’alimento, quindi l’unico metodo per rilevarne la presenza è tramite la determinazione analitica. Essendo una molecola termostabile, una volta formatasi, rimuoverla tramite una normale cottura non è possibile, infatti sarebbe necessario portare l’alimento a 116°C per 90 minuti. Il regolamento che disciplina ed impone valori-limite da rispettare per questa sostanza è il Reg. UE 2073/2005 e s.m. Per farsi un idea, il livello di Istamina nel pesce fresco non supera lo 0,1 mg/kg mentre i limiti di legge variano da 200 a 400 mg/kg. L’unica tecnica analitica al momento riconosciuta dalla legge è l’HPLC (High Performance Liquid Chromatography).
L’Azoto Basico Volatile Totale (ABVT) è indicato nel Reg. CE 854/2004 e s.m. come Indice di Freschezza per i prodotti ittici. La presenza di azoto nel pesce è solitamente di tipo proteico, tuttavia durante lo stoccaggio, quando hanno inizio reazioni enzimatiche di origine batterica, possono formarsi frazioni azotate di tipo volatile. Mediante il Reg. UE 2074/2005 e s.m., la legge individua le specie ittiche per le quali sono imposti dei valori-limite da rispettare
La Trimetilammina (TMA) è una base azotata volatile, prodotta nella fase post mortem del pesce dalla degradazione dell’Ossido di Trimetilammina (TMAO). La quantità di Trimetilammina nel pesce appena pescato è praticamente assente e la sua produzione (tramite reazioni enzimatiche batteriche) è direttamente collegata ai livelli di Ossido di Trimetilammina (TMAO), naturalmente presente nel prodotto. La TMA è il principale indicatore dello sgradevole “odore di pesce“.
L’Ossido di Trimetilammina (TMAO) è un composto azotato non proteico, presente nei tessuti muscolari dei pesci ed introdotto da questi tramite l’alimentazione (alghe), come prodotto di scarto metabolizzato dall’ammoniaca e da composti trimetilati (Carnitina, Colina, Betaina e Metionina). Solitamente, a livelli elevati di TMAO corrisponde un ottimo stato di conservazione del prodotto, soprattutto se associato alla scarsa presenza di TMA.
La Dialdeide Malonica (DMA) è un composto idrosolubile, presente nei tessuti muscolari dei pesci, prodotta in seguito all’ossidazione lipidica. Il pesce, essendo ricco di grassi polinsaturi a lunga catena (C20 e C22) è molto soggetto a fenomeni di autossidazione, di cui la DMA è un ottimo indicatore, permettendoci di conoscere il livello di invecchiamento del prodotto. Questo composto, già in quantità modestissime, è capace di trasmettere uno sgradevole sapore amarognolo-pungente.
FRODI
Le frodi alimentari possono rientrare in due distinte tipologie di classificazione: le frodi sanitarie e le frodi commerciali. Le frodi sanitarie si concretizzano nel tentativo fraudolento dell’OSA di porre in commercio alimenti alterati che possono risultare pericolosi per la salute del consumatore o in cattivo stato di conservazione, mascherando le eventuali alterazioni di colore, odore, sapore e consistenza con trattamenti illeciti. La frode sanitaria, nella sua espressione più grave, viene inquadrata come frode tossica (artt. 1-5-6, Legge 283/62). Le frodi sanitarie vengono messe in atto utilizzando sostanze coloranti, aromatiche, inibenti, additivi, coadiuvanti tecnologici e altri trattamenti specifici che rendono più difficile l’individuazione dello stato di alterazione del prodotto. In via generale, la frequenza delle frodi sanitarie è molto limitata rispetto a quelle commerciali, poiché il rischio e le conseguenze di natura penale per l’OSA sono di tale gravità che non giustificano i vantaggi di natura economica che derivano da questo tipo di azione fraudolenta. Le frodi commerciali, al contrario, sono molto più frequenti in quanto l’aspetto economico ha una notevole rilevanza e vengono poste in atto, a volte, anche senza incidere sugli aspetti di sicurezza alimentare. Possono consistere nel far aumentare il peso del prodotto mediante l’aggiunta di sostanze innocue come acqua, ghiaccio, proteine, amidi, fibre vegetali, ecc… Altre volte, come ad esempio nei prodotti ittici, ci può essere la sostituzione di specie più pregiate con altre di minor valore commerciale (totano per calamaro; pagro per dentice; platessa per sogliola…). In altri casi, sempre nel settore ittico, vengono date informazioni non corrette sul metodo di produzione, sulle zone di pesca e/o di allevamento, che inevitabilmente traggono in inganno il consumatore.
Una delle prime cose da controllare sono gli occhi, che devono essere rotondi e sporgenti verso l’esterno, brillanti, con le cornee trasparenti e le pupille nere. Un altro indizio importante sono le branchie, che devono avere un colore rosso vivo, senza presenza di muco e odori sgradevoli. La pelle deve essere di colore vivo, non ci devono essere decolorazioni e la presenza di muco cutaneo (presente naturalmente sulla superficie del pesce) acquoso e trasparente è indice di freschezza. Inoltre la carne deve essere compatta ed elastica, le squame devono essere aderenti alla pelle. Infine il peritoneo nei pesci freschi aderisce alla carne e la colonna vertebrale si spezza invece di staccarsi.
Dal pesce decongelato venduto per fresco, pesce allevato venduto come pesce selvatico e dalla consumazione di pesce crudo che non ha subito un processo di congelazione, è molto importante (per evitare il rischio di contrarre il parassita Anisakis, che viene ingerito dall’uomo sotto forma di larva e comporta problemi anche gravi) consumarlo cotto oppure congelarlo personalmente per un tempo non inferiore alle 96 ore (4 giorni).
È un liquido bianco secreto dalla ghiandola mammaria delle femmine dei mammiferi.
Chimicamente è un colloide, precisamente un’emulsione di olio in acqua, con globuli di grasso di dimensioni molto variabili, da 0,1 a oltre 10 μm, in più sono presenti altre macromolecole. Il colore bianco è dovuto al diverso indice di rifrazione dei grassi rispetto a quello dell’acqua.
Dal punto di vista tecnico-legale viene distinto in:
1. Latte ad uso alimentare umano (latte vaccino)
2. Latte ad uso caseario
3. Latte ad uso alimentare animale
La produzione e la commercializzazione del prodotto è vincolata alla normativa UNI EN ISO 22000 Sistemi di gestione per la sicurezza alimentare - Requisiti per qualsiasi organizzazione nella filiera alimentare del 2005.
INTRODUZIONE
Il suo scopo è quello di dare nutrimento ai cuccioli e sostenere il loro sistema immunitario nella prima fase di vita. Per questo contiene, in diverse quantità, tutti i tipi di nutrienti (macromolecole) e in più parte degli anticorpi del sistema immunitario della madre che lo ha prodotto.
In Italia per “latte” si intende quello vaccino, mentre risulta obbligatoria la specificazione per le altre varianti: latte bufalini, pecorino, caprino e di asino.
Il gusto del latte vaccino dipende dall’alimentazione dell’animale che lo produce, differenziandone così la qualità del latte d’alpeggio e di pascolo libero dagli altri. Oggigiorno gli allevamenti intensivi attuano un’alimentazione costante ad alta produttività ottenuta da misture di diversi nutrienti, prediligendo le vacche
di “pezza” più produttive, cioè a pezza marrone piuttosto che nera (tipica italiana). Più intensivo è il trattamento termico per la conservazione minore è il contenuto aromatico del latte. L’omogeneizzazione dei grassi d’altra parte incide solo sugli aspetti tattili.
In generale la qualità decresce nei tipi:
- Latte crudo
- Latte fresco
- Latte fresco microfiltrato
- Latte pastorizzato
- Latte UHT
- Latte sterilizzato
- Latte ad alta digeribilità
A seconda della specie, ma anche da donna a donna, c’è una variabilità di composizione del latte che dipende
sia dall’alimentazione ma anche in funzione dell’esigenza del nascituro.
COMPOSIZIONE DEI NUTRIENTI DEL LATTE DI DIVERSI MAMMIFERI
Specie Acqua % Residuo secco % Proteine % Lipidi % Lattosio % Ceneri %
Donna 87,6 12,4 - 12,6 1,1 - 2 3,7 - 4,5 6,4 - 6,8 0,2 - 0,3
Vacca 87,3 12,2 - 12,7 3,1 - 3,4 3,5 - 3,7 4,9 - 4,9 0,7 - 0,7
Bufala 82,3 17,7 - 21,5 5,1 - 5,9 7,5 - 10,4 4,3 - 4,4 0,7 - 0,8
Pecora 83,6 16,3 - 16,4 5,1 - 5,5 4,3 - 6,2 4,2 - 4,6 0,9 - 0,9
Capra 86,8 12 - 13,2 3,1 - 3,8 3,5 - 4 4,6 0,8 - 0,8
Asina 90,1 9,9 - 10,2 1,7 - 1,8 1,2 - 1,4 6,2 - 6,9 0,5 - 0,5
Cavalla 90,6 9,4 - 11 2 - 2,7 1,1 - 1,6 5,9 - 6,1 0,4 - 0,5
Cagna 75,4 20,7 - 24,6 9,5 - 11,2 8,3 - 9,6 3,1 -3,7 0,7 - 1,2
Cammella 86,5 13,5 - 14,4 3,7 - 4 3,1 - 4,9 5,1 - 5,6 0,7 - 0,8
Lipidi: principale fonte di energia, generalmente sottoforma di trigliceridi.
Glucidi: seconda fonte energetica, soprattutto il lattosio che è il composto più attivo dal punto di vista osmotico. La loro concentrazione più o meno costante tra le specie. La quantità di latte è proporzionale alla quantità di lattosio sintetizzata.
Proteine: principalmente caseina, la loro concentrazione è inversamente proporzionale alla concentrazione di glucidi.
Altro: il latte contiene anche, in piccole quantità, minerali, vitamine, sostanze aromatiche (in termini di gusto e odore), cellule somatiche e batteri.
TRATTAMENTI INDUSTRIALI DEL LATTE
Il latte crudo può essere sottoposto ad alcuni trattamenti preliminari prima delle procedure di sterilizzazione.
❖ Scrematura
Con la centrifugazione le particelle più pesanti sedimentano sul fondo e vengono allontanate, mentre le parti più leggere vengono separate (scrematura) e poi rimescolate al latte per ottenere una determinata percentuale di grasso. La "scrematura" si effettua a una temperatura di circa 55 °C, ottenendo la completa separazione della parte grassa (la panna). Più è lunga e intensa, migliore è la separazione. Per rimiscelazione in linea della panna si ottengono i titoli di grasso legali: - < di 0,5% per il "latte scremato" - tra 1,5 e 1,8% per il latte "parzialmente scremato" - > 3,5% per il latte "intero" È definito come "latte" tal quale il latte che non ha subito trattamenti di scrematura né trattamenti termici.
❖ Omogeneizzazione
L'omogenizzazione è utilizzato per ridurre ed omogeneizzare le dimensioni dei globuli di grasso, aumentando la stabilità dell'emulsione ed evitando o rallentando il cremaggio del grasso del latte alimentare. Il latte viene fatto passare ad alta pressione attraverso una particolare valvola (omogeneizzatrice) in grado di spezzare i globuli di grasso e di disperderli uniformemente nel latte. Il prodotto diventa più facilmente digeribile per il consumatore, al quale è garantita uguale percentuale di grasso nel periodo di consumo.
❖ Raffreddamento
Il primo trattamento avviene nella sala mungitura. Qui il latte, che esce dalle mammelle delle mucche con una temperatura di 37 °C circa, viene convogliato in un serbatoio dove è raffreddato entro tempi fra i 20 e 460 minuti, e conservato a 4-6 °C. Con questa temperatura i batteri che hanno inquinato il latte dall'uscita della mammella in poi, si riproducono più lentamente. Poi il latte viene trasferito sulle autobotti isoterme (coibentate), che lo trasportano ai caseifici per la trasformazione in prodotto finito.
❖ Pastorizzazione
Grazie alle scoperte del chimico francese Pasteur, riguardanti l'uccisione delle brucelle con il calore (circa 70 80 °C), è possibile riscaldare il latte a temperature capaci di uccidere i microbi patogeni. Durante la pastorizzazione "il latte viene fatto passare per tubi di uno scambiatore di calore per circa 30 secondi". Questo trattamento riduce notevolmente la carica batterica, causando minime variazioni organolettiche e nutrizionali, compensate largamente dalle condizioni di sicurezza igienica. Tutti i trattamenti si concludono con il raffreddamento a 4 °C per ridurre lo sviluppo dei batteri; a questa temperatura il latte fresco si conserva per 6 giorni.
❖ Pastorizzazione rapida HTST (High Temperature Short Time)
Il latte, a seguito di preriscaldamento, è portato velocemente a una temperatura minima di 72 °C per almeno 15 secondi. Tale pastorizzazione è resa possibile tramite una riduzione in strato sottile del latte che viene fatto passare tra piastre riscaldate (stassanizzazione). La stassanizzazione sfrutta il fenomeno in cui le cellule batteriche attratte verso la superficie della piastra di scambio termico: ciò provoca un moto turbolento del liquido che garantisce uno scambio termico efficiente e uniforme. Questa temperatura uccide circa il 96% dei batteri. Il latte che ha subito tale trattamento può definirsi "fresco" e deve risultare "fosfatasi negativo" e "perossidasi positivo".
❖ Trattamento UHT (Ultra High Temperature)
È una particolare tecnica di sterilizzazione che consiste nel trattare il latte omogeneizzato e preriscaldato ad almeno 135 °C attraverso l'impiego di vapore acqueo surriscaldato per non meno di un secondo. Si parla di UHT a sistema "indiretto" quando la sterilizzazione del latte avviene tramite scambiatori di calore, mentre viene detto UHT "diretto" quando la sterilizzazione del latte avviene in contatto diretto con il fluido riscaldante cioè il vapore acqueo. In genere il trattamento diretto (circa 140 °C per 2-4 secondi) dà luogo a un prodotto organoletticamente migliore del trattamento indiretto per un minore "effetto termico". Successivamente si raffredda il latte a 15-20 °C e si procede entro impianti sterili chiusi, in flusso continuo, al confezionamento asettico del latte in contenitori sterilizzati in linea (brik, bottiglie in HDPE o PET) che vengono chiusi ermeticamente. La condizione di ermeticità del contenitore è condizione essenziale della lunga conservazione. Anche il trattamento UHT non garantisce la distruzione delle spore più resistenti: la sterilità commerciale viene definita come "assenza di microorganismi capaci di riprodursi e recare danni al prodotto nelle usuali condizioni di conservazione a temperatura ambiente" (stabilità microbiologica). Il latte UHT è considerato a "lunga conservazione" e si può conservare per circa 3-6 mesi a temperatura ambiente. Le confezioni dei vari tipi di latte sterilizzato UHT devono riportare il termine minimo di conservazione "da consumarsi preferibilmente entro..." (giorno, mese, anno). Ciò significa che anche dopo la data di scadenza, per un tempo ragionevole, il prodotto può essere consumato, nonostante le qualità organolettiche possono risultare alterate.
❖ Sterilizzazione
È il trattamento termico più energico, che assicura la completa eliminazione di tutti i batteri, anche delle spore. Il latte così sterilizzato ha una lunga conservazione a temperatura ambiente, anche oltre i 6 mesi. Il processo è costituito da un trattamento flash, per circa 3 secondi ad una temperatura di 140°, seguito da riempimento e sigillazione del contenitore con successiva sterilizzazione in autoclave del contenitore chiuso. Tuttavia, una volta che si è aperto un contenitore di latte sterilizzato (al pari dell'UHT) è necessario tenerlo in frigorifero e consumarlo entro pochi giorni; infatti potrebbe venire a contatto con i microrganismi presenti nell'ambiente.
La sterilizzazione elimina la maggior parte dei batteri presenti nel latte che potrebbero nuocere al nostro organismo Il latte sterilizzato è rilevantemente più sicuro del latte UHT dal punto di vista batteriologico, ma ha subito un danno organolettico oggi non più accettato nella maggioranza dei casi, rispetto al latte UHT. Tale latte ha avuto il merito di rendere disponibile l'assunzione di un alimento così importante a fasce di popolazione vaste, allora poco raggiungibili dal "latte fresco". Dal punto di vista commerciale ha ormai una scarsa rilevanza poiché, oltre ai contenuti nutrizionali, anche il sapore risulta piuttosto alterato: è quindi principalmente destinato all'esportazione in paesi con condizioni sociali e climatiche difficili.
❖ Microfiltrazione
La microfiltrazione del latte è un trattamento puramente meccanico, con filtrazione molto sottile attraverso membrane ceramiche a maglie di 1-2,5 micron: questa filtrazione, in grado di separare fisicamente i microbi dal latte, viene praticata sulla sola frazione magra del latte senza interagire con le componenti nutritive in esso contenute.
❖ Latte delattosato
I vari prodotti denominati latti HD, alta digeribilità, e relativi differenti nomi commerciali, sono indicati ai soggetti che non possiedono l'enzima lattasi o ne sono temporaneamente deficitari per alterazioni intestinali, e non possono scindere il lattosio nei costituenti. Il lattosio, zucchero del latte, viene trasformato negli stabilimenti in due zuccheri semplici che costituiscono il disaccaride: glucosio e galattosio, per azione dell'enzima lattasi. L'intolleranza al latte è dovuta alla mancata scissione in monosaccaridi del lattosio; quest'ultimo, attraverso fenomeni osmotici, richiama liquidi nell'intestino crasso determinando disagi intestinali quali meteorismo e scariche diarroiche.
FRAZIONE LIPIDICA E CARATTERISTICHE CHIMICO-FISICHE
Principalmente grassi saturi, si trovano spesso sottoforma di trigliceridi; la variabilità della loro distribuzione è interspecifica e intraspecifica e vi sono differenze anche per stadio di lattazione, stagione, alimentazione. Sono presenti anche digliceridi, fosfolipidi e steroli (colesterolo) che stabilizzano l’emulsione.
ACIDI SATURI ACIDI INSATURI
A. butirrico Butanoico C4:0 A. caproleico cis-9-decanoico C10:1
A. caproico Esanoico C6:0 A. miristoleico cis-9-tetradecenoico C14:1 ω5
A. caprilico Ottanoico C8:0 A. palmitoleico cis-6-esadecenoico C16:1 ω7
A. caprico Decanoico C10:0 A. petroselinico cis-6-ottadecenoico C18:1 ω6
A. laurico Dodecanoico C12:0 A. oleico cis-9-ottadecenoico C18:1 ω9
A. miristico Tetradecanoico C14:0 A. elaidinico trans-9-ottadecenoico C18:1 ω9
A. palmitico Esadecanoico C16:0 A. vaccenico trans-11-ottadecenoico C18:1 ω11
A. stearico Ottadecanoico C18:0 A. linoleico cis,cis-9,12-octadecadienoico C18:2
Distribuzione tipica degli acidi grassi nei più comuni latti per utilizzo lattiero-caseario
Acido grasso Notazione breve Vacca Bufala Pecora Capra
acido butirrico 04:00 4.8 4.8 4.4 3.8
acido caproico 06:00 2.4 2.3 2.9 2.8
acido caprilico 08:00 1.2 1.1 2.6 2.7
acido caprico 10:00 2.6 1.9 7.1 8.3
acido laurico 12:00 3.0 2.5 3.9 3.5
acido miristico 14:00 10.7 10.4 9.9 9.1
acido palmitico 16:00 28.5 29.3 23.2 23.6
acido palmitoleico 16:01 1.2 1.6 1.0 0.6
acido stearico 18:00 11.9 13.4 11.4 11.3
acido oleico 18:01 23.4 23.9 24.1 24.9
acido linoleico 18:02 2.2 2.4 3.2 2.8
acido linolenico 18:03 0.5 0.3 0.6 0.6
acido rumenico 18:2coniugato 0.7 0.6 1.0 0.9
ANALISI CONTROLLO & QUALITÁ
Le analisi ordinarie su campioni di latte sono:
- Misurazione del peso specifico del latte e del siero (dipende dalle sostanze in soluzione e sospensione quali acqua, grassi e residui)
- Determinazione del tenore in materia grassa/secca/secca magra (consente di dare indicazioni sullo stato di scrematura)
- Valutazione del tenore di proteine totali e di caseina
- Valutazione del tenore di lattosio
- Determinazione del valore di pH (evidenzia lo stato di freschezza del latte. Questo valore è importante per stabilire la fabbricazione di burro, yogurt o formaggio)
- Determinazione dell’acidità titolabile o totale (il latte possiede una propria acidità naturale che tende ad aumentare subito dopo le fasi di mungitura per via della fermentazione del lattosio e dell’acido lattico)
- Determinazione dell’indice crioscopico (punto di congelamento) e del peso specifico (indice di annacquamento) del latte. Queste misurazioni dipendono dalle sostanze che vi si trovano in soluzione quali, acqua, grassi, residui. Tale indice tende a variare in base alle stagioni. Tale indice è importante per stabilire se il latte è stato annacquato e in quale misura
- Misurazione coliformi totali Il latte e i prodotti lattiero-caseari suoi derivati devono essere sottoposti a campionamento e ad analisi microbiologiche, chimiche, fisiche e sensoriali, secondo quanto disposto dal Regolamento CE 853/2004 che stabilisce norme specifiche in maniera di igiene per gli alimenti di origine animale.
FRODI
La frode alimentare si suddividono in frode sanitaria e frode commerciale e vengono definite in:
- Sofisticazione: operazione che consiste nell'aggiungere all'alimento sostanze estranee che ne alterano l'essenza, corrompendo o viziando la composizione naturale e simulandone la genuinità con lo scopo di migliorarne l'aspetto o di coprirne difetti (termine assente nel c.p.). aggiungere al prodotto sostanze estranee. Nel caso del latte (in cui si possono addizionare sia sostanze idrosolubili sia liposolubili) lo si può allungare con acqua e poi addensare con sale.
- Adulterazione: aggiungere al prodotto sostanze estranee. Nel caso del latte (in cui si possono addizionare sia sostanze idrosolubili sia liposolubili) lo si può allungare con acqua e poi addensare con sale. Oppure utilizzare caseina per la produzione dei formaggi.
- Alterazione: quando la sua composizione originaria si modifica a causa di fenomeni degenerativi spontanei, determinati da errate modalità o eccessivo prolungamento dei tempi di conservazione.
- Contraffazione: consiste nel formare ex novo un alimento con l'apparenza della genuinità in quanto prodotto con sostanze diverse, per qualità o quantità, da quelle che normalmente concorrono a formarlo.
In particolare per il latte:
- annacquamento con o senza salagione e scrematura;
- ricostituzione di latte in polvere;
- latte inacidito neutralizzato con l’aggiunta di alcali;
- aggiunta di acqua ossigenata (H2O2) per ridurre la carica batterica elevata.
Lo yogurt è un alimento dal sapore gradevolmente acidulo ottenuto dalla fermentazione del latte ad opera di determinati batteri, in particolare Lactobacillus Bulgaricus e Streptococcus thermophilus. In Italia, solo il latte di origine animale derivante dalla fermentazione di queste due specie batteriche può essere etichettato come yogurt. Come tutti i latticini, la produzione dello yogurt è vincolata alle normative UNI EN ISO 22000, normativa del 2005 che regolamenta le filiere produttive dei prodotti di origine animale e il regolamento CE 853/2004, che stabilisce le norme igieniche che devono essere seguite.
Composizione
I valori nutrizionali dello yoghurt variano in base alla tipologia; in particolare, esistono tre tipologie di yoghurt:
Intero, se la materia grassa del prodotto finito è superiore al 3%
Parzialmente scremato, se la materia grassa assume un valore di 1.5–1.8%
Magro, se la materia grassa è minore del 1%
In generale, 100 g di yogurt intero naturale forniscono all’organismo 66 calorie; 3,8 g di proteine; 3,9 g di grassi; 4,3 g di carboidrati; 100 g di yogurt parzialmente scremato forniscono 43 calorie; 3,4 g di proteine; 1,7 g di grassi; 3,8 g di carboidrati; e infine, 100 g di yogurt magro 36 calorie; 3,3 g di proteine; 0,9 g di grassi; e 4 g di carboidrati. Tuttavia, questi valori possono cambiare leggermente se al prodotto finito vengono aggiunti altri ingredienti, ad esempio frutta e aromi, che in ogni caso non andranno a costituire più del 30% del prodotto finito.
Frazione lipidica
La frazione lipidica dello yogurt dipende esclusivamente da quella del latte utilizzato, in quanto i processi di produzione non hanno un grande impatto sulla materia grassa del latte.
La frazione lipidica è costituita per il 97-98% da trigliceridi, e per il restante 2-3% da fosfolipidi e steroli. I primi determinano le proprietà chimico-fisiche della frazione lipidica e fungono da solvente per le altre due tipologie di grassi. Inoltre, sono perlopiù costituiti da acidi grassi saturi a catena medio-corta che sono responsabili del particolare sapore dei formaggi e rendono il latte altamente digeribile, più una piccola quantità di acidi grassi insaturi, principalmente acido oleico. Invece, i fosfolipidi e gli steroli svolgono una funzione importante nella membrana dei globuli di grasso, aggregati in cui si presenta la frazione lipidica del latte che si trovano in emulsione con la fase acquosa.
Produzione
Il processo di produzione dello yogurt dura circa tre ore, e prevede sei passaggi fondamentali. In primo luogo si ha la fase di standardizzazione, in cui il latte raccolto viene portato ad una concentrazione di grassi e proteine omogenea, in quanto le concentrazioni possono variare in base all’età, alla specie, alla stagione di mungitura e all’alimentazione. Si passa poi alla fase di omogeneizzazione, in cui i globuli di grasso vengono scissi in particelle più piccole per aumentarne la dispersione all’interno della miscela e la digeribilità. La terza fase consiste nella pastorizzazione (vedi foto a fianco), ovvero nella sterilizzazione del latte e nella denaturazione delle proteine in esso contenute per facilitare la fase successiva. Per pastorizzare il latte, questo viene portato indicativamente alla temperatura di 90°C per cinque minuti; una volta passato questo lasso di tempo, il prodotto viene portato alla temperatura di 40°C e vengono inoculati i batteri necessari per la fase di fermentazione. Lasciando a riposo la miscela, questa diventa man mano più densa. Nel frattempo il lattosio viene trasformato in acido lattico, che aumenta l’acidità fino del prodotto portando alla formazione di un coagulo, ad un pH ideale di 4.2-4.6. Una volta che si è formato il coagulo, lo yogurt viene messo sotto agitazione per renderlo cremoso e causare la rottura del coagulo, allo scopo di avere un prodotto omogeneo, e per finire lo si porta alla temperatura di 4°C per fermare l’attività dei batteri. A questo punto si passa alla fase finale di confezionamento, condotta in modo tale che il prodotto finito non subisca contaminazioni dall’ambiente circostante. In questa fase è possibile aggiungere eventuali preparati alla frutta. Se condotta correttamente, lo yogurt può essere conservato per 35-40 giorni senza l’aggiunta di conservanti.
Analisi e frodi alimentari
Le analisi condotte sullo yogurt vengono effettuate sia sulla materia prima (ovvero il latte), sia sul prodotto lungo le fasi di lavorazione. Le analisi condotte sono:
Peso specifico del latte
Tenore di materia grassa
Proteine totali e di caseina
Quantità di lattosio
Acidità
Determinazione dell’indice crioscopico
Quantità di fermenti lattici totali
Queste analisi sono necessarie affinché il produttore possa fornire un prodotto sano e sicuro ai consumatori, e permette di determinare anche le caratteristiche dello yogurt che verranno poi riportate sulla confezione: ad esempio, il peso specifico ci permette di determinare la composizione del latte in termini di acqua, lipidi e residui, mentre il tenore di materia grassa ci consente di determinare se il prodotto finito sarà intero, parzialmente scremato o magro.
Inoltre, le analisi possono anche essere usate per smascherare eventuali frodi alimentari. Quest’ultime possono sia indicare il mancato rispetto delle norme specifiche della produzione di un dato alimento che una falsa dichiarazione sul prodotto allo scopo di poterlo rivendere a un prezzo maggiore. In particolare, si possono avere:
Le frodi sanitarie, che possono essere dirette se compromettono gravemente la salute del consumatore o indirette se agiscono sulla salute in maniera lieve oppure sul lungo periodo
Le frodi commerciali, in cui un prodotto di bassa qualità viene rivenduto come un prodotto di qualità maggiore oppure se un prodotto non rispetta le regole imposte sulla sua produzione
Nello specifico, abbiamo quattro tipi di frodi alimentari
Alterazione: la qualità del prodotto si altera spontaneamente a causa di metodologie per la conversazione errate oppure di un’eccessivamente prolungata data di scadenza
Contraffazione: un prodotto viene venduto sotto una determinata denominazione sebbene sia stato realizzato con materiali totalmente o parzialmente diversi
Sofisticazione: delle sostanze estranee vengono aggiunte per coprire dei difetti nel prodotto o per migliorare il suo aspetto
Adulterazione: in un prodotto vengono aggiunte sostanze che possono anche essere pericolose per l’essere umano
Le frodi attuate sullo yogurt sono strettamente collegate a quelle effettuate sul latte, ovvero:
annacquamento del latte
rivendita di latte scremato sotto la denominazione di latte intero
utilizzo di latte in polvere ricostituito al posto di latte fresco
aggiunta di alcali per neutralizzare il latte inacidito
aggiunta di acqua ossigenata per ridurre un’eventuale carica batterica elevata.
In aggiunta a queste, ci possono essere il mancato rispetto delle normative di conservazione dello yogurt ed eventuali alterazioni delle concentrazioni dei componenti.
Per smascherare le prime cinque frodi, è possibile ricorrere a misure del peso specifico, a misure di determinazione dell’indice crioscopico e alla determinazione del tenore di massa grassa, mentre per quanto riguarda le misure specifiche dello yogurt si possono utilizzare anche gli altri tipi di analisi per verificarne la qualità.
Codice TARIC NC 0405101120) prodotto ottenuto direttamente dalla crema di latte o panna, avente un tenore di materie grasse del latte uguale o superiore all'80 % ma inferiore al 90 %, un tenore massimo di acqua del 16 % ed un massimo del 2 % di materie secche e non grasse del latte. Anche se non specificato dalla normativa, il 2% rimanente è costituito dal sale nella versione salata del burro. qualora non lo sia il tenore di grasso deve essere minimo all’82%;
Etichetta nutrizionale per 100 g di Burro
Valore energetico (calorie) 717 kcal
Proteine 0,85 g
Carboidrati 0,06 g
zuccheri 0,06 g
Grassi 81,11 g
saturi 51,368 g
monoinsaturi 21,021 g
polinsaturi 3,043 g
colesterolo 215 mg
Fibra alimentare 0 g
Sodio 11 mg
Alcol 0 g
100 g di Burro apportano circa 717 calorie (0% carboidrati, 0,5% proteine, 99,5% grassi). Per poter utilizzare ai fini commerciali la dicitura “tradizionale” il burro deve essere fabbricato e confezionato in stabilimenti autorizzati. Per ottenere il riconoscimento ai sensi dell’ art. 4 del regolamento (CE) n. 105/2008 lo stabilimento deve rispettare le seguenti condizioni:
riconoscimento a norma dell’art. 4 del regolamento (CE) n. 853/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio e facoltà di disporre di idonei impianti tecnici;
tenuta dei registri aggiornati, nei quali figurano il fornitore, l’origine delle materie prime, i quantitativi di burro fabbricati, il confezionamento, l’identificazione e la data di uscita di ogni partita di produzione;
disponibilità a sottoporre la produzione di burro alle ispezioni da parte dei funzionari dell’AVEPA; Pagina 6 di 12
impegno a comunicare all’AVEPA, con un anticipo di almeno due giorni lavorativi, il programma di fabbricazione del burro;
FRAZIONE LIPIDICA BURRO TRADIZIONALE
Lipidi
Grassi saturi 51,368 g
C4:0 - Acido butirrico 3,226 g
C6:0 - Acido caproico 2,007 g
C8:0 - Acido caprilico 1,19 g
C10:0 - Acido caprinico 2,529 g
C12:0 - Acido laurico 2,587 g
C14:0 - Acido miristico 7,436 g
C16:0 - Acido palmitico 21,697 g
C17:0 - Acido margarico 0,56 g
C18:0 - Acido stearico 9,999 g
C20:0 - Acido arachico 0,138 g
Grassi monoinsaturi 21,021 g
C16:1 - Acido palmitoleico 0,961 g
C16:1 cis 0,961 g
C18:1 - Acido oleico 19,961 g
C18:1 cis 16,978 g
C18:1 trans - Acido elaidico 2,982 g
C20:1 - Acido gadoleico 0,1 g
C22:1 - Acido erucico 0 g
Grassi polinsaturi 3,043 g
C18:2 - Acido linoleico 2,728 g
C18:2 omega 6 cis, cis 2,166 g
C18:2 - Acido linoleico coniugato (CLA) 0,267 g
C18:2 (altri isomeri) 0,296 g
C18:3 - Acido linolenico 0,315 g
C18:3 omega 3 - Acido alfa-linolenico 0,315 g
C18:4 - Acido stearidonico o parinarico 0 g
C20:4 - Arachidonico 0 g
C20:5 omega 3 (EPA) 0 g
C22:5 omega 3 (DPA) 0 g
C22:6 omega 3 (DHA) 0 g
Grassi trans 3,278 g
Grassi trans monoenoici 2,982 g
Grassi trans polienoici 0,296 g
Colesterolo 215 mg
La struttura dei grassi presenti nel burro è molto importante in quanto va a variare, una volta ultimato il prodotto burro, le proprietà chimico-fisiche come il punto di fusione, di congelamento e che quindi vanno a caratterizzarne la consistenza, il sapore e la digeribilità.
PREPARAZIONE
Le fasi per la preparazione industriale di tale alimento sono sei. Si comincia anzitutto con la scrematura del latte: tale fase viene realizzata con il metodo dell’affioramento, lasciando cioè il latte in riposo dalle dieci alle trenta ore entro bacinelle poste in ambienti freschi. La fase successiva è quella della pastorizzazione della crema, una sorta di sterilizzazione parziale che consente di ottenere un burro ben conservabile. Si passa poi alla maturazione. Dopo un opportuno raffreddamento a trenta gradi, la crema viene inviata in delle vasche di maturazione, in cui ha luogo l’introduzione di speciali fermenti lattici acidificanti, i quali rendono la fabbricazione del burro molto più semplice, senza alcuna coagulazione della caseina. La zangolatura, invece, consiste nel far passare la crema nelle zangole, grosse botti montate su un albero per la rotazione e oscillazione. L’impastamento, poi, prevede che i piccoli grumi di grasso delle zangole siano spruzzati con acqua nelle impastatrici, omogeneizzati, e a volte salati e colorati con zafferano. Infine, c’è la modellatura e il confezionamento, grazie a delle impanettatrici che plasmano la forma del burro in pani, con una carta pergamenata per la spedizione successiva.
CONTROLLO QUALITATIVO SUL BURRO TRADIZIONALE
I controlli in loco sono completati dal prelievo di campioni di burro da sottoporre ad analisi presso laboratori di enti o organismi pubblici per verificare la rispondenza del burro tradizionale per quanto concerne il tenore di umidità percentuale di materia grassa, nonché l'eventuale presenza di sostanze estranee con particolare riferimento alle materie grasse. Le analisi sulla presenza di materie grasse estranee può essere estesa, se del caso, anche alle materie prime. Il controllo qualitativo, stabilito ai sensi dell’allegato II del regolamento (CE) 445/2007, volto ad accertare il tenore medio di grassi dichiarato del burro tradizionale, consta di un prelevamento random di cinque campioni dalla partita da controllare e da sottoporre ad analisi. Dopodiché, la media aritmetica dei cinque risultati ottenuti viene comparata con il tenore di grassi dichiarato. Il tenore di grassi dichiarato si considera rispettato nel caso in cui la media aritmetica del tenore di grassi riscontrata presenta una deviazione non superiore a 1 punto percentuale rispetto al tenore di grassi dichiarato.
Il secondo metodo che va adottato prevede che i cinque risultati vengono confrontati uno per uno con la tolleranza (± 2 punti percentuali del tenore di grassi dichiarato). Se la differenza tra il valore massimo e il valore minimo dei cinque singoli risultati è inferiore o uguale a 4 punti percentuali, il controllo si ritiene rispettato. Il controllo si considera positivo anche se uno dei cinque valori si situa al di fuori della tolleranza di ± 2 punti percentuali qualora il precedente sia stato rispettato. Inoltre le prove di laboratorio effettuate sul burro hanno lo scopo di verificare le caratteristiche organolettiche e le percentuali di costituenti. Questi ricoscontri si ottengono attraverso:
-Determinazione quantitativa della sostanza grassa: metodo Soxhlet
-Analisi qualitativa della sostanza grassa saponificabile mediante gascromatografia degli esteri metilici degli acidi grassi.
Un prodotto di qualità dovrebbe avere:
C4 /(C6+C8 ) = 0,7-0,17 C12/C10 = 1-1,3 C14/C12 > 2,8 C18=/ C18 >2
-Analisi della frazione sterolica mediante gascromatografia. La presenza di fitosteroli, in particolare betasitosterolo evidenzia aggiunte di grassi vegetali. In generale viene utilizzata la cromatografia perché è una tecnica analitica in grado si separare le famiglie dei grassi in base al numero di carboni che compongono la catena acida.
FRODI
Le frodi alimentari sono modifiche apportate intenzionalmente sui prodotti alimentari per ricavarne illeciti guadagni. Si possono trovare 4 tipi di frodi:
Adulterazioni: Le adulterazioni sono dovute alla sostituzione di una parte del prodotto con un altro scadente o diverso o di basso costo. Per esempio nel burro un’adulterazione frequente è quella di inserire all’interno di esso del grasso vegetale. Tuttavia la cosa è facilmente smascherabile mediante l’analisi della frazione sterolica mediante gascromatografia.
Sofisticazioni: Esempi tipici di sofisticazione sono l'aggiunta di zafferano per rendere più gialla la pasta di burro. Non è una frode di per se, lo è se l’azione non viene dichiarata. Questa colorazione può infatti essere scambiata per i carotenoidi nei mesi estivi. Quindi per smascherare la frode è neccesario effettuare un analisi cromatografica sulla presenza o meno di queste colecole.
Falsificazioni: Sono le frodi più gravi perché consistono nella sostituzione di un prodotto con un altro, per esempio margarina al posto del burro. Simile per consistenza, colore e sapore, la margarina è però subito riconoscibile da un’analisi gascromatografica.
Contraffazioni: Si hanno quando nomi e marchi di prodotti tipici o il marchio di una ditta vengono usati indebitamente.
La mozzarella è uno degli alimenti più amati nel nostro Paese, il consumo di questa prelibatezza ammonta a circa 156 mila tonnellate annue. Purtroppo per le sue caratteristiche è anche un prodotto particolarmente esposto alle frodi ed alle contraffazioni, con problematiche anche di tipo sanitario. La mozzarella è un latticino, ovvero un derivato non stagionato del latte che conserva quantità misurabili di lattosio. Più nel dettaglio, la mozzarella è un formaggio fresco a pasta filata e molle.
Valori nutrizionali:
La mozzarella di bufala è un prodotto DOP (prodotto di origine protetta), che si ottiene a partire dal latte di bufala, di seguito sono riportati i valori nutrizionali per 100g di prodotto:
Nutriente Presenza
Energia 288 kcal
Colesterolo 56 mg
Acqua 55,5%
Proteine 16,7%
Carboidrati 0,7%
Grassi 24,4%
Calcio 210 mg
Fosforo 195 mg
Preparazione:
Come per altri formaggi a pasta filata, nella produzione della mozzarella si utilizza un notevole riscaldamento. Estratta la cagliata, si scalda una parte del siero a 50 °C e lo si versa sulla cagliata. Questa operazione si ripete dopo 15 minuti alla temperatura di 60 °C, quindi si lascia riposare per favorire l'acidificazione. La cagliata viene poi "filata", ovvero tagliata a fette lunghe e sottili, le quali sono immesse in acqua a 90 °C. Quindi si procede alla lavorazione a mano per ottenere le forme desiderate. Ci vogliono dieci litri di latte per produrre un chilo di mozzarella.
Normative vigenti:
Denominazione di Origine Controllata - D.O.C.
Art.1.1. E' riconosciuta la denominazione di origine "Mozzarella di bufala Campana" al formaggio prodotto nell'area geografica di cui all'art. 2 ed avente i requisiti fissati agli art. 3 e 4.
Art. 2.1. La zona di provenienza del latte di trasformazione di elaborazione del formaggio "Mozzarella di bufala Campana" comprende il territorio amministrativo di seguito specificato:
REGIONE CAMPANIA
Provincia di Benevento: Comune di Limatola, Dugenta, Amorosi.
Provincia di Caserta: l'intero territorio.
Provincia di Napoli: Comuni di Acerra, Giugliano in Campania, Pozzuoli, Qualiano.
Provincia di Salerno: l'intero territorio.
REGIONE LAZIO
Provincia di Frosinone: Comuni di Amaseno, Giuliano di Roma, Villa S.Stefano, Castro dei
Volsci, Pofi, Ceccano, Frosinone, Ferentino, Morolo, Alatri, Castrocielo, Ceprano, Roccasecca.
Provincia di Latina: Comuni di Cisterni di Latina, Fondi, Lenola, Latina, Maenza, Minturno,
Monte S.Biagio, Pontinia, Priverno, Prosseri, Roccagorga, Roccasecca dei Volsci, Sabaudia,
S.Felice Circeo, Sermoneta, Sezze, Sonnino, Sperlonga, Terracina, Aprilia.
Provincia di Roma: Comune di Anzio, Ardea, Nettuno, Pomezia, Roma, Monte rotondo.
Art.3.1. La "Mozzarella di Bufala campana" è prodotta essenzialmente con latte di bufala intero, proveniente da bufale allevate nella zona di cui l'art.2 e ottenuta nel rispetto di apposite prescrizioni relative all'allevamento e al processo tecnologico, in quanto rispondenti allo standard produttivo seguente:
A) Gli allevamenti bufalini dai quali deriva il latte devono essere strutturati secondo gli usi locali con animali originari della zona di razza mediterranea, che devono risultare iscritti all'apposita anagrafe.
B) Il latte deve essere consegnato al caseificio entro la sedicesima ora dalla mungitura, possedere titolo in grasso minimo del 7% e essere opportunamente filtrato e riscaldato ad una temperatura variante da 33 °C a 36 °C.
C) La coagulazione è ottenuta con l'uso esclusivo di fermenti lattici naturali derivanti da precedenti lavorazioni di latte di bufala avvenute nella stessa zona di produzione. La rottura della cagliata viene proseguita fino ad ottenere granuli di una grandezza di una noce. La maturazione della cagliata avviene sotto siero per un tempo variabile in relazione alla carica di microrganismi presenti nei fermenti aggiunti, ma oscillante intorno alle 5 ore dall'immissione del caglio. Al
termine della maturazione la cagliata avviene ridotta a strisce posta in appositi recipienti dove, con l'aggiunta di acqua a 95 °C, viene filata e poi mozzata, onde assicurare ai singoli pezzi ottenuti la forma e le dimensioni previste. Questi vengono prima posti in acqua fredda per pochi minuti e poi in salamoia per la fase di salatura cui segue il confezionamento. Il prodotto può essere affumicato solo con procedimenti naturali e tradizionali: in tal caso la denominazione di origine deve essere seguita dalla dicitura "affumicata".
D) Forma: oltre alla forma tondeggiante, sono ammesse altre forme tipiche della zona di produzione quali bocconcini, trecce, perline, ciliegine, nodini.
E) Peso variabile da 20g a 800g, in relazione alla forma.
F) Aspetto esterno: colore bianco porcellanato, crosta sottilissima di circa un millimetro con superficie liscia, mai viscida e scagliata.
G) Pasta: struttura a foglie sottili, leggermente elastica nelle prime 8-10 ore dopo la produzione ed il confezionamento, successivamente tendenza a divenire più fondente; priva di difetti quali occhiature, provocati da fermentazioni gassose o anomale; assenza di conservanti, inibenti e coloranti; al taglio presenza di scolatura in forma di lieve sierosità biancastra, grassa, dal profumo di fermenti lattici.
H) Sapore: caratteristico e delicato.
I) Grasso sulla sostanza secca: minimo 52%.
L) Umidità massima: 65%.
Art.4.
1. Il formaggio a denominazione di origine "Mozzarella di bufala campana" deve recare apposto all'atto della sua emissione al consumo il contrassegno di cui allegato A, che costituisce parte integrante del presente decreto, del quale risultino individuati la provenienza geografica e gli estremi della decretazione con cui si è riconosciuta la denominazione stessa, a garanzia della rispondenza alle specifiche prescrizioni normative.
2. La "Mozzarella di bufala campana" prodotta con latte proveniente da bufale allevate a stabulazione semilibertà in limitati paddock all'aperto, nell'ambito e con tecniche tipiche della Piana del Sele, può usare nella sua designazione e presentazione la qualificazione "Piana del Sele".
3. La "Mozzarella di bufala campana" prodotta con latte proveniente da bufale allevate a stabulazione semilibera con ricorso al pascolamento nell'ambito e con tecniche tipiche del casertano, può usare nelle sua designazione e presentazione la qualificazione "Piana del Volturno" o "Aversana".
4. La "Mozzarella di bufala campana" prodotta con latte proveniente da bufale allevate a stabulazione semilibera, in limitati paddock all'aperto a con ricorso al pascolamento nell'ambito e con tecniche tipiche del basso Lazio, può usare nella sua designazione e presentazione la qualificazione "Pontina".
Frazione lipidica del latte di bufala:
Dopo l’acqua i grassi sono il componente più presente, con una percentuale del 7-10 % che una volta ottenuta la mozzarella di bufala raggiunge circa il 25%. Le frazioni di grasso si presentano sotto forma di globuli eterogenei costituiti da microgocce di trigliceridi circondati da una sottile membrana formata da varie sostanze. In particolare i lipidi presenti possono essere distinti in tre categorie, ossia lipidi polari, sostanze insaponificabili e lipidi neutri.
I lipidi polari sono rappresentati dai fosfolipidi di natura complessa che costituiscono circa l’1,1% del totale, mentre gli steroli (colesterolo), alcoli e vitamine (A, E, D, K) costituiscono le sostanze insaponificabili ovvero l’1,2%, infine i lipidi neutri ovvero i gliceridi rappresentano il 97-98% del totale della frazione lipidica presente nel latte di bufala. La struttura dei trigliceridi presenti nel latte che poi viene utilizzato per la produzione della mozzarella di bufala, è importante perché può variare le proprietà chimico fisiche come la cristallizzazione e il punto di fusione che di conseguenza caratterizzano la consistenza, il sapore del prodotto, la sua digeribilità e le sue proprietà nutritive. Essendo la mozzarella ricca di grassi, le caratteristiche dei trigliceridi presenti posso essere studiate mediante gascromatografia, analisi che permette di determinare quali acidi grassi compongono il latte e la loro distribuzione nei trigliceridi.
Questa tecnica analitica permette di separare le famiglie di trigliceridi in funzione del crescente numero di atomi di carbonio che forma le catene, in particolare il valore è compreso tra 24e 54 C, fornendo un profilo cromatografico che ne descrive le caratteristiche qualitative e quantitative, infatti con l’aumentare del numero di C aumenta anche l’apolarità della catena che fa variare l’affinità del componente con fase mobile e fase stazionaria permettendo di separare le variecomponenti.
Metodi di analisi:
• SEPARAZIONE ATTRAVERSO TLC
Fase stazonaria: lastrine TLC (20x20cm) POLYGRAM SIL G/UV254 for TLC;
Fase mobile: 40 ml eptano, 40 ml di etere diisopropilico e 4 ml di acido acetico
Procedura: dopo il condizionamento della lastrina a 80°C per 20’, a circa un cm dalla base della lastrina sono stati posizionati in serie 20 μl di una soluzione all’1% di grasso in esano. Evaporato l’esano, la lastrina è stata riposta nella camera di sviluppo, contenente il solvente di corsa. La corsa è considerata ultimata quando la linea del solvente si trova ad una distanza di 1 cm dall’estremità superiore della lastrina. Rimossa la lastrina dalla camera e asciugata del solvente residuo si passa alla nebulizzazione con soluzione alcolica di diclorofluoresceina. Le bande delle frazioni trigliceridiche sono evidenziate sotto luce UV a 254 nm. Mediante una spatolina si rimuove lo strato di silice a cui è legato il campione e, dopo agitazione per 30’ in miscela etere-eptano (rapporto 1:1 V/V) si procede alla filtrazione ed allontanamento del solvente. Il campione, ripreso con esano, è stato analizzato attraverso gascromatografia.
• ANALISI GASCROMATOGRAFICA ACIDI GRASSI
La determinazione della componente grassa viene eseguita mediante l’analisi degli esteri metilici degli acidi grassi dopo aver subito una trans-esterificazione, questa reazione, oltre a liberare gli acidi grassi dal legame col glicerolo, li trasforma in una forma più volatile, maggiormente adatta all’analisi gascromatografica. La trans-esterificazione va svolta utilizzando KOH in MeOH (2N). La procedura prevede la preparazione di una soluzione di grasso in esano al 5%. Di questa soluzione viene prelevato 1ml al quale poi si aggiungono 300 μl di potassa metanolica 2N, in seguito alla trans-esterificazione, si ottiene una fase inferiore costituita da glicerolo e metanolo e una superiore contenente gli esteri metilici degli acidi grassi. Quindi si preleva 1μl dalla fase superiore per l’analisi gascromatografica.
Principali frodi:
La frode alimentare è un termine generico che si riferisce alla produzione e al commercio di alimenti non conformi alla normativa vigente. Le frodi alimentari si dividono in due tipologie: frodi sanitarie e frodi commerciali. Le frodi di maggior peso economico sono dovute alla contraffazione di formaggi di qualità legata all’origine geografica e all’illecito impiego di materie prime di scarsa qualità o non consentite dalla legislazione nella produzione dei formaggi tradizionali. Negli anni sono state scoperte numerose frodi, tra gli illeciti più frequentemente utilizzati sono stati scoperti:
• impiego di latte vaccino nella produzione di formaggi dichiarati di bufala DOP;
• abuso di denominazioni a DOP per mozzarelle comuni
• presenza di additivi non consentiti
• utilizzo di derivati lattieri in polvere non consentiti
Per garantire la genuinità della mozzarella di bufala campana si prende come riferimento il disciplinare contenuto nel DPR 28/9/1979, il quale prevede per la produzione l'utilizzo esclusivo di latte di bufala. In tal modo rimane escluso un impiego anche parziale di latte bovino. In tale evenienza, la mozzarella non potrà essere più denominata "di bufala" ed il latte bovino dovrà essere necessariamente incluso tra gli ingredienti di produzione. In base a tale premessa, ai fini della tutela del consumatore, è necessario poter disporre di metodi analitici per poter rilevare quantità anche minime di latte bovino in miscela con quello di bufala nel prodotto finito. I metodi più utilizzati in passato hanno fatto ricorso al dosaggio del β- carotene (assente nel latte di bufala), al rapporto di alcuni acidi grassi presenti nella frazione lipidica e all'analisi della frazione proteica. I metodi che sono risultati più promettenti ai fini della identificazione del latte bovino si basano sull'analisi della frazione proteica.
I produttori italiani di latte spesso sono costretti a vendere il proprio prodotto a prezzi molto bassi, che non ripagano nemmeno i costi di produzione (0.20-0.25€ al litro), mentre il latte di provenienza estera ha costi minori (0.16-0.18€ al litro) ed è per questo che spesso viene utilizzato nella lavorazione violando però le normative di produzione, inoltre il latte estero importato in Italia non sempre risponde alle norme sanitarie ed ai requisiti minimi indispensabili alla produzione dI formaggi di qualità, a volte contengono anche additivi chimici, come ad esempio i polifosfati che, se presenti in quantità eccessive, riducono la capacità di assorbimento del calcio da parte dell’organismo.
L’uovo è un alimento molto conosciuto e consumato in tutte le parti del mondo. Può essere ingerito direttamente oppure può essere consumato tramite l’assunzione di altri piatti preparati con esso. L'art. 116 del regolamento OCM unica n. 1234/2007 istituisce le norme di commercializzazione base per i prodotti dei settori delle uova, delle uova da cova e delle carni di pollame. Per poter essere commercializzate le uova devono provenire da centri d'imballo autorizzati dalle Regioni e Province Autonome, previa attribuzione di uno specifico codice rilasciato dal MIPAAF, il quale inserisce gli stessi centri in un apposito elenco. Le normative che regolano il settore sono:
Regolamento (CE) N.589/2008 della commissione e N.1234/2007 del Consiglio
Decreto 11 dicembre 2009 per le Modalità per l’applicazione di disposizioni comunitarie in materia di commercializzazione delle uova
Art.37 legge 7 luglio 2009
Gli stabilimenti e gli incubatoi possono commercializzare le uova e i pulcini solo previa registrazione da parte del MIPAAF. Gli stessi stabilimenti sono tenuti ad effettuare comunicazioni mensili al Ministero relativamente alle uova da cova messe ad incubare e all'utilizzazione dei pulcini. Le ulteriori normative che disciplinano il settore sono:
Regolamento n. 617/2008 della Commissione recante modalità d’applicazione del regolamento (CE) n. 1234/2007
DM 29 dicembre 2010
Art.30 legge 4 giugno 2010 n. 96
Il più utilizzato è l’uovo di gallina, ma si possono consumare anche le uova di altri volatili: quaglia, anatra, oca, struzzo etc., ma anche quelle di alcuni peschi e di insetti. Tuttavia con il termine “uovo” senza ulteriori specificazioni, si indica quello di gallina. Per questo motivo le indicazioni riportate su questo report saranno concentrate sulle caratteristiche appartenenti all’uovo di questo animale domestico. L’uovo di gallina, ha un peso di circa 50g, ed è una cellula germinale femminile. Se ci immaginiamo di sezionare a metà un uovo, possiamo riconoscere i suoi tre componenti principali: guscio, albume e tuorlo. Partendo dall’esterno, l’uovo è ricoperto da un sottile guscio esterno, costituito principalmente da calcio. Costituisce la prima barriera contro i germi e che grazie alle sue proprietà di porosità permette gli scambi gassosi con l’ambiente esterno, impedendo però la fuoriuscita dell’acqua, essenziale per la sopravvivenza dell’embrione.
Procedendo verso l’interno troviamo una doppia “membrana testacea”, anch’essa non funzione protettiva e di cui una parte rimane strettamente collegata al guscio e l’altra si trova a stretto contatto con l’albume. L’albume (o bianco d’uovo/chiara d’uovo), formato principalmente da proteine e acqua, sali minerali, vitamine del gruppo B e piccole tracce di glucosio; contiene il tuorlo. Quest’ultimo è circondato da una membrana vitellina. Esso si mantiene in posizione centrale grazie a delle “calaze”, legami proteici, che si estendono da esso fino ai poli dell’uovo, dove si legano alla membrana che divide l’albume con il guscio. Il tuorlo si può considerare come una dispersione di globuli lipoproteici in una massa acquosa o plasma; è quindi ricco di proteine, lipidi, ma anche di lecitine; la sua composizione non è omogenea ma è costituito da strati più o meno densi.
Una volta che l’uovo viene depositato dalla gallina, subendo una variazione di temperatura tra l’interno del corpo dell’animale e l’ambiente esterno la pellicola, attaccata al guscio, si stacca un po’ da esso, andando a formare una piccola bolla d’aria sul fondo dell’uovo dovuta alla perdita di acqua. Questa aumenta sempre di più con il passare del tempo. Il suo volume quindi può essere definito un indice di freschezza del prodotto. Se assunto nella dieta, l’uovo permette di assumere moltissimi elementi nutritivi, infatti nel suo insieme contiene: acqua, proteine, grassi, carboidrati, calorie, calcio, fosforo, ferro, sodio, potassio, vitamina B1,B2,A,D,E, colesterolo, colina. La maggior parte di questi elementi sono contenuti nel tuorlo, soprattutto le vitamine, molte delle quali non sono contenute nell’albume. Integrare le uova nella dieta alimentare, garantisce l’assunzione di tutti i suoi componenti. Le uovo infatti vengono considerate un alimento completo. Purtroppo però è consigliato non ingerire più di 3 uova a settimana a causa del loro contenuto di colesterolo, che pur costituendo solo il 5% rispetto alla totalità dei lipidi presenti, equivale a circa 200mg (a uovo), che corrisponde ad un quantitativo molto elevato rispetto ad altri cibi.
Questo sterolo, presente nei grassi animali, è il maggior responsabile della formazione di placche nelle arterie che, ostacolano il flusso sanguigno, portando all’aterosclerosi. Nelle uova sono quindi presenti anche altre tipologie di lipidi, di cui solo il 65% di essi sono trigliceridi(contro il 90% presente in altri alimenti), mentre e ricco di lecitine ed in genere di fosfolipidi (30%). La maggior parte dei grassi inoltre sono: monosaccaridi e polisaccaridi.
La valutazione della qualità di un uovo passa innanzitutto attraverso un'attenta lettura dell'etichetta, sulla quale, per legge, devono essere riportate le seguenti indicazioni:
data di consumo preferibile (per le uova fresche è considerata superata il 28° giorno dalla deposizione, ma il dettagliante deve ritirarle dal commercio sette giorni prima della scadenza)
categoria di qualità e peso
numero di uova confezionate
nome e ragione sociale, oppure il marchio commerciale del centro di imballaggi
raccomandazioni per una corretta modalità di conservazione.
Informazioni facoltative presenti in etichetta: data di deposizione, indicazione del miglior uso dell'uovo (ad esempio uova per pasta gialla), sistema di allevamento (a terra, con metodo biologico ecc.) ed alimentazione ricevuta dalla gallina (dieta esclusivamente vegetale ecc.).
Ulteriori indicazioni derivano dall'interpretazione del codice alfanumerico ad undici caratteri impresso sul guscio. All'inizio del codice è presente un numero che indica il sistema di allevamento delle galline ovaiole:
0 per l'allevamento biologico
1 per l'allevamento all'aperto
2 per quello a terra
3 per quello in gabbia
Segue una sigla che ne indica il paese di produzione, mentre le ultime tre cifre indicano l’allevamento i produzione. Per poter essere commercializzate le uova devono subire controlli di qualità, oltre a dover rispettare alcuni criteri sull’altezza, sulla dimensione e la centralità del tuorlo, del colore del guscio ed essere privo di odori, e la loro camera d’aria deve essere inferiore ai 4/6mm. Tuttavia devono anche essere sottoposte ad analisi di laboratorio, superando test chimici e microbiologici. I controlli microbiologici sono indirizzati soprattutto nei confronti delle Salmonelle. Il primo controllo viene eseguito addirittura alla nascita dei pulcini destinati a diventare galline ovaiole, e viene poi ripetuto fino alla crescita e alla ovodeposizione dell’animale.
Le frodi più comuni messe in luce dai controlli sono:
annacquamento dell’ovoprodotto
miscelazione tra prodotto fresco e prodotto congelato o vecchio
utilizzo di uova di specie diversa di quelle dichiarate
uso di uova con residui di farmaci
utilizzo di uova vecchie e non idonee (uova con muffe, feci, parassiti)
utilizzo di sostanze vietate per correggere il pH del prodotto
aggiunta di carbonati per correggere l’odore dell’ovoprodotto
utilizzo di coloranti ed altri additivi non consentiti
utilizzo di uova di centrifuga e di schiacciamento
utilizzo di uova embrionate
L'olio di oliva è un olio alimentare estratto dalle olive, ovvero i frutti dell'olivo, caratterizzato da un alto contenuto di grassi monoinsaturi e originario delle zone a clima mediterraneo. E’ classificato in base al metodo di estrazione o produzione e alle caratteristiche chimiche e organolettiche:
OLI DI OLIVA VERGINI: Ottenuti soltanto mediante processi meccanici o altri processi fisici, in condizioni che non causano alterazione dell'olio;
OLIO DI OLIVA RAFFINATO: Ottenuto dalla raffinazione dell'olio di oliva vergine;
OLIO DI OLIVA: Composto da Oli di Oliva raffinati e Oli di Oliva Vergini;
OLIO DI SANSA DI OLIVA GREGGIO: Ottenuto dalla sansa d'oliva mediante trattamento con solventi o processi fisici;
OLIO DI SANSA DI OLIVA RAFFINATO: Olio ottenuto dalla raffinazione dell'olio di sansa di oliva greggio;
OLIO DI SANSA DI OLIVA: Olio ottenuto dal taglio di olio di sansa di oliva raffinato e di olio di oliva vergine.
La prima categoria, gli Oli di Oliva Vergini, sono spesso soggetti a contraffazioni a causa del loro alto valore aggiunto e vengono suddivisi ulteriormente in:
Olio Extra Vergine di Oliva, Olio di Oliva Vergine, Olio di Oliva Lampante.
COMPOSIZIONE E FRAZIONE LIPIDICA
L’assunzione di 100 g di olio di oliva apportano circa 900 Cal sotto forma di lipidi:
16,16 g di grassi saturi
74,45 g di grassi monoinsaturi (73,63 g di acido oleico e 0,82 g di acido palmitoleico)
8,84 g di grassi polinsaturi (7,85 g di acido linoleico e 0,99 g di acido alfa-linolenico)
Nel caso dell'olio extravergine di oliva, 100 g apportano le stesse calorie e ha una composizione molto simile a quella dell’olio. Inoltre è fonte di Vitamina E, Ferro, Sodio, Potassio, Zinco, Rame e Selenio.
L'olio di oliva è un'ottima fonte di molecole dall'attività antiossidante, in particolare di composti fenolici che sono stati associati a diversi possibili benefici per la salute. Studi scientifici suggeriscono infatti che l'olio d'oliva potrebbe aiutare a combattere i problemi cardiovascolari, a prevenire alcune forme di cancro (in particolare di quelle che colpiscono l'apparato digerente), che eserciti un'azione antibatterica e che possa essere utile in caso di artrite reumatoide, come lassativo e, applicato sulla pelle, come emolliente efficace in caso di dermatite.
PROCESSO DI PRODUZIONE DELL'OLIO DI OLIVA
La raccolta delle olive si effettua quando esse sono mature, ponendo delle reti sotto la chioma e battendo o raccogliendo a mano o con rastrelli le olive (abbacchiatura). Poi le olive vengono raccolte in sacchi di juta (di circa 1 quintale) e portate al frantoio, dove sono messe in vasche di lavaggio e poi passate alla frangitura. Questa si esegue in grandi vasche circolari in cui si mettono le olive e su cui si fanno passare le macine, due o tre grosse ruote in granito, che, schiacciando i frutti, danno dopo circa un'ora una polpa. A questo punto la polpa va sottoposta a pressatura meccanica che produce la caduta di gocciole di olio insieme ad acqua. L'ultimo passaggio prevede la separazione dell'acqua dall'olio, che risulta bello verde o chiaro.
NORMATIVE
Le norme di commercializzazione degli oli di oliva e degli oli si sansa di oliva, ai sensi del Reg. (CE) n. 865/04, regolano oltre alla vendita (Regolamento CE n. 1019/02), l’esportazione (Regolamento CE n. 865/04, del Reg. (CE) n. 1019/02) e l’importazione (Decreto L.vo 109/92 e CE n. 1345/05), anche la presentazione del prodotto al consumatore.
CONTROLLO QUALITA’
Possiamo distinguere la qualità di un olio sia da un punto di vista chimico che organolettico. L’organolettica prende in considerazione il sapore e l’odore, che possono essere positivi, come il fruttato, l’amaro e il piccante, o negativi come la morchia, il rancido, il metallico, ecc... Non ci sono dei valori esatti da attribuire a queste caratteristiche per circoscrivere un concetto di qualità assoluta.
L’acidità è il principale indicatore di qualità della materia prima (le olive) e si viene a creare in seguito alla degradazione della struttura cellulare del frutto. Questo parametro ci permette di risalire allo stato di degradazione dell’olio, poiché l’azione della lipasi (enzima idrolitico) libera acidi grassi dai trigliceridi, facendo alzare l’acidità. Per mantenere basso il valore dell’acidità bisogna cogliere le olive al giusto grado di maturazione, cercare di non danneggiarle e stoccarle per il minor tempo possibile (massimo 24h). L’acidità di un olio viene espressa come g di acido oleico per 100 g di olio. Il Reg. CEE 2568/91 e s.m. indica che un olio per essere considerato Extra Vergine d’Oliva deve mantenere un valore massimo di acidità dello 0,8%, il cui intervallo ideale è di 0,1-0,3%.
Il numero di perossidi indica lo stato di ossidazione del prodotto, la degradazione e l’invecchiamento. Questo valore è espresso in milliequivalenti di ossigeno per kg di olio (mEq O2/kg) e il Reg. CEE
2568/91 e s.m. indica un valore massimo di 20 mEq O2/kg per l’olio vergine ed extra vergine d’oliva. Un olio extra vergine ottenuto da olive sane e con le migliori tecniche di estrazione può mantenere il numero dei perossidi entro un valore di 5-10 mEq O2/kg, riuscendo così a ritardare il più possibile il processo di irrancidimento. Nella fase di conservazione la presenza di radicali liberi e di ossigeno nell’olio, può portare alla formazione di idroperossidi, i quali innescano ed alimentano un meccanismo a catena di ossidazione ed essendo molto instabili, tendono a generare aldeidi e chetoni responsabili dell’odore rancido. I catalizzatori protagonisti di questo processo sono l’ossigeno, la luce e la temperatura.
L’Analisi Spettrofotometrica nell’Ultravioletto consente di determinare in quale fase ossidativa si trovi il prodotto. Questi parametri indicano l’assorbimento nelle lunghezze d’onda di 232 e 270 nm, le quali indicano rispettivamente la presenza più o meno elevata di Idroperossidi (Ossidazione Primaria) o di aldeidi e chetoni (Ossidazione Secondaria).
I Polifenoli (Biofenoli) sono il parametro di eccellenza per misurare la qualità di un olio. La loro presenza è fondamentale per la prevenzione dell’autossidazione: un olio extra vergine di alta qualità presenta polifenoli nella misura di 400-800 mg/kg. Per la determinazione di questi composti, è importante effettuare l’analisi secondo l’unica metodica ufficiale internazionalmente riconosciuta (NGD C89-10).
I Tocoferoli (Vitamina E) sono anch’essi composti fenolici ad azione antiossidante, utili nella prevenzione dell’ossidazione e per i benefici apportati al corpo umano.
SOFISTICAZIONE
Il record delle contraffazioni tra i prodotti spetta senz'altro al riso, con il 29,2% dei campioni esaminati irregolari, seguito da latte e formaggi (fuori norma il 18,8% dei campioni), dalle conserve vegetali (16,8%), da liquori e distillati (13,6%), dal miele (12,9%), dagli oli d'oliva (10,1%) e da quelli di semi (9,5%), da vino, mosti e aceti (9,1%), da sfarinati e paste (8,1%).
L'olio di oliva è un alimento tipico solo dell'area mediterranea, un prodotto antichissimo e di pregio, soggetto, a tantissimi tipi di sofisticazioni: aggiungendo pochi grammi di clorofilla (un pigmento naturale) ad olio di nocciola o di arachide si ottiene un prodotto molto simile all'originale oppure si commerciano come italiani oli di oliva provenienti da altri paesi, come la Tunisia o la Spagna. Ovviamente queste truffe sono smascherate da una semplice analisi spettrofotometrica UV.
Gli oli di semi sono oli ottenuti da semi o frutti di piante ed alberi diversi dall'ulivo, i più comuni sono arachide, girasole, mais, soia, colza, vinaccioli, palma e palmisto, riso e lino. Parlare di olio di semi è quindi troppo generico e bisogna specificare il tipo per esaminarne la composizione lipidica.
Olio di semi di arachidi
Contiene principalmente gli acidi oleico e linoleico, caratteristiche le presenze dell’acido arachico e del lignocerico, quasi assenti negli altri oli. Per legge, la concentrazione di acidi a catena molto lunga (acido arachico e superiori) non deve superare il 4,8%. L'alta concentrazione di acidi grassi polinsaturi e monoinsaturi lo rende particolarmente suscettibile all'autoossidazione, che può essere ritardata dai tocoli naturalmente presenti o da antiossidanti addizionati.
Acido Grasso Formula % w/w(min-max)
acido laurico 12:0 0-0,1
acido miristico 14:0 0-0,1
acido palmitico 16:0 8–14
acidopalmitoleico 16:1Δ9c 0-0,2
acido margarico 17:0 0-0,1
acido eptadecenoico 16:1Δ10c 0-0,1
acido stearico 18:0 1–4,5
acido oleico 18:1Δ9c 35–69
acido linoleico 18:1Δ9c12c 12–43
acido α-linolenico 18:3Δ9c,12c,15c 0–0,3
acido arachico 20:0 1–2
acido gadoleico 20:1Δ11c 0,7–1,7
acido eicosadienoico 20:2Δ11c,14c Non definita
acido beenico 22:0 1,5–4,5
acido erucico 22:1Δ13c 0-0,3
acido lignocerico 24:0 0,5–2,5
acido nervonico 24:1 0–0,3
Olio di semi di girasole
Contiene acido oleico e linoleico, ma è caratterizzato da modeste percentuali degli acidi grassi saturi palmitico e stearico. Contiene anche steroli, lecitina, tocoferoli, carotenoidi e cere.
Acido Grasso Formula % w/w
acido laurico 12:0 0,05
acido miristico 14:0 0,1
acido palmitico 16:0 6,3
acido palmitoleico 16:1ω7 0,15
acido margarico 17:0 0,1
acido eptadecenoico 17:1ω8 0,05
acido stearico 18:0 4,6
acido oleico 18:1ω9 26,7
acido linoleico 18:2ω6 61,15
acido α-linolenico 18:3ω3 0,15
acido arachico 20:0 0,3
acido gadoleico 20:1ω9 0,15
acido beenico 22:0 0,9
acido erucico 22:1ω9 0,15
Olio di semi di mais
L’olio è composto prevalentemente da acido linoleico, oleico, e palmitico; tra gli steroli troviamo - sitosterolo, campesterolo, stigmasterolo e 5 -avenasterolo.
Acido Grasso Formula % w/w (min-max)
acido laurico 12:0 0-0,3
acido miristico 14:0 0-0,3
acido palmitico 16:0 8,6–16,5
acido palmitoleico 16:1Δ9c 0–0,5
acido margarico 17:0 0-0,1
acido eptadecenoico 16:1Δ10c 0-0,1
acido stearico 18:0 0–3,3
acido oleico 18:1Δ9c 20–42,2
acido linoleico 18:1Δ9c12c 34–65,6
acido α-linolenico 18:3Δ9c,12c,15c 0–2
acido arachico 20:0 0,3– 1
acido gadoleico 20:1Δ11c 0,2– 0,6
acido eicosadienoico 20:2Δ11c,14c 0– 0,1
acido beenico 22:0 0–0,5
acido erucico 22:1Δ13c 0–0,3
acido lignocerico 24:0 0–0,5
Olio di soia
Possiede un elevato contenuto in acido linoleico, oleico e linolenico. Tra gli steroli sono presenti in discreta quantità -sitosterolo, campesterolo e stigmasterolo. Rilevante è il contenuto in fosfolipidi, sopèrattutto lecitina. Il seme di soia è caratterizzato da un elevato tenore proteico, ricco in
amminoacidi essenziali tra cui la lisina, la leucina, l’isoleucina e la valina.
Acido Grasso Formula % w/w
acido laurico 12:0 0-0,1
acido miristico 14:0 0-0,2
acido palmitico 16:0 8,0-13,5
acido palmitoleico 16:1Δ9c 0-0,2
acido margarico 17:0 0-0,1
acido eptadecenoico 16:1Δ10c 0-0,1
acido stearico 18:0 2,0-5,4
acido oleico 18:1Δ9c 17-30
acido linoleico 18:1Δ9c12c 48,0-59,0
acido α-linolenico 18:3Δ9c,12c,15c 4,5-11,0
acido arachico 20:0 0,1-0,6
acido gadoleico 20:1Δ11c 0-0,5
acido eicosadienoico 20:2Δ11c,14c 0-0,1
acido beenico 22:0 0-0,7
acido erucico 22:1Δ13c 0-0,3
acido lignocerico 24:0 0-0,5
Olio di colza
E’ caratterizzato da notevoli quantità di acido erucico, per cui viene usato in miscela con altri oli in quantità non superiore al 5 %. La selezione ha permesso di ottenere varietà di colza “zero erucico” in questo modo la composizione dell’olio diventa simile a quella dell’olio di oliva dal quale si differenzia per la presenza di campesterolo e brassicasterolo, tipici della colza.
Acido Grasso Formula % w/w
acido caprico 10:0 <0,05%
acido laurico 12:0 <0,05%
acido miristico 14:0 <0,05%
acido palmitico 16:0 4,0
acido palmitoleico 16:1ω7 0,3
acido stearico 18:0 1,0
acido oleico 18:1ω9 14,8
acido linoleico 18:2ω6 14,1
acido α-linolenico 18:3ω3 9,1
acido γ-linolenico 18:3ω6 1,0
acido arachico 20:0 1,0
acido gadoleico 20:1ω9 10,0
acido beenico 22:0 0,8
acido erucico 22:1ω9 45,1
acido lignocerico 24:0 0,3
Olio di semi di vinaccioli
La distribuzione di acidi grassi dell'olio di vinacciolo è molto simile a quella dell'olio di girasole, infatti l’acido grasso più rappresentato è il linoleico, seguito dall’oleico, mentre tra gli steroli sono presenti -sitosterolo, campesterolo e stigmasterolo
Acido Grasso Formula % w/w
acido miristico 12:0 0,15
acido palmitico 14:0 8,25
acido palmitoleico 16:0 0,6
acido margarico 16:1Δ9c 0,06
acido stearico 17:0 4,75
acido oleico 16:1Δ10c 20,0
acido linoleico 18:0 68,0
acido α-linolenico 18:1Δ9c 0,5
acido arachico 18:1Δ9c12c 0,5
acido gadoleico 18:3Δ9c,12c,15c 0,15
acido beenico 20:0 0,47
acido erucico 20:1Δ11c 0,25
acido lignocerico 20:2Δ11c,14c 0,25
Olio di palma e palmisto
Sono ottenuti rispettivamente dal frutto e dal seme della palma, e presentano un notevole contenuto di acidi grassi saturi (laurico, miristico, palmitico), infatti sono solidi a temperatura ambiente.
Acido Grasso Formula Olio di palma
% w/w
Olio di palmisto
% w/w
acido laurico 12:0 0-0,5 45,0-55,0
acido miristico 14:0 0,5-2,0 14,0-18,0
acido palmitico 16:0 39,3-47,5 6,5-10,0
acido palmitoleico 16:1ω7 0-0,6 0-0,2
acido margarico 17:0 0-0,2 0
acido eptadecenoico 17:1ω8 0 0
acido stearico 18:0 3,5- 6,0 1,0-3,0
acido oleico 18:1ω9 36,0-44,0 12,0-19,0
acido linoleico 18:2ω6 9,0-12,0 1,0-3,5
acido α-linolenico 18:3ω3 0-0,5 0-0,2
acido arachico 20:0 0-1,0 0-0,2
acido gadoleico 20:1ω9 0-0,4 0-0,2
acido beenico 22:0 0-0,2 0-0,2
Olio di semi di riso
I principali acidi grassi che compongono l'olio sono acido oleico, acido linoleico, acido palmitico, acido stearico, acido a-linoleico.
Acido Grasso Formula % w/w (min-max)
acido laurico 12:0 0-0,2
acido miristico 14:0 0-1
acido palmitico 16:0 14–23
acido palmitoleico 16:1Δ9c 0-0,5
acido margarico 17:0 ≤0,05%
acido eptadecenoico 16:1Δ10c ≤0,05%
acido stearico 18:0 0,9–4
acido oleico 18:1Δ9c 38–48
acido linoleico 18:1Δ9c12c 21–42
acido α-linolenico 18:3Δ9c,12c,15c 0,1–2,9
acido arachico 20:0 0– 0,9
acido gadoleico 20:1Δ11c 0– 0,8
acido eicosadienoico 20:2Δ11c,14c ≤0,05%
acido beenico 22:0 0–0,1
acido erucico 22:1Δ13c ≤0,05%
acido lignocerico 24:0 0–0,9
Olio di semi di Lino
Si tratta di uno degli oli vegetali con la più alta concentrazione di acido α-linolenico; e la sua alta concentrazione di acidi grassi polinsaturi comporta che sia particolarmente suscettibile all'ossidazione e ad irrancidire.
Acido Grasso Formula % w/w
acido palmitico 16:0 5,1
acido stearico 18:0 4,8
acido oleico 18:1Δ9c 22,3
acido linoleico 18:1Δ9c12c 14,0
acido α-linolenico 18:3Δ9c,12c,15c 53,5
acido arachico 20:0 0,2
acido gadoleico 20:1Δ11c 0,2
Analisi di routine
Le principali analisi che vengono normalmente effettuate sugli oli di semi sono:
- Acidità
Espressa in grammi di acido oleico per 100 grammi di olio, indica la percentuale di acidi grassi liberi che si formano per idrolisi enzimatica dei trigliceridi. Si opera una dissoluzione di un’aliquota di olio in una miscela di solventi, per poi passare alla titolazione degli acidi grassi liberi presenti mediante una soluzione etanolica di idrossido di potassio.
- Numero di Perossidi
Espresso in moli equivalenti di O2 attivo per Kg di olio, esprime il grado di alterazione ossidativa primaria, senza però tenere conto dell’eventuale e contemporanea presenza di composti di degradazione. L’olio in esame, sciolto in acido acetico e cloroformio, viene trattato con una soluzione di ioduro di potassio, per passare alla successiva titolazione dello iodio liberato con soluzione di tiosolfato di sodio standardizzata.
- Steroli
La composizione sterolica è considerata “l’impronta digitale” dell’olio e può fornire informazioni sulla famiglia botanica d’origine dell’olio, ma anche sulla sua “storia tecnologica” in quanto il contenuto totale di steroli può dare indicazioni sulla presenza di olio di sansa o oli desterolati. La sostanza grassa, addizionata di a-colestanolo come standard interno, è saponificata con idrossido di potassio in soluzione etanolica, quindi l'insaponificabile viene estratto con etere etilico. Dall'insaponificabile estratto è separata la frazione sterolica mediante cromatografia su placca di gel di silice basica; gli steroli recuperati dal gel di silice vengono trasformati in trimetilsilileteri ed analizzati mediante gascromatografia in colonna capillare.
- Esteri Metilici degli Acidi Grassi e Isomeri Trans
Indica l’avvenuta raffinazione o “desterolazione” fraudolenta dell’olio, operazione durante cui le elevate temperature applicate portano alla formazione di trans-isomeri degli acidi grassi insaturi, normalmente assenti negli oli vergini. Questi vengono determinati per via gascromatografia analogamente alla composizione acidica. Gli acidi grassi dei gliceridi presenti nell'olio vengono trasformati, mediante transesterificazione, nei rispettivi esteri metilici, che presentano una maggiore volatilità ed una minore polarità rispetto ai corrispondenti acidi liberi. Inoltre, con questa reazione, vengono decomposti i trigliceridi misti rendendo possibile il dosaggio dei singoli acidi che ne facevano parte. Gli acidi grassi metilati vengono iniettati in colonna e separati come tali, fornendo la composizione acidica in esteri metilici anzichè in acidi liberi. L'identificazione dei singoli acidi avviene o mediante cromatogrammi eseguiti su standard e/o mediante il calcolo degli indici di ritenzione (sufficienti per l'analisi di routine). Il calcolo delle percentuali dei singoli componenti viene effettuato col metodo della normalizzazione interna, in quanto tutti i componenti devono essere dosati.
Frodi principali
La frode più ricorrente nel settore oleario è quella di vendere l’olio di semi facendolo passare per olio extravergine di oliva. Si può miscelare olio di semi di vario tipo con olio di oliva, oppure colorarlo artificialmente con clorofilla e betacarotene, per venderlo come extravergine. Un'altra frode, di difficile individuazione, consiste nel far passare per olio extra vergine d'oliva oli che all'origine erano stati qualificati lampanti o maleodoranti. Questi, opportunamente trattati e con l'aggiunta di modeste quantità di oli vergini di oliva, acquistano, sotto l'aspetto chimico, parametri propri dell'olio extravergine.
Per verificare queste frodi, si utilizza l’analisi all’UV-VIS che fornisce anche elementi utili di giudizio sulla qualità di un olio. La prova ha risolto definitivamente il problema del riconoscimento dell'olio rettificato aggiunto all'olio di oliva extravergine, sfruttando il fatto che gli oli naturali di pressione non contengono doppi legami coniugati che invece si formano, anche se in minima parte, durante la rettifica, e in particolare nella fase di decolorazione. Ne consegue che i rettificati presentano valori di assorbimento nell'UV, particolarmente nella zona intorno ai 270 nm, notevolmente superiori a quelli dei vergini. L'esame UV viene condotto sull'olio disciolto in opportuno solvente (cicloesano o isottano) nell'intervallo compreso tra i 220 e i 280 nm. L’assorbimento dell’olio d’oliva vergine decresce rapidamente verso valori molto bassi (< 0,200) nella zona di lunghezza d’onda compresa tra 260 e 280 nm e la curva non presenta picchi. Nel caso del rettificato, i valori di assorbanza in tale zona sono molto più elevati, e la curva assume un andamento caratteristico con tre massimi dovuti alla presenza dei trieni.
Il pane è un prodotto alimentare ottenuto dalla fermentazione, dalla formatura a cui segue una lievitazione, e successiva cottura in forno di un impasto a base di farina (normale o integrale) di cereali, acqua, confezionato con diverse modalità, arricchito e caratterizzato frequentemente da ingredienti differenti a seconda del luogo e delle tradizioni dove viene preparato.
Preparazione
Impasto
L'impasto è quella operazione che permette di amalgamare tutti gli ingredienti ed idratare le proteine della farina in particolare la gliadina e la glutenina. Queste due proteine semplici poste a contatto con l'acqua formano un complesso proteico detto glutine che costituisce la struttura portante dell'impasto rappresentata come forza della farina.
Puntatura
L'impasto viene lasciato riposare. I tempi variano a seconda della ricetta e della forza della farina.
Spezzatura e formatura
In questa fase l'impasto viene diviso in pezzi del peso desiderato questa fase viene effettuata a mano o con macchine chiamate spezzatrici o con gruppi automatici che oltre dividere l'impasto creano le forme.
Lievitazione
In questa fase le forme del pane raddoppiano o triplicano il volume. Il pane viene adagiato su assi in legno o teglie, il tempo varia a seconda della quantità e del tipo di lievito utilizzato. In questa fase avvengono varie reazioni chimiche che, a partire dagli zuccheri, producono alcol e anidride carbonica che viene trattenuta dal glutine.
Cottura
La cottura è quel processo che attraverso una serie di trasformazioni chimiche, biologiche e fisiche permette di ottenere un prodotto commestibile. La temperatura di cottura varia da 180 °C a 275 °C e il tempo da 13 a 60 minuti. Indicativamente per pezzature grandi si utilizza una temperatura più bassa e un tempo maggiore. La pasta assorbe calore dalle pareti (irradiazione), dall'aria (convezione) e dalla piastra di cottura (conduzione). L'acqua presente all'interno evapora in superficie questa dilatazione provoca un aumento del volume e l'idratazione della superficie permette di non seccare la crosta.
Frazione lipidica
Lipidi 1,5 g 3,6 g
- di cui colesterolo < 0.1 mg 6,3 mg
- di cui acidi grassi saturi 0,2 g 1,0 g
- di cui acidi grassi moninsaturi 0,3 g 1,0 g
- di cui acidi grassi polinsaturi 0,6 g 1,1 g
Normative Art. 5 Modalità di vendita
Il pane fresco è venduto entro ventiquattro ore dalla conclusione del processo produttivo in scaffali riservati e contrassegnati dalla dicitura «pane fresco».
Il pane conservato e' posto in vendita confezionato, in scaffali separati dal pane fresco e contrassegnati dalla dicitura «pane conservato» e riporta lo stato e il metodo di conservazione utilizzato, il luogo di origine o di provenienza dell'impasto e del prodotto, la data di produzione, la ragione sociale del produttore, nonché le eventuali modalità di conservazione e di consumo.
Il prodotto intermedio di panificazione è commercializzato già confezionato e riporta sulla confezione le indicazioni previste dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109 (Attuazione della direttiva 89/395/CEE e della direttiva 89/396/CEE concernenti l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari), ivi comprese le modalità di conservazione e di utilizzo.
L'impresa che provvede alla lievitazione, alla cottura o completamento di cottura, ovvero alla sola cottura o completamento di cottura del prodotto di cui al comma 3, é tenuta ad esporre in modo visibile nei propri locali l'avviso che la stessa provvede esclusivamente alle fasi di cottura o di completamento di cottura.
Il prodotto di cui al comma 4 é posto in vendita in scaffali separati dal pane fresco ed eventualmente coincidenti con quelli dedicati al pane conservato, contrassegnati dalla dicitura «pane ottenuto da cottura di impasti» e riporta lo stato e il metodo di conservazione utilizzato, il luogo di origine o di provenienza dell'impasto e del prodotto, la data di produzione, la ragione sociale del produttore.
Al processo di completamento di cottura di pane parzialmente cotto, surgelato e non, si applicano le disposizioni dell'articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 1998, n. 502 (Regolamento recante norme per la revisione della normativa in materia di lavorazione e di commercio del pane, a norma dell'articolo 50 della legge 22 febbraio 1994, n. 146). Nel caso di prodotto surgelato, l'etichetta dovrà riportare inoltre le indicazioni previste dalla normativa vigente in materia di prodotti alimentari surgelati. 7. Il pane, ed il prodotto di cui al comma 4, ottenuti dalla miscelazione di diversi tipi di sfarinati, compresi quelli miscelati con sfarinati di grano, devono essere posti in vendita con l'aggiunta alla denominazione di pane della specificazione del vegetale da cui proviene la farina impiegata, secondo quanto disposto all'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 502 del 1998. 8. Qualora nella produzione del pane siano impiegati, oltre agli sfarinati di grano o di altri cereali, altri ingredienti alimentari, la denominazione di vendita deve essere completata dalla menzione dell'ingrediente utilizzato e, nel caso di più ingredienti, di quello o di quelli caratterizzanti secondo quanto disposto all'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 502 del 1998.9. Fermo restando quanto previsto dal decreto legislativo n. 109 del 1992, nonché dalla normativa in materia di igiene degli alimenti, e' fatto obbligo, nella vendita del pane sfuso, di disporre di apposite attrezzature per la vendita dello stesso, distinte e separate da altri generi alimentari. E' consentita la vendita di pane sfuso in aree pubbliche, nelle costruzioni stabili e nei negozi mobili, purché l'esercente sia dotato di apposite attrezzature per l'esposizione, con idonee caratteristiche igienico-sanitarie. In assenza di tali attrezzature e' consentita solo la vendita di pane preconfezionato all'origine dall'impresa produttrice.D.P.R. n. 187/2001. Il pane è il più antico (furono gli antichi Egizi i primi a farlo) ed il più importante alimento dell’uomo. Il pane è il prodotto ottenuto dalla cottura di una pasta convenientemente lievitata , preparata con sfarinati di grano, acqua e lievito, con o senza aggiunta di sale comune. Normalmente, per il pane comune si adopera la farina di grano tenero di tipo 0, che viene indicato con il semplice nome di “pane”. Però, il pane può essere prodotto anche con le farine di grano tenero di tipo 00, tipo 1 e tipo 2, con semola o semolato di grano duro. Se il pane è ottenuto dalla miscelazione di diversi tipi di sfarinati, deve essere denominato "pane di ...", o "pane al ...",, seguito dal nome dello sfarinato caratterizzante usato; esempi: pane di tipo 1, pane alla semola, pane al semolato; se si utilizza farina integrale, si dice "pane di tipo integrale".
Analisi qualità
La produzione e commercializzazione degli sfarinati è regolata dal D.P.R. n° 187 del 9 febbraio 2001. Nell’analisi degli sfarinati vanno essenzialmente valutati parametri che servono per la classificazione merceologica delle farine di frumento.
Determinazione dell’umidità
Il contenuto di umidità di una farina varia con la temperatura e l’umidità esterne e il quantitativo di acqua adoperato nel lavaggio e condizionamento del grano in fase di molitura. Il tenore di umidità massimo tollerato per legge è di 14.5 %. L’analisi viene eseguita riscaldando 10 g di farina a 100°-105°C in stufa. A peso costante (la differenza tra due pesate non deve essere superiore a 1 mg), la differenza di peso prima e dopo il riscaldamento, riferita a 100 g di farina, rappresenta la % di umidità. % umidità = (M – m) x 100 / M M = peso campione prima dell’evaporazione, m = peso campione dopo l’evaporazione
Determinazione delle ceneri
Il quantitativo di ceneri in una farina dipende dal tasso di abburattamento. Esso può variare tra 0.50 % e 0.95 % e può raggiungere il 2% nelle farine integrali. Le ceneri sono costituite prevalentemente da P2O5 (50 %) e K2O (35 %) Il saggio per determinare le ceneri viene eseguito riscaldando un campione pesato di farina (5 – 10 g), posto in capsula di platino, a 550 – 590 °C in muffola. Il peso delle ceneri viene riferito a 100 g di sostanza secca.
Determinazione del contenuto di proteine
La determinazione del contenuto viene eseguita utilizzando il metodo Kjeldahl. Con questo metodo si determina il contenuto di azoto dal quale si ricava il contenuto di proteine utilizzando un opportuno parametro di conversione. Metodo di Kjeldahl. Il metodo consiste di tre step:
1. Il campione è digerito in H2SO4 in presenza di un catalizzatore; l’acido decompone per ossidazione le sostanze organiche liberando l’azoto sottoforma di ammonio solfato;
2. Per aggiunta di NaOH l’ammonio è convertito ad ammoniaca che è distillata e raccolta in una beuta contenente una quantità nota di acido in eccesso (in genere HCl);
3. Si retrotitola l’acido in eccesso con NaOH. Il contenuto di proteine va riferito a 100 g di sostanza e si calcola adoperando la seguente formula:
Sostanze azotate % = (V . N . F . 10000) / E . (100 – U) dove:
V = ml di acido 0,1 N;
N = 0,0014008 (grammi di azoto corrispondenti a 1 ml di acido 0,1 N);
E = peso del campione in grammi;
U = umidità percentuale del campione;
F = fattore di conversione dell’azoto in sostanze azotate, uguale a 5,70 per il frumento.
Frodi alimentari
Sofisticazione: E’ un'operazione che consiste nell'aggiungere all'alimento sostanze estranee che ne alterano l'essenza, corrompendo o viziando la composizione naturale e simulandone la genuinità con lo scopo di migliorarne l'aspetto o di coprirne difetti.
Adulterazione: Comprende tutte le operazioni che alterano la struttura originale di un alimento mediante sostituzione di elementi propri dell'alimento con altri estranei, ovvero con la sottrazione o aumento delle quantità proporzionali di uno o più dei suoi componenti, lasciando loro l’apparenza originaria. Le adulterazioni hanno riflessi non solo commerciali ma anche igienico-nutrizionali e, in alcuni casi, di grave pericolo per la salute pubblica.
Alterazione: Una sostanza alimentare si dice in stato di alterazione, quando la sua composizione originaria si modifica a causa di fenomeni degenerativi spontanei, determinati da errate modalità o eccessivo prolungamento dei tempi di conservazione.
Contraffazione:Consiste nel formare ex novo un alimento con l'apparenza della genuinità in quanto prodotto con sostanze diverse, per qualità o quantità, da quelle che normalmente concorrono a formarlo. Si tratta di una vera e propria falsificazione in quanto consiste nel dare fraudolentemente l’apparenza di genuinità ad una sostanza che si distingue da quella imitata per caratteristiche qualitative e quantitative.
Frodi comuni
• Vendita di pane a pezzi e non a peso.
• Vendita di pane ricco di umidità e pertanto più pesante per non essere stato portato alla cottura dovuta.
• Vendita di pane speciale con l’impiego di grassi diversi da quelli consentiti.
• “Pane” nero, prodotto dal carbone vegetale sostituito a volte con un addito chimico chiamato colorante E153.
Link report pesticidi dell'Unione Europea: https://multimedia.efsa.europa.eu/pesticides-report-2021/
Link regolamento Europeo sui pesticidi: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A32019R0533#:~:text=Commission%20Implementing%20Regulation%20(EU)%202019,of%20plant%20and%20animal%20origin