Si intende il ciclo biochimico attraverso il quale il carbonio viene scambiato fra geosfera, idrosfera, biosfera e atmosfera terrestre.
Le dinamiche di interscambio sono legate a processi chimici, fisici, geologici e biologici molto sensibili.
Il carbonio nella biosfera equivale a circa 1500 miliardi di tonnellate. Gli organismi autotrofi sono in grado di sintetizzare composti organici come il glucosio, usando CO2 dell'aria, acqua ed energia che può essere generata catturando le radiazioni solari (fotosintetici) o attraverso l’ossidazione di altri composti (chemiosintetici). I secondi organismi che influiscono sulla quantità di carbonio presente nella biosfera sono gli eterotrofi, i quali si nutrono di altri organismi o di parti di questi. L'assorbimento di materiale organico morto da parte di decompositori come funghi e batteri può avvenire attraverso la fermentazione o la decomposizione.
Gran parte del carbonio lascia la biosfera attraverso la respirazione, che può essere aerobica con CO2 e H2O come prodotti finali, o anaerobica con la produzione, nel caso di batteri metanogeni, di CH4.
La combustione di biomassa negli incendi boschivi o semplicemente l’utilizzo della legna per il riscaldamento urbano causa un grande rilascio di carbonio inorganico nell'atmosfera sotto forma di CO2 e CO. La materia organica morta che sedimenta, quando viene ricoperta da altri depositi sedimentari, viene incorporata nella geosfera.
Il carbonio nell'idrosfera è pari a circa 36.000 miliardi di tonnellate, costituito in gran parte dalla CO2 che solubilizza sul film superficiale d’acqua formando l'acido carbonico (H2CO3) nell'equilibrio dinamico tra atmosfera e idrosfera. Equilibrio dettato dalla pressione parziale di anidride carbonica nell'aria che spinge sulla superficie d'acqua. Altre fonti di carbonio sono le conchiglie che, fatte di carbonato di calcio, possono trasformarsi in calcare attraverso la sedimentazione. Il carbonio negli oceani è fondamentale in quanto regola il pH dell’acqua.
Dal periodo della grande Rivoluzione Industriale, a causa dell’attività antropica sono state rilasciate grosse quantità di CO2 nell’ atmosfera, con un conseguente impatto sull’equilibrio del ciclo del carbonio, arrivando anche a cambiare alcune delle sue fasi. In particolare, i gas di scarico prodotti dall’ utilizzo dei combustibili fossili (in particolare carbone e petrolio) e la deforestazione comporta degli effetti sull’ambiente gravissimi tra cui la minor capacità degli ecosistemi di resistere agli stress, effetti drammatici sugli ecosistemi particolarmente sensibili come le barriere coralline e l'aumento della temperatura e dei processi di decomposizione e di fotosintesi.
Le attività vulcaniche comportano un vasto rilascio di CO2 sia nell'atmosfera che nell'idrosfera, ciononostante gli uomini hanno un tasso di emissione di CO2 quasi 100 volte più alto. Quando un vulcano erutta, questo libera sulla superficie terrestre, nell'atmosfera o nell'idrosfera parte del contenuto della sua camera magmatica tra cui lava (composta da metalli fusi), cenere, lapilli e gas. I gas sono principalmente vapore acqueo e anidride carbonica, seguiti in minor quantità da anidride solforosa, monossido di carbonio, azoto, cloro e fluoro.
Dall'atmosfera l'anidride carbonica viene consumata dagli eterotrofi attraverso la fotosintesi che produce carbonio organico come glucosio; queste specie sono chiamate produttori. I consumatori primari e secondari si nutrono dei produttori, cioè piante e alberi assimilando attraverso questi ultimi il carbonio. Lo liberano in seguito nell'ambiente in due modi diversi: attraverso la respirazione e la decomposizione. Alla morte del consumatore, i detritivori (microbi del suolo) e i decompositori consumano parte dell’organismo trasformandolo nuovamente in anidride carbonica. Il ciclo del carbonio, come ogni ciclo naturale, è molto sensibile e una piccola variazione dei fattori da cui dipende potrebbe generare danni catastrofici.
I PARAMETRI CHIMICO – FISICI DELLE ACQUE
Tutte le forme viventi sulla Terra hanno bisogno di acqua per vivere. Nel mondo il 96% dell’acqua è marina, la quale non può essere bevuta o usata per le attività agricole. La restante percentuale di acqua è composta dall’acqua dolce, della quale quasi ¾ è intrappolata nei ghiacciai o nelle calotte polari. Quindi è un bene ambientale assai ricercato. È di notevole importanza conoscere i vari tipi di attività chimica che predominano nelle acque naturali, soprattutto per quelle destinate al consumo umano. Per valutare queste attività si effettuano delle misurazioni su determinati parametri chimico-fisici. Questi sono:
Ossigeno disciolto (OD)
pH
Temperatura
Conducibilità elettrica
Concentrazione di nitrati
Concentrazione di fosfati
Torbidità
L’ossigeno disciolto è un parametro che esprime la quantità di ossigeno disciolto nell’acqua ed è fondamentale per definire l’idoneità alla vita di un corpo acquifero; infatti, i pesci necessitano di una quantità di ossigeno di circa 5/6 ppm per sopravvivere.
L’ossigeno disciolto è il principale agente ossidante dell’ecosistema fluviale ed è il risultato dei processi di scambio naturali che avvengono nelle acque. Questi processi di scambio dipendono sia da fattori termodinamici che cinetici.
Dal punto di vista termodinamico, si viene ad instaurare tra aria ed acqua un equilibrio dinamico e come tale è soggetto al principio di Le Chatelier per quanto riguarda temperatura (all’aumentare della temperatura la quantità massima di ossigeno che si solubilizza diminuisce), pressione parziale (con cui l’ossigeno agisce a livello di interfaccia, e quindi dalla pressione atmosferica: maggiore è la pressione dell’ossigeno maggiore sarà la sua quantità solubilizzata), e concentrazione che in questo caso chiameremo salinità (l’attività delle specie in soluzione è influenzata dalla forza ionica, quindi maggiore sarà la salinità maggiore sarà la solubilità dell’ossigeno). Al contrario, dal punto di vista cinetico come fattori discriminanti troviamo la differenza di temperatura tra aria ed acqua, la superficie di contatto tra aria e acqua, la quantità di alghe e microrganismi (che altera la concentrazione di ossigeno nell’acqua) e fenomeni di demolizione di materiale organico biodegradabile (grazie a certi microrganismi che se ne nutrono, consumando ossigeno).
La misurazione dell’ossigeno disciolto è di notevole importanza per determinare la salute degli esseri viventi che vi vivono e per correlare il grado di ossigenazione dell’acqua e valutare la presenza di fenomeni di eutrofizzazione (ovvero di produzione di ossigeno da parte di eccessive piante verdi) o di asfissia ( che esprime una situazione di carenza grave di ossigeno a causa di un elevato carico inquinante da degradare e di un ricambio non adeguato). Per determinare se il corso d’acqua si trova in condizioni di normalità o di asfissia/eutrofizzazione, si ricorre all’indice percentuale di insaturazione. Utilizzando un kit fatto apposta per l’ossigeno disciolto si fa reagire l’acqua del campione con determinati reagenti e, dopo una serie di reazioni redox, è possibile trovare la concentrazione di ossigeno in mg/L. La percentuale di insaturazione può essere poi trovata grazie all’utilizzo di un particolare diagramma che presenta i valori di temperatura e di mg/L di ossigeno disciolti. Collegando la temperatura dell’acqua leggibile sul segmento superiore, e la concentrazione in mg/L di ossigeno disciolto, leggibile sul segmento inferiore, con una linea, si vedrà che questa incrocia un segmento diagonale, su cui sono segnati dei valori. Il punto in cui la linea da noi disegnata incrocia il segmento diagonale ci fornisce il valore in percentuale di ossigeno disciolto. Se questo cade intorno al 100% allora i valori di ossigeno si trovano nella normalità, mentre se il valore trovato è inferiore al 60% ci si trova in presenza di asfissia mentre un indice di insaturazione maggiore del 120% indica eutrofizzazione.
La sostanza più comunemente ossidata dall’OD è il materiale organico di natura biologica come le piante morte o le deiezioni degli animali. La massa idrica dei torrenti e dei fiumi viene continuamente areata durante il suo scorrimento. Invece, l’acqua stagnante o quella presente nei fondali di un lago profondo è quasi del tutto priva di ossigeno a causa della sua reazione con la materia organica e per l’assenza di un meccanismo di rifornimento rapido. Con l’espressione domanda biochimica di ossigeno o BOD si intende la capacità della materia organica e biologica, presente in un campione di acqua naturale, di consumare ossigeno, con un processo catalizzato dai batteri presenti. Il valore di BOD viene valutato sperimentalmente determinando la concentrazione dell’ossigeno disciolto rilevata all’inizio e alla fine di un determinato periodo di tempo, durante il quale il campione d’acqua sigillato e inseminato con batteri, viene mantenuto in ambiente buio ad una temperatura costante. Il BOD quindi equivale alla quantità di ossigeno consumata durante questo periodo di tempo. Un metodo più rapido di determinazione della domanda di ossigeno consiste nella valutazione della domanda chimica di ossigeno o COD di un campione d’acqua. Questo valore equivale ai mg di ossigeno necessari per ossidare chimicamente le sostanze presenti in 1 L d’acqua. La determinazione sperimentale di questo valore viene attuata grazie ad un potente agente ossidante, lo ione dicromato disciolto in acido solforico. Questa miscela viene utilizzata per ricavare il valore di COD. Aggiungendo dicromato in eccesso si ottiene una soluzione, la quale poi viene retro-titolata con una soluzione di ferro. Il numero di moli di ossigeno che il campione dovrebbe aver consumato per ottenere l’ossidazione del medesimo materiale è pari al numero di moli di dicromato moltiplicato per 6/4, dato che quest’ultimo accetta 6 elettroni per ogni ione mentre l’ossigeno ne accetta solo 4. C’è tuttavia da dire che il valore di COD è più elevato rispetto a quello di BOD in quanto la miscela acido solforico e dicromato è un agente ossidante talmente potente da ossidare le sostanze che l’ossigeno nelle acque naturali impiegherebbe molto più tempo a ossidare o non ossiderebbe affatto.
Un altro parametro chimico-fisico da considerare è il pH. È importante perché la maggior parte delle reazioni nei sistemi naturali gas/acqua/roccia sono controllate dal pH del sistema, in quanto influenzato dalla natura delle sostanze disciolte in acqua. Ad esempio i suoli calcarei causano la solubilizzazione dei bicarbonati e generano pertanto pH basici grazie alla reazione ce questi hanno con l’acqua. Il pH inoltre influisce sull’azione di deposizione, detta anche azione incrostante: un pH acido aumenta la solubilità dei metalli pesanti, mentre un pH basico aumenta la torbidità dovuta alla precipitazione di solfuri ed idrossidi. Infine il pH è importantissimo per la vita acquatica in quanto è determinante nell’instaurazione di alcuni equilibri chimici importanti per l’ecosistema.
Un’altra misura da effettuare durante l’analisi delle acque è la temperatura, in quanto è direttamente correlata ai valori di pH e di ossigeno disciolto. Infatti la temperatura, come detto in precedenza, influenza gli equilibri chimici in gioco (diminuisce la solubilità dei gas, altera la dissociazione degli elettroliti ecc.). Di conseguenza è importante per la vita acquatica in quanto induce cambiamenti nell’equilibrio dell’ecosistema. È molto importante inoltre per registrare gli inquinamenti di tipo termico indotto lungo il corso d’acqua da scarichi di tipo urbano o da eventuali impianti di raffreddamento di scarichi industriali. Per poter scaricare dell’acqua di rifiuto in un dato corso, la differenza di temperatura tra lo scarico e l’ambiente che lo riceve deve essere inferiore ai 3 °C.
Un altro importante parametro per determinare se un corso d’acqua è inquinato o meno è la concentrazione di nitrati. I nitrati non sono altro che una forma in cui può presentarsi l’azoto nel suo specifico ciclo. Dall’atmosfera, in cui è presente sottoforma di N2, viene trasformato in ammoniaca, nitriti e nitrati grazie all’azione di batteri nitrificanti che si trovano naturalmente nel suolo, in particolare nelle radici delle leguminose. L’azoto entra poi nella catena alimentare attraverso i vegetali che lo assorbono dalle radici sotto forma di nitrato, trasformandolo in molecole organiche azotate. L’azoto infatti è un elemento fondamentale per la costituzione delle proteine e l’uomo lo può assorbire solo con l’alimentazione. In acque inquinate i vari composti azotati sono o il risultato dell’azione metabolica dei batteri demolitori di molecole organiche proteiche, che progressivamente portano alla formazione di azoto nel suo massimo stato di ossidazione, oppure derivano dall’impiego di azoto inorganico in agricoltura o nell’industria. Quindi si cercano i nitrati in quanto ultimo stadio dei processi ossidativi ed unica forma utilizzabile dai vegetali. Per cui sono, assieme ai fosfati, indice di ambiente favorevole al fenomeno dell’eutrofizzazione. Dato che i nitrati sono l’unica forma utilizzabile dalle piante come nutriente azotato, se nel corso d’acqua si riscontra un quantitativo di nitrati particolarmente elevato, questa quantità potrebbe derivare da elevate attività antropiche di tipo agricolo o di allevamento, da abbondanti scarichi civili o dal dilavamento dei terreni privi di vegetazione.
Ora invece ci colleghiamo al fosforo totale, quindi sia organico che organico, espresso sottoforma di fosfato. Come l’azoto, anche il fosforo può essere considerato come nutriente per le piante e quindi può causare eutrofizzazione, specialmente nei bacini chiusi, causando loro una rapida trasformazione in palude e terraferma. Se presente nell’acqua a basse concentrazioni, la crescita delle piante risulta essere ottimale, ovvero limitata e non in eccesso. Come per l’azoto anche per il fosforo si possono considerare gli stessi tre fattori influenzanti che causano l’aumento della quantità di fosforo solubile e rapidamente assimilabile.
Infine, l’ultimo parametro di cui tenere conto è la torbidità. Questa è il risultato della presenza di materiali solidi in sospensione che possono causare la limitazione del passaggio della luce negli strati profondi dell’acqua. Provoca inoltre l’innalzamento della temperatura dell’acqua superficiale e quindi una riduzione dell’ossigeno disciolto in essa. Risulta pertanto importante rilevarla per la vita acquatica in quanto induce modificazioni alla temperatura dell’acqua a livello superficiale, per la riduzione dell’attività fotosintetica depurante del corso d’acqua e infine per la fauna ittica, con riduzione dello sviluppo di larve e uova, possibili danni meccanici alle branchie e riduzione della resistenza alle malattie.
Sono quel gruppo di metalli con un peso atomico superiore a quello del ferro, con un’elevata densità e che hanno degli effetti tossici sull’ambiente e sugli organismi viventi. Dato che questa è una definizione incompleta e generica, la IUPAC (International Union of Pure and Applied Chemistry) ha stabilito le caratteristiche che questi metalli devono avere, ovvero:
Una densità superiore ai 5.0 g/cm3
Un comportamento assimilabile a quello dei cationi
Una bassa solubilità quando in forma di idrati
La tendenza a formare complessi
Un’affinità ai solfuri
Ciò che li rende pericolosi è il fatto che non possono essere degradati dall’attività biologica e/o fotochimica, e di conseguenza si accumulano negli organismi interferendo con i processi enzimatici. Infatti, legandosi ai gruppi sulfidrilici presenti negli enzimi, questi metalli impediscono agli enzimi di funzionare correttamente, causando danni alla salute anche seri se assunti in grandi quantità.
Al contrario di quello che si potrebbe pensare, i metalli pesanti possono essere trovati in tutte le quattro già menzionate “sfere” dell’ecosistema terrestre: anche gli organismi viventi contengono una certa quantità di questi elementi, sebbene in concentrazioni molto piccole. Inoltre, possono essere trasportati dai moti ondosi e dai venti da un luogo all’altro, per cui ambienti che in teoria non avrebbero niente a che fare con questi metalli potrebbero nel tempo ritrovarsene un ingente quantitativo.
Se una determinata zona presenta grandi quantità di uno o più metalli, questi saranno assunti dagli organismi vegetali e animali di quel luogo. Dato che gli unici processi naturali che permettono a noi esseri umani di liberarci di queste sostanze, ovvero la salivazione, la traspirazione, l’allattamento e le reazioni metaboliche, riescono ad eliminare solo una piccola parte di queste, si sviluppa il fenomeno della bioaccumulazione, in cui i metalli pesanti vengono accumulati nel nostro corpo causandogli i danni citati sopra. Ogni elemento tende ad accumularsi in determinati organi e parti del corpo; in particolare, sono colpite specialmente le ossa, i polmoni, il fegato, i reni, lo stomaco, il cuore e il cervello.
Al fine di rimuovere in maniera efficace i metalli pesanti dall’organismo, si possono utilizzare determinate molecole, chiamate agenti chelanti, che si legano ai metalli formando un composto che può essere facilmente espulso dal nostro corpo. Tra i più usati abbiamo l’EDTA e il dimercaprolo o BAL (British Anti-Lewisite), che sfruttano rispettivamente le cariche negative dovute a elettroni di non legame e l’affinità ai gruppi -SH.
Quando però questi metalli vengono riversati nell’ambiente, la loro rimozione risulta molto più complicata e costosa. Purtroppo, nonostante la loro riconosciuta pericolosità, il nostro Paese è ancora carente nell’applicazione delle normative europee per diminuire l’inquinamento da metalli pesanti: secondo un rapporto di Legambiente del 2011, l’Italia è una delle nazioni in Europa che produce la maggiore quantità di inquinamento delle acque ad opera di metalli pesanti nell’acqua secondo i dati dell’E-PRTR (European Pollutant Release and Transfer Register). In particolare, l’Italia risultava essere la seconda nazione produttrice di arsenico e mercurio e la prima produttrice di cadmio e nichel. A peggiorare ulteriormente la situazione c’è anche il fatto che, osservando i dati dell’ultimo anno archiviato, ovvero il 2017, si può notare che, mentre le emissioni di mercurio sono rimaste pressoché stabili negli anni, le emissioni degli altri metalli sono aumentate. A causa di ciò, molti comuni italiani potrebbero essere inquinati da questi metalli pesanti, il che potrebbe danneggiare irrimediabilmente la salute della popolazione.
Il cadmio è un metallo pesante, simbolo chimico Cd. Il suo nome deriva da quello della città di Cadmo, vicina a Tebe, dove veniva estratto nell’antichità.
È un metallo bianco argenteo e malleabile presente in tracce nella crosta terrestre, nell’aria e nell’acqua. Si tratta di un minerale che ha una struttura abbastanza simile a quella dello zinco. Per il nostro organismo, però, non presenta alcuna funzione biologica e in molti casi è proprio lo zinco a tenere sotto controllo i potenziali effetti tossici del cadmio all’interno dell’organismo umano.
Poiché reagisce facilmente con altri elementi formando vari composti, alcuni dei quali tossici, il cadmio si trova raramente nella sua forma pura o elementare. La forma minerale primaria del metallo è il solfuro di cadmio; i due composti di cadmio che si dissolvono facilmente nell’acqua sono il solfato e il cloruro di cadmio. Il cadmio viene rilasciato nel suolo, nell’acqua e nell’aria da fonti naturali, ma soprattutto in seguito a lavorazioni industriali. È stato stimato che più del 90% del cadmio presente nell’ambiente derivi da attività umane mentre solo il 10% è di origine naturale.
Una volta che viene emesso nell’aria, si diffonde con il vento percorrendo anche lunghe distanze dal sito di emissione, e si deposita sul suolo o sulla superficie dell’acqua. Livelli più elevati di cadmio possono essere trovati nel suolo o nelle acque vicino a zone industriali o a siti di rifiuti pericolosi, nelle aree vicine a strade ad alta percorrenza o nei terreni agricoli fertilizzanti. Nel suolo, il cadmio si lega fortemente alla materia organica e viene assorbito dalle piante e dalle colture agricole, entrando così nella catena alimentare. Anche le acque superficiali possono contenere cadmio disciolto e può accumularsi, in genere a bassi livelli, anche negli organismi acquatici. I pesci ed alcuni invertebrati sono notevolmente sensibili a questo metallo, anche se è presente a basse concentrazioni. Esistono alcuni pesci che hanno la capacità di concentrarlo: nei loro muscoli è stato riscontrato anche a livelli 1000 volte superiori a quelli presenti nell’acqua. Per questo, la tossicità del cadmio per gli animali è stata ben documentata nel corso di questi anni: l’eccessivo accumulo di tale metallo provoca nelle piante clorosi e necrosi, negli animali tossicità e morte. Tra gli elementi in traccia, assieme al mercurio, è quello considerato più rilevante in relazione alla tossicità ed ai rischi per la salute dell’uomo.
Fino alla metà del ‘900, il cadmio era usato principalmente per conciare la pelle o come pigmento nei coloranti, ma le quantità utilizzate erano comunque piuttosto limitate. Oggi è utilizzato principalmente per:
batterie nichel-cadmio 83%, come fonti di energia riciclabile caratterizzate da lunga durata, bassa manutenzione ed elevata resistenza a stress fisico ed elettrico
coloranti 8%
rivestimenti e placcature 7%, per la sua elevata resistenza alla corrosione, in particolare nel campo marino e aereospaziale
stabilizzatori per materie plastiche 1.2%
leghe con altri metalli per saldature, conduttori elettrici e altri usi 0.8%
FONTI AGRICOLE, immissioni di cadmio da:
Concimi minerali e organici. Si ha un’alta concentrazione nei fosfati minerali grezzi i quali vanno a costituire i concimi minerali, appunto, fosfatici. In base alla loro provenienza, la concentrazione di cadmio può variare dai 0.3 ai 100 mg/kg, generalmente le concentrazioni più alte si riscontrano nei fosfati minerali dell’Africa del Nord e le minori in quelli dell’ex Unione Sovietica. Anche il carbonato di calcio utilizzato per correggere il Ph dei terreni può contenere cadmio; mentre per quanto riguarda i concimi potassici e azotati, il problema non si pone.
Fitofarmaci usati soprattutto in viticoltura, orticoltura e frutticoltura contribuiscono all’apporto di vari metalli pesanti, l’apporto di cadmio è irrilevante
Il compost, anche se l’apporto di cadmio all’agricoltura tramite questa via è diminuito, diventa quindi trascurabile
I fanghi di depurazione che apportano quantità pari a 0,022 g/ha annui; qui si concentrano i metalli pesanti che vengono rimossi dalle acque sottoposte a trattamento depurativo e che derivano da fonti domestiche e industriali
FONTI EXTRA-AGRICOLE, deposizioni atmosferiche dovute a
cause naturali come ad esempio gli incendi boschivi, le eruzioni vulcaniche, il processo di alterazione delle rocce, durante i quali i metalli pesanti vengono trasferiti nella soluzione circolante del suolo;
origine antropica attraverso l’utilizzo di combustibili fossili, la combustione dei rifiuti, durante lo smaltimento delle batterie le quali ne contengono 5 g che verranno quindi a ritrovarsi nell’ambiente, rilasci dovuti alle attività industriali.
EFFETTI SULLA SALUTE
Gli effetti del cadmio sulla salute dipendono principalmente dalla quantità del metallo nell’organismo, dalla durata dell’esposizione e dalla via di esposizione.
Se il cadmio viene inalato, nei polmoni ne viene assorbito il 5-50%, quantità che poi entra nel circolo sanguigno; mentre se viene ingerito, la quantità assorbita è del 1-10%; mentre ancora se passa attraverso la pelle, ne viene assorbito meno del 1%.
Una volta entrato in circolo, il cadmio si distribuisce ampiamente in tutti gli organi, le quantità più alte si trovano nel fegato, nei reni e nelle ossa, dove si accumula e rimane per tempi molto lunghi, anche fino a 30 anni. Il cadmio assorbito viene infatti espulso molto lentamente attraverso urine e feci.
L’intossicazione da cadmio può essere di tipo acuto o cronico.
L’intossicazione acuta riguarda principalmente i lavoratori che subiscono esposizione diretta nel breve periodo a fumi contenenti alte concentrazioni di cadmio. Questi sviluppano febbre e una polmonite chimica che si manifesta dopo poche ore dall’esposizione, provoca danni ai polmoni e nel 20% dei casi, dopo qualche giorno, porta alla morte del soggetto intossicato. In seguito alle leggi per la protezione della salute dei lavoratori e ai controlli più accurati negli ambienti d lavoro, questo tipo di intossicazione è diventata molto rara. Altri disturbi causati da esposizioni brevi ma a dosi alte includono crampi muscolari, danni al fegato, insufficienza renale, ma anche nausea, vomito, diarrea, crampi addominali causati dall’ingestione di cibo o acqua contaminati con alte quantità di cadmio. Gli alimenti rappresentano oltre il 90% dell’esposizione umana al cadmio poiché, come già detto, entra nella catena alimentare attraverso terreni agricoli e fonti d’acqua contaminate. In genere, verdure a foglia larga come lattuga e spinaci, ma anche patate e cereali, arachidi, semi di soia e semi di girasole, contengono alti livelli di cadmio. L’ingestione del cadmio attraverso l’acqua è, generalmente, di 10 volte inferiore rispetto a quella associata al cibo.
Una minima parte della quantità di cadmio introdotta con gli alimenti può derivare anche dall’utilizzo, nella preparazione e lavorazione di cibi, di utensili e attrezzature sottoposti a cadmiatura, ovvero rivestiti con un sottile strato di cadmio metallico.
L’intossicazione cronica è dovuta a esposizioni ripetute a basse dosi. Respirare bassi livelli di cadmio per molti anni, come nel caso dei fumatori, o consumare cibi e acqua contaminata ai livelli normalmente presenti nell’ambiente, può provocare un accumulo di cadmio nell’organismo e portare a malattie renali, pressione arteriosa, malattie cardiovascolari, osteoporosi, tumori al polmone.
Nel sangue il cadmio si trova legato ad alcune proteine dette metallotioneine, in questa forma arriva ai reni per essere eliminato ma, una volta filtrato, viene in parte riassorbito dalle cellule renali che degradano le metallotioneine, rilasciando cadmio libero. Quando la quantità di quest’ultimo è troppo elevata, le cellule renali vengono danneggiate e si verifica una disfunzione renale.
Per quanto riguarda gli effetti sulle ossa, la prolungata esposizione al cadmio può rendere le ossa più fragili con più alti rischi di frattura e alta incidenza di osteoporosi.
Esistono particolari test in grado di misurare la presenza di cadmio nei tessuti, sangue, urine, feci, capelli, fegato e rene, per valutare se, e in che misura, ci sia stata un’esposizione al metallo. L’eventuale presenza del metallo non significa necessariamente la comparsa di malattie ad esso correlate, ma ciò dipende dai valori più o meno alti e dalla risposta individuale. La quantità di cadmio delle urine è il biomarcatore più significativo per valutare l’esposizione. I livelli di cadmio nel sangue sono principalmente indicativi di esposizioni recenti. Nelle feci, indica la quantità assunta quotidianamente con gli alimenti, ed eventualmente, per i lavoratori esposti al cadmio per inalazione, per stimare la quantità inalata o ingerita incidentalmente sotto forma di polvere. Le concentrazioni in fegato e reni richiedono tecniche complesse e attrezzature sofisticate, perciò sono utilizzate solo in casi particolari. Inoltre un aumento delle mettallotioneine nel sangue possono indicare un’esposizione al sangue che ne fa aumentare la produzione come meccanismo di difesa.
Il monitoraggio sull’ambiente invece avviene attraverso l’indagine su particolari esseri viventi che possono fungere da bioindicatori o bioaccumulatori. I bioindicatori subiscono delle modificazioni a livello di morfologia, di vitalità, della funzionalità a seconda del grado di inquinamento nell’ambiente in cui vive. Per essere ottimale deve fornire anche caratteristiche quantitative I bioaccumulatori sono invece organismi in grado di sopravvivere in presenza di inquinanti, e analizzando il quantitativo di queste sostanze nei suoi tessuti e organi espresso in microgrammi di metallo su grammi di animale, peso secco, è possibile risalire alla quantità di inquinanti nel terreno. A queste indagini, è stato da poco affiancato un altro metodo basato sulle risposte che un organismo può dare se sottoposto a stree chimico ambientale. Un organismo definito biomarcatore o indice di stress. Studiandone le risposte è possibile prevedere gli effetti nocivi che avrà l’inquinante in caso di patologie.
Essere consapevoli delle possibili fonti di cadmio può aiutare a limitare la propria esposizione: eliminare correttamente le batterie in nichel-cadmio seguendo le regole della raccolta differenziata; non fumare sigarette ridurrebbe l’esposizione al cadmio sia del fumatore che delle persone che gli stanno attorno; utilizzare dispositivi di protezione individuale per controllare l’esposizione professionale.
In Europa l’EFSA (European Food Safety Authority), sulla base di dati statistici, ha stabilito una dose settimanale accettabile di cadmio pari a 2,5 microgrammi per ogni chilo di peso corporeo, quantità che corrisponde a quella normalmente ingerita dalla popolazione (in media attraverso l’alimentazione l’esposizione è pari a 2,3ɥg/kg a settimana nel caso di esposizione elevata) tuttavia alcune categorie di persone, esempio i vegetariani, ingeriscono maggiori quantità di cadmio a causa della loro dieta (pari a 5,4ɥg/kg). Per questo l’EFSA raccomanda di mettere in pratica misure che permettano di ridurre l’emissione di cadmio nell’ambiente a protezione di tutti i consumatori. Le soglie di concentrazione in aria e acqua, calcolate su base temporale annuale e definite dal D.Lgs. 155/2010, per la protezione della salute umana è di 5,0 ng/m3 per il cadmio.
Introduzione Tratto da “Il manifesto”, edizione del 28.2.2020. L’inchiesta giudiziaria è relativa al sequestro di un deposito illegale di rifiuti industriali nel territorio di Bisignano, che da anni inquinava il fiume Mucone (è stata rilevata una presenza di inquinanti 40 mila volte superiore ai limiti consentiti). Tra questi, l’Arsenico (che, peraltro, ha dato il nome all’operazione).
Etimologia La parola arsenico deriva dal termine persiano Zarnik, che significa “ornamento giallo”; venne poi riadatto dagli antichi greci nella forma Arsenikon.
L’Arsenico attraverso la storia
Antichità L’arsenico era conosciuto fin dall’Età del Bronzo, dove veniva unito al rame per creare una lega simile al bronzo, nota come “Bronzo Arsenicale”.
Medioevo Nel Medioevo l’arsenico divenne molto utilizzato nella forma di arsenico bianco (As2O3), un veleno molto potente. I sintomi dell’avvelenamento erano infatti poco definiti (generalmente danni gastrointestinali) rendendolo molto difficile da individuarlo. L’arsenico (III), infatti, viene trattenuto molto a lungo nell’organismo, in quanto forma un legame con i gruppi sulfidrici negli enzimi. La conseguente inattività di questi enzimi riducendo l’energia vitale delle cellule, portandone il danneggiamento. Si può tuttavia mitigare l’effetto letale di questa molecola, assumendolo in piccole dosi. Questo metodo venne usato, tra gli altri, da Mitridate VI del Ponto (sovrano della regione e antico nemico dei Romani, che costrinse a ben 3 guerre) e Rasputin (mistico russo, consigliere personale dello zar Nicola II di Russia).
Alchimia Tuttavia l’arsenico non veniva usato solo con intenti malefici. In alchimia, l’arsenico veniva usato con intenti curativi e magici, per curare alcuni disturbi tra cui l’impotenza. Veniva usato anche per creare un medicamento per prevenire la peste. In un composto con lo zolfo veniva usato per indurre l’utilizzatore in una trance mistica e spirituale, permettendo di dare una direzione al proprio spirito.
Età Vittoriana 1814. Una compagnia tedesca, la Wilhelm Dye and White Lead Company, sviluppò un nuovo colorante per tessuti verde, più luminoso e audace. L’ombra che le pieghe gettavano sul vestito lo facevano assomigliare a un gioiello, tanto che questa tintura divenne conosciuta come “Emerald Green”. La neo-introdotta illuminazione a gas, inoltre, faceva spiccare le caratteristiche dei tessuti di questo colore, che diventò talmente diffuso da forgiare un detto relativo al periodo. Si diceva infatti che la Gran Bretagna vittoriana fosse “immersa nel verde”.Sfortunatamente, nella preparazione di questi tessuti era utilizzato Arsenico. Il tessuto produceva ulcere, vesciche , piaghe e croste al tatto, oltre ad indurre il rigurgito di sangue e la perdita di capelli. Infine la morte, che colpì le dame che vestivano questo splendido colore, i bambini che spesso entravano in contatto con i tappeti e la carta da parati. I malati venivano, per ironia della sorte, messi a riposo in stanze dove venivano usati quegli stessi tessuti, ove l’esposizione all’As avrebbe dato loro il colpo di grazia. L’esposizione all’As uccideva anche le lavoratrici che fabbricavano i tessuti. Il caso di Matilda Scheurer, appena diciannovenne, fece molto scalpore all’epoca. Prima di morire, vomitò verde e le sue pupille divennero di colore verde. Sul letto di morte dichiarò come tutto ciò che vedesse fosse di colore verde. Ma nonostante tutto, i britannici continuavano a vestire capi in verde smeraldo, pur sapendo della loro pericolosità, perlomeno fino al 1895, quando il governo sviluppò leggi per la regolamentazione dell’ambiente di lavoro, per limitare l’esposizione all’As, e si iniziò la ricerca di un colorante alternativo.
Test di Marsh Fu proprio in questo periodo di elevata esposizione all’As, che un chimico britannico, J. Marsh, ideo un metodo per determinare tracce di Arsenico talmente piccole da sfuggire alle analisi più comuni. Il campione viene introdotto in un pallone contenente zinco e H2SO4. L’arsenico porta alla formazione di AsH3, o arsina, un gas. Essa viene raccolta e inviata in un primo tubo, contente CaCl2, dove si secca, e poi in un secondo tubo. Qui viene riscaldata fino a 250-300°C, T alla quale si decompone in As e H. 2 AsH3 🡪 2 As + 3 H2 L’As si deposita sotto forma di una macchia nera splendente. Nonostante al giorno d’oggi si tratti di una tecnica antiquata, questo test fu estremamente importante, in quanto per la prima volta era possibile determinare scientificamente i casi di avvelenamento da As e Sb (antimonio).
Forme, proprietà e fonti
L’arsenico è un metalloide, il cui numero atomico è 33. Presenta 3 diverse forme allotropiche: giallo, nero e grigio; quest’ultimo, peraltro è il più comune. L’unico isotopo stabile naturale dell’arsenico è 75As. Esistono tuttavia 33 radionuclidi artificiali, con numeri di massa compresi tra 60 e 92, il cui più stabile è il 73As., con un tempo di dimezzamento di 80 giorni. Dal punto di vista della reattività, l’As è simile al fosforo, tanto da sostituirlo parzialmente in alcune reazioni biochimiche. Da qui il suo effetto tossico. Sublima inoltre alla T di 615°C.Fintanto che quest’elemento si trova in aria asciutta è stabile, ma se esposto all’umidità viene a formarsi una patina color bronzo-dorato, che finisce per annerire.
Rumianca: L’arsenico viene ricavato comunemente dall’arsenopirite, un minerale dal quale viene ricavato per arrostimento. Questo processo fu alla base del successo economico della società Rumianca, sviluppato nello stabilimento di Carrara Avenza.
Utilizzi
Uno dei più pericolosi utilizzi dell’arsenico è un trattamento del legno con arsenocromato di rame o CCA, proibito poiché rilascia lentamente arsenico nel terreno circostante e in quanto, se questo legno venisse bruciato, l’As si concentra nelle ceneri e risulta velenoso per ingestione. Spesso, infatti, il legno trattato con CCA viene recuperato dalle vecchie costruzioni e bruciato per cucinare.
L’arseniuro di gallio viene usato come semiconduttore nei circuiti integrati o nei pannelli fotovoltaici. Sono più veloci, ma più costosi, di quelli in silicio.
L’As2O3 viene utilizzato nella cura della leucemia promielocita acuta, laddove il paziente risulti resistente alla terapia con acido trans-retinoico.
Viene usato nella realizzazione dei fuochi d’artificio.
L’As viene spesso usato negli insetticidi (ex. arseniato di piombo è stato usato sugli alberi da frutto, risultando in gravi danni neurologici per i lavoratori che lo spargevano; triossido impiegato per disinfestare le case Australiane dalle termiti).
Quest’ultimo utilizzo, in particolare, è una delle maggiori fonti antropogeniche dell’As per l’ambiente. Altre fonti sono i processi di produzione di ferro e acciaio, la combustione del carbone (di cui è un contaminante) e i processi di fusione e estrazione di oro, piombo, rame e nichel, nei cui minerali è spesso presente). Per decenni, infatti, il percolato di miniere aurifere abbandonate è stata una delle maggiori cause di inquinamento da arsenico nelle acque.
ARSENICO NELL’ACQUA POTABILE
Arsenico (As) e composti arsenicali sono stati valutati cancerogeni per l’uomo da oltre 30 anni da parte della Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC 1980, 1987). Nel 2004 l’As in acqua per uso umano è stato classificato come cancerogeno accertato per l’uomo (gruppo 1) (IARC 2004). Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse sulle esposizioni a dosi moderate di arsenico inorganico (Asi) e di forme organiche e sulle conseguenze sulla salute in riferimento a diverse patologie non tumorali con evidenze ancora insufficienti o limitate, quali malattie cardiovascolari, diabete e disordini neurologici.
Oltre alla perdurante attenzione rivolta alle comunità esposte a livelli elevati di As nelle acque, sono di crescente interesse i possibili effetti sulla salute di esposizioni a livelli moderati che interessano più ampie popolazioni. La valutazione dei rischi sanitari associati all’esposizione a concentrazioni di As in acqua superiori al livello di protezione per la salute di 10 µg/L (WHO, 2001) e inferiori a 50 o 100 µg/L è oggetto di considerevole interesse in campo di sanità pubblica, ricerca e legislazione. Un interesse crescente inoltre riguarda altre vie di esposizione, con particolare riferimento alla catena alimentare e alla via aerea. Gli studi epidemiologici su popolazioni esposte a concentrazioni moderate di
As nelle acque potabili sono comunque ancora limitati ed eterogenei. In Italia il problema della presenza di As nelle acque per usi civili ha riguardato vaste aree, suscitando anche inquietudine nelle comunità coinvolte. Negli anni recenti in numerosi comuni sono stati effettuati interventi per garantire l’adeguamento al livello di concentrazione di 10 µg/L, in alcuni casi ancora in corso di realizzazione. Problema sanitario: contaminazione da As nelle acque potabili (viene ingerito essendo incolore, inodore e insapore) e cancro per ingestione.
Esiste una sinergia tra esposizione As ambientale e fumo per il cancro al polmone. Non esistono valori soglia definiti a livello internazionale ma diverse ricerche in tutto il mondo hanno fornito dati in base al luogo, al suo stato ambientale e civile, alle persone, al loro comportamento ed alle loro abitudini.
Effetti cancerogeni
Cancro della pelle
Cancro della vescica
Cancro del polmone
Effetti non cancerogeni
Lesioni cutanee
Sistema cardiovascolare
Diabete
Effetti respiratori
Genotossicita’ dell’arsenico
È noto da tempo che l’arsenico inorganico ha un forte effetto genotossico nelle cellule causando modificazioni al DNA, come aneuploidie(è una variazione nel numero dei cromosomi, rispetto a quello che normalmente caratterizza le cellule di un individuo della stessa specie. L'aneuploidia è una anomalia cromosomica), formazione di micronuclei, aberrazioni cromosomiche, delezioni, scambio di cromatidi fratelli e legami crociati tra DNA e proteine (Pierce et al., 2012). Sono stati proposti diversi meccanismi che spiegano la genotossicità dell’arsenico, tra i quali l’induzione di stress ossidativo e l’inibizione dei meccanismi di riparo del DNA (Martinez et al., 2011). È stato dimostrato che l’arsenico non reagisce in modo diretto con la molecola del DNA, non è infatti in grado di causare mutazioni puntiformi come altre sostanze mutagene. Tuttavia, a dispetto della sua scarsa capacità di causare mutazioni, esso agisce sulla attività mutagena di altre sostanze cancerogene.
Rimozione As dall’acqua
Far scorrere l’acqua sopra l’allumina attivata sulla cui superfice l’As rimane adsorbito. Esistono anche sistemi a scambio anionico e ad osmosi inversa in fase di miglioramneto. Oppure lo si può fare precipitare sottoforma di un suo sale con la reazione: Fe 3 + +AsO 4 3- -> FeAsO 4(s) dopo ossidazione da As (III) ad As (V). As in forma organica e altre forme molecolari. Le forme organiche sono acidi idrosolubili che possono essere escreti dall’organismo risultando meno tossici delle forme inorganiche. Nell’acqua si trova come As(V)(H 3 AsO 4 ) come ione arseniato. Il processo biologico di metilazione che avviene nell’ambiente mediato dalla metilcobalammina interessa la sostituzione di uno o più gruppi OH con gruppi CH3. La monometilazione che avviene nel fegato e nei reni dell’uomo converte la maggior parte di As inorganico ingerito in (CH 3 )(OH)AsO e poi nel corrispondente acido dimetile, composti che vengono rapidamente escreti. Arsina (AsH 3 ) e la Trimetlarsina (As(CH3) 3 ) sono le forme più tossiche. La prima se gassosa causa l’avvelenamento dell’uomo: 2Al (s) + HAsO 2 + 6H+ -> 2Al 3+ +AsH 3 + 2H 2 O. La seconda causa “morte da carta da parati” Napoleone.
RICERCA SEpiAs
SEpiAs (Sorveglianza Epidemiologica in aree interessate da inquinamento ambientale da Arsenico di origine naturale o antropica) è un progetto biennale iniziato nel 2010 e finanziato dal Ministero della Salute (CCM 2010). L’obiettivo principale di SEpiAs è quello di valutare la relazione tra marcatori di esposizione ad arsenico, di effetto biologico precoce e di rischio per la salute e di definire indicatori per un sistema avanzato di sorveglianza ambiente-salute. Lo studio è stato effettuato in due aree caratterizzate da contaminazione da arsenico di origine prevalentemente naturale (Amiata e Viterbese) e in due aree caratterizzate da contaminazione da arsenico di origine antropica (Taranto e Gela).
Gli obiettivi specifici del progetto sono:
Caratterizzazione ambientale e sanitaria nelle zone di interesse, mirata alla definizione di proxi di esposizione
Misura dell’esposizione individuale nelle quattro aree di interesse attraverso biomonitoraggio umano, di As nel sangue e nelle urine, in campioni casualizzati di popolazione residente
Misura di biomarcatori di effetto precoce e di rischio pre‐clinico: marcatori cromosomici/molecolari di suscettibilità e danno genetico e epigenetico, marcatori molecolari di danno al DNA, stress, poptosi, marcatori di rischio cardiovascolare
Valutazione delle associazioni tra misure di esposizione e di effetto biologico, attraverso: analisi statistica dei dati analitici e clinici, analisi di correlazione tra dati su ambiente e salute, dati reperiti dal questionario e dati dei marcatori.
Definizione di indicatori per un sistema avanzato di sorveglianza ambiente-salute.
Attività
SEpiAs è uno studio epidemiologico osservazionale multicentrico, basato su biomonitoraggio umano e intervista tramite questionario su campioni di soggetti giovani adulti. L’unità di ricerca di Epidemiologia ambientale e registri di patologia è stata coordinatrice del progetto e si è occupata della valutazione delle associazioni tra misure di esposizione e di effetto biologico. Ogni soggetto reclutato ha effettuato un’intervista tramite questionario standardizzato, un prelievo di sangue e la raccolta di un campione di urina, una misura non invasiva di parameri clinici.
I campioni di urine dei soggetti reclutati sono state misurate le concentrazioni di arsenico inorganico (Asi) e delle forme metilate MMA e DMA, mediante l’utilizzo dello spettrometro di massa accoppiato induttivamente (DRC-ICP-MS), previa separazione cromatografica (HPLC). Marcatori di esposizione. Sono state misurate le forme inorganiche As(III), As(V) e quelle organiche Acido dimetilarsinico [DMA] e Acido monometilarsonico [MMA]. Marcatori molecolari ed epigenetici. È stata condotta l’analisi genotipica per l’identificazione di polimorfismi funzionali in geni coinvolti nel metabolismo dell’arsenico, nei processi di detossificazione e nei processi di riparo del DNA.
Sono inoltre stati misurati numerosi biomarcatori molecolari, di danno al DNA e di rischio cardiovascolare. La distribuzione di Asi e di Asi+MMA+DMA è stata descritta per ciascuna area e per i due sessi, mediante. lamedia geometrica (MG), i percentili e la deviazione standard (DS). L’associazione tra livello di arsenico e variabili del questionario è stata valutata mediante regressione multipla.
Risultati
I risultati mostrano un’elevata variabilità dell’arsenico all’interno e tra aree. I campioni di Gela e Taranto hanno una concentrazione più elevata di Asi rispetto alla zona Amiatina e del Viterbese. I soggetti con Asi >1,5 μg/l o con Asi+MMA+ DMA >15 μg/l (soglie di attenzione suggerite dalla Società italiana valori di riferimento-SIVR), sono rispettivamente 137 (50,6%) e 68 (25,1%). Nel campione della zona Viterbese è emersa un’associazione positiva tra Asi e utilizzo di acqua potabile. I campioni di Gela e Taranto hanno mostrato un’associazione positiva tra Asi ed esposizione occupazionale. Il consumo di pesce è risultato associato con concentrazioni elevate di Asi per l’intero campione, in particolare tra i maschi di Gela. Risultati simili sono stati osservati considerando Asi+MMA+DMA.
I soggetti con valori di Asi o Asi+MMA+DMA più elevati del 95° percentile sono risultati 15 (6 a Taranto, 5 a Gela, 3 nel Viterbese, 1 nell’Amiata). I rapporti tra Asi e specie organiche (indici di efficienza di metilazione) sono risultati diversi per sesso e aree. I risultati sono informativi di esposizioni ad arsenico inorganico e organico in quote ampie, o comunque non trascurabili, dei campioni studiati.
I risultati nel loro complesso suggeriscono di approfondire ulteriormente lo studio delle vie di esposizione a specie organiche e inorganiche di arsenico, e supportano la raccomandazione di attuare misure di prevenzione primaria finalizzate a ridurre il livello di esposizione delle popolazioni.
Il piombo è l'elemento chimico di numero atomico 82. Appartiene al 14º gruppo e al 6º periodo della tavola degli elementi. Il suo nome deriva dal latino plumbum che presumibilmente proviene dal greco πέλιος, (pélios, blu-nerastro), oppure dal sanscrito bahu-mala (molto sporco). Dal nome latino deriva anche il suo simbolo, Pb. (era già conosciuto dagli egizi e dai fenici, e gli alchimisti di un tempo pensavano fosse possibile trasformare il piombo in oro grazie alla pietra filosofale)
È un metallo brillante di colore bianco-bluastro, ma con l’esposizione all’aria si ossida superficialmente appannandosi e assumendo una colorazione grigiastra. È molto morbido, altamente malleabile, duttile, molto resistente alla corrosione, ma non è un buon conduttore di elettricità.
Gran parte del piombo in uso oggigiorno proviene da fonti riciclate, perché anche se il piombo naturale esiste, è molto raro. Questo infatti, viene trovato associato ad altri metalli come: argento e zinco, e principalmente rame, e viene quindi estratto insieme a essi.
Esistono diversi minerali contenente il piombo, comuni sono: la cerussite (PBCO3) e l’anglesite (PbSO4). Il più importante di tutti,però, è la galena (solfuro di piombo, PbS) che ne contiene quasi il 90%. La galena viene estratta in Australia e in quantità minore anche da Stati Uniti, Cina, Perù, Canada, Messico e Germania.
Tuttavia la gran parte del piombo che troviamo nell’ambiente non è di origine naturale, infatti il ciclo naturale di questo metallo è molto meno esteso rispetto a quello artificiale che si è formato a causa di alcune operazioni umane. In particolare a seguito dell’applicazione del piombo nelle benzine , per aumentare il numero di ottano, c’è stato un gran rilascio in atmosfera di gas contenenti sali di piombo che si sono integrati nel ciclo dell’acqua e non solo, diffondendosi nell’ambiente e causando l’inquinamento da piombo.
UTILIZZI
Il piombo (il cui simbolo chimico è Pb) è un componente naturale della superficie della terra (crosta terrestre), ed è il più comune dei cosiddetti metalli pesanti. Nel tempo è divenuto un contaminante presente quasi ovunque poiché è stato ampiamente utilizzato nella produzione di batterie, nelle leghe e nelle saldature di molti comuni oggetti di consumo, nelle vernici e negli smalti, nella produzione di rubinetti e nei sistemi di distribuzione dell’acqua nonché, sotto forma di piombo-tetraetile (un composto chimico conosciuto anche con la sigla TEL) e tetrametile, come antidetonante nella benzina per autoveicoli e nel carburante per gli aerei. Lastre di piombo di qualche centimetro di spessore sono state anche impiegate in alcuni apparecchi di appoggio di strutture murarie o metalliche.
Molti degli utilizzi descritti (ad esempio l’uso del piombo nella benzina, nelle vernici o negli smalti) sono oggi proibiti, almeno in Europa e nel Nord America, ma il piombo può ancora essere trovato in molti prodotti, soprattutto in quelli importati da paesi extraeuropei in cui è ancora utilizzato nella produzione di bigiotteria, giocattoli, ceramiche e in coloranti usati nell’industria cosmetica.
SALUTE
Il Piombo è uno de quattro mtalli più negativi sulla salute umana. Può entrare nel corpo attraverso il cibo(65%), acqua (20%) ed aria (15%).
CIBO : maggiore quantità in frutta, verdura, grano, frutti di mare, bibite analcoliche, vino e fumo di sigaretta(anche se un po meno)
ACQUA: Può entrare nell’acqua potabile a causa della corrosione dei tubi, soprattutto se l’acqua è acida. È perciò importante adoperare sistemi di purificazione dell’acqua per avere un pH neutro.
L'avvelenamento da piombo è anche chiamato saturnismo (dal latino saturnus: simbolo attribuito in passato a questo metallo); in forma acuta, associata ad esempio ad ingestione accidentale di alti livelli di piombo, negli adulti si manifesta con disturbi (sintomi) come:
coliche addominali
dolori alle articolazioni
anemia
disturbi nervosi che compaiono quando i livelli di piombo nel sangue sono circa di 40-60 microgrammi per decilitro di sangue
In rari casi, livelli di piombo più elevati possono causare anche:
l'encefalopatia da piombo (con edema e aumento di pressione intracranica)
paralisi, con possibilità di morte
In gravidanza, l'avvelenamento per alti livelli di piombo, può determinare: aborto, parto prematuro e basso peso corporeo alla nascita del bambino.
La forma persistente nel tempo (cronica) di saturnismo è più frequente, soprattutto come malattia professionale. Negli adulti, la tossicità dovuta a contatti ripetuti a basse dosi (esposizione cronica) causa malattie cardio-vascolari con aumento della pressione del sangue e danni (tossicità) renali.
Il saturnismo si verifica con:
L'inquinamento delle acque indotto da vecchie tubature di piombo e la successiva ingestione delle stesse, potrebbe favorire l'accumulo di piombo nell'organismo;
Il residuo di pesticidi al piombo presente in alcune farine potrebbe causare saturnismo;
La produzione clandestina ed il consumo di distillati super alcolici, chiarificati con sali di piombo o conservati in recipienti di piombo, rappresentano altri fattori che potrebbero favorire la pazzia saturnina;
L'inquinamento dato dai gas di scarico di alcune autovetture non regolamentari potrebbe liberare nell'atmosfera alcuni residui di piombo, che si depositano nell'organismo in seguito all'inalazione continua;
I terreni inquinati da piombo potrebbero contaminare anche i vegetali, in particolare le verdure a foglia larga: l'ingestione eccessiva di questi ortaggi provoca l'accumulo di piombo nell'organismo;
I pallini da caccia ed i proiettili in genere, se non rimossi dal corpo, potrebbero favorire l'accumulo di piombo nell'organismo, dunque provocare saturnismo nel lungo termine e la morte per il progressivo avvelenamento da piombo.
Da ambienti lavorativi
Per i bambini, la situazione è diversa: nell'età dello sviluppo del cervello (vita fetale, neonati e bambini fino a 6 anni di età) gli effetti tossici più importanti sono sul sistema nervoso (neurotossicità). Esposizioni a livelli alti (superiori a circa 50 microgrammi di piombo per decilitro di sangue) possono provocare: coma, convulsioni e anche morte. I bambini che sopravvivono ad avvelenamento da piombo, generalmente, presentano problemi di ritardo mentale e disordini nel comportamento.
Avvelenamenti da piombo sono stati in passato descritti per ingestione di frammenti di intonaco, porte e finestre o mobili dipinti con vernici al piombo o di piccoli ciondoli di bigiotteria. Fortunatamente, queste pericolose eventualità sono state molto limitate dalla legislazione attraverso il controllo dei livelli di piombo presenti in vernici, tinte, smalti, giocattoli e oggetti presenti negli ambienti chiusi. Inoltre, i bambini assorbono circa il 50% del piombo ingerito (percentuale anche maggiore in caso di diete carenti di ferro e di calcio), mentre negli adulti ne viene assorbito circa il 15-20%.
Una esposizione ripetuta a dosi basse causa: progressiva perdita dell’udito, affaticamento e lentezza cronica, deficit dell’apprendimento con quoziente di intelligenza (QI) ridotto e con possibilità di comportamenti antisociali. Gli effetti sul cervello dei bambini sono irreversibili e si verificano a dosi di esposizione più basse rispetto a quelle che provocano effetti tossici negli adulti.
L'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (International Agency for Research on Cancer, IARC) ha classificato il piombo inorganico nel Gruppo 2A (probabili cancerogeni umani), vale a dire tra quelle sostanze con un probabile grado di determinare tumori nell’uomo. Nei roditori i tumori si evidenziano solo a dosi estremamente elevate di trattamento. Gli effetti non tumorali del piombo, che si evidenziano a dosi inferiori, sono considerati quindi più rilevanti.
DIAGNOSI E CURA
Oltre ad una attenta osservazione dei disturbi (sintomi) presenti, il modo più sicuro e sensibile per determinare una esposizione e una conseguente intossicazione da piombo, consiste nel misurare la sua presenza nel sangue (piombemia), generalmente espressa come microgrammi di piombo per decilitro di sangue. I livelli nelle ossa e/o nei denti danno indicazioni di contatti passati, mentre il piombo nelle urine è determinabile solo quando l’esposizione è stata a livelli molto alti, quindi è un metodo che ha una bassa sensibilità. In caso di sospetto di ingestione di oggetti in piombo (esempio frammenti di bigiotteria nei bambini) è consigliabile eseguire una radiografia all'addome sotto il controllo del medico.
La rilevazione di piombo nel sangue non indica necessariamente la presenza di malattie ad esso associate, ma evidenzia solo che c’è stata una esposizione. A causa della presenza di piombo nei cibi consumati, ogni persona ha livelli misurabili di piombo nel sangue: la comparsa degli effetti dipende, dunque, dai valori più o meno alti di piombo presenti nell’organismo.
In caso di avvelenamento da piombo, la terapia utilizzata è quella generalmente associata all'uso delle cosiddette sostanze chelanti come l’EDTA (acido etilendiamminotetracetico), in grado di legare stabilmente il piombo formando un “complesso” che è successivamente eliminato con le urine. È, comunque, necessario utilizzare terapie mirate per tenere sotto controllo i disturbi (sintomi) specifici.
INQUINAMENTO AMBIENTALE
Il piombo allo stato naturale, cioè all'interno della crosta terrestre, non è nocivo semplicemente, perché non direttamente assimilabile dagli organismi viventi, compreso l'uomo. La pericolosità del Piombo, però, è intrinseca alla sua natura, in quanto è un metallo pesante, come Arsenico, Cromo, Mercurio, Cadmio, Alluminio e altri ancora. La sua tossicità si manifesta quando entra in contatto con acqua e ossigeno, innescando i processi chimici che portano all'assimilazione del metallo da parte degli organismi viventi. L'assimilazione da parte dell'uomo e dell'ambiente avviene tramite: bioaccumulazione, cioè l'aumento della concentrazione del metallo in un organismo biologico nel tempo (animale e vegetale); e biomagnificazione, cioè la tendenza ad aumentare la propria concentrazione negli organismi attraverso la sua transizione nella catena alimentare. Questi fattori rendono l'inquinamento da piombo uno dei maggiori problemi ambientali dell'ultimo secolo.
Sotto il profilo biochimico, il meccanismo dell’attività tossica del Pb e degli altri metalli pesanti, deriva dalla forte affinità del catione metallico per lo zolfo. I gruppi sulfidrilici (-SH) dell’amminoacido cisteina, normalmente presente negli enzimi che controllano la velocità delle reazioni metaboliche nella cellula, si legano facilmente ai cationi dei metalli pesanti o alle molecole che li contengono, formando un complesso metallo-zolfo che compromette la funzionalità dell’enzima.
Il piombo che è assorbito dalle piante, compromette alcune reazioni biochimiche fondamentali per il metabolismo vegetale e gli erbivori sono tra gli animali maggiormente esposti, poiché, assumendo vegetali contaminati, accumulano Pb in vari organi.
BONIFICA
interventi in-situ (prevedono il trattamento del materiale contaminato sul posto). Sono in genere più vantaggiosi da un punto di vista economico, ma prevedono tempi di trattamento molto lunghi.
interventi ex-situ (prevedono la rimozione fisica del materiale contaminato, per poi sottoporlo ai trattamenti di bonifica). A loro volta gli interventi ex situ sono suddivisi in:
interventi on-site, nel momento in cui il trattamento dei materiali estratti avvenga nell'area del sito stesso
interventi off-site, nel caso in cui i materiali vengano inviati in impianti di trattamento o in discariche esterne al sito stesso.
La necessità di risanare siti contaminati ha portato sempre più allo sviluppo di nuove tecnologie volte all’eliminazione dei composti inquinanti.
Si effettuano anche bonifiche attraverso processi chimico-fisici, che prevedo processi di ossido/riduzione, oppure esiste un metodo di bonifica che prevede l’utilizzo di argille. Si possono anche effettuare processi microbiologici di BIORISANAMENTO
CURIOSITÀ
La caccia è una delle cause per cui il piombo continua ad inquinare il suolo e l’ambiente, infatti tutt’ora i cacciatori utilizzano delle cartucce contenenti pallini di piombo che una volta utilizzati oltre a finire nella preda finiscono nel terreno che li assorbe.
Una volta assorbiti gli animali si che si cibano del suolo e di conseguenza quelli che si nutrono di questi animali finiscono per essere avvelenati e l’uomo stesso è a rischio, perché nonostante pulisca attentamente la selvaggina catturata potrebbero comunque restare dei frammenti o delle particelle che possono essere ingerite e finire per contaminare l’organismo
Un altro esempio di utilizzo del piombo è quello dei romani che lo utilizzavano nelle tubature utilizzate per trasportare l’acqua, a lungo andare il piombo si trasferiva nel flusso d’acqua contaminandolo così i romani si trovarono a bere acqua contenente piombo senza saperlo e finivano per intossicarsi da soli
Un ulteriore esempio curioso è quello dell’utilizzo di piombo all’interno del vino sempre da parte dei romani, ma è una tecnica che è stata utilizzata per molti anni anche nei secoli successivi. In particolare passato, era abitudine edulcorare il vino con i sali di piombo: questa pratica inconsueta provocava un progressivo accumulo di piombo nell'organismo, che si rifletteva in comportamenti anomali e schizofrenici, i quali delineavano perfettamente la pazzia, tipica del saturnismo. La follia degli Antichi Romani sembra essere dovuta proprio al saturnismo: gli Antichi non solo addolcivano il vino con gli ossidi di piombo, ma lo conservavano anche in botti di piombo; l'acidità del vino era ritenuta la responsabile dello scioglimento dell'ossido di piombo che, dal contenitore, passava nel vino. Molti pittori, quali Van Gogh e Goya, erano soliti utilizzare colori a base di piombo per la realizzazione delle loro opere; la pazzia, la schizofrenia ed i disturbi mentali e psicologici degli stessi erano attribuiti all'intossicazione da piombo, causata appunto dall'inalazione e dall'ingestione dei colori (le fonti riportano che Goya aveva l'abitudine di bagnare la punta del pennello con la saliva, non con l'acqua, ingerendo notevoli quantità di piombo che si accumulavano nell'organismo).
Una fatto interessante è il seguente, quando si pensa all’inquinamento e alle sue prime importanti fasi di impatto sul nostro ambiente, si fa riferimento sempre alla fine del XIX secolo o agli inizi del XX secolo, periodi durante i quali gli esseri umani hanno cominciato a fare ricorso in maniera massiccia ai combustibili fossili, in particolare a quelli derivanti dal petrolio.
Tuttavia l’impatto in termini di inquinamento ambientale apportato dagli esseri umani è cominciato ben prima, addirittura durante l’epoca dell’antica Roma secondo uno studio apparso su Geophysical Research Letters. La ricerca ha analizzato in particolare le concentrazioni di piombo atmosferico in Europa durante l’antichità, soprattutto durante il periodo dell’antica Roma. Il piombo resta ad oggi uno degli inquinanti ambientali più pericolosi e risulta tossico per l’essere umano anche a livelli bassi.
Analizzando le carote di ghiaccio prelevate dai ghiacciai del Monte Bianco, i ricercatori hanno estratto diversi elementi tra cui metalli risalenti al periodo in cui gli antichi romani producevano in maniera quasi industriale piombo per la realizzazione di tubi dell’acqua, monete e articoli vari. Gli antichi romani erano infatti soliti estrarre attraverso attività minerarie il piombo tramite massicce attività che facevano ricorso anche a centinaia di uomini per ogni sito minerario.
In particolare gli scienziati hanno rilevato due picchi di inquinamento atmosferico da piombo sull’Europa nel corso dell’epoca romana, uno nel II secolo avanti Cristo in altro nel II secolo dopo Cristo. Nel complesso, queste attività di estrazione hanno inquinato l’atmosfera europea per un periodo lungo quasi 500 anni.
Secondo Michel Legrand, scienziato all’Université Grenoble Alpes di Grenoble, in Francia ed uno degli autori dello studio, le emissioni di piombo durante questo periodo hanno aumentato il livello naturale di questo elemento nell’atmosfera di un fattore 10. Per fare un confronto, le attività umane più recenti legate in particolare all’utilizzo della benzina con piombo hanno aumentato questo livello in Europa di un fattore compreso tra 50 e 100.
L’inquinamento degli antichi romani, però, è avvenuto per un periodo di tempo più lungo, almeno cinque secoli rispetto ai 30-40 anni durante i quali si è usata in maniera massiccia la benzina con piombo. In generale questa ricerca, come riferisce Alex More, storico del clima dell’Università di Harvard non collegato allo studio, dimostra che tutte le teorie e gli studi che indicano, per quanto riguarda l’inquinamento atmosferico provocato dall’uomo, come linea di inizio il periodo premoderno o preindustriale mostrano di avere un errore di fondo.
Il mercurio è un metallo di transizione pesante (z=80, m=200) appartenente al 6 periodo e al 12 gruppo della tavola periodica. È uno dei pochi elementi che si presentano allo stato liquido in condizioni ambiente, per questo e per il suo colore grigio argenteo è comunemente noto come “argento vivo” (dividendo le goccioline sembra dotato di vita propria). Come tutti i metalli è un buon conduttore di elettricità, ma non di calore; se eccitato emette radiazioni prevalentemente nel campo del visibile; inoltre ha una densità elevatissima tale per cui il piombo galleggia su di esso (liquido: 13 579 kg/m³, solido: 15 600 kg/m³).
Fu distinto come elemento dal chimico francese Antoine-Laurent Lavoisier, nel corso delle sue analisi sulla composizione dell'aria. Il simbolo chimico attuale del mercurio è Hg e deriva dalla parola hydrargyrum, latinizzazione del termine greco hydrargyros composto dai termini corrispondenti ad "acqua" e "argento", per via del suo aspetto liquido e metallico. L'elemento prese quindi il nome del dio romano Mercurio per via della sua scorrevolezza e mobilità. Dà il nome anche all’omonimo pianeta, perché spesso ne veniva relazionato dagli alchimisti.
Si trova raramente come metallo nativo e più spesso nel cinabro (HgS), da cui il metallo viene estratto per combustione del minerale e successiva condensazione dei vapori. HgS + O2 → Hg + SO2
I maggiori produttori odierni sono la Spagna, il Kirghizistan, la Cina e il Tagikistan.
Il mercurio è fortemente tossico per il corpo umano per ingestione, per inalazione dei vapori o per contatto, a seconda della forma in cui si trova (elementare, sale inorganico, forma organica).
Curiosità
il mercurio è stato quell'elemento su cui Evangelista Torricelli ha basato l'esperimento che lo ha condotto a misurare la pressione atmosferica, infatti una delle unità di misura più note della pressione atmosferica è il torr, ovvero l'equivalente di un millimetro di mercurio (mmHg).
Le caratteristiche tossiche del mercurio erano già note nei tempi antichi, vi sono prove che miniere di cinabro erano attivamente sfruttate in Cina, in Asia Minore, in Perù già due o tre millenni fa. fu anche rinvenuto in tombe dell'Antico Egitto risalenti al 1500 a.C. In Cina, India e Tibet si riteneva che il mercurio prolungasse la vita, curasse le fratture e aiutasse a conservare la buona salute. Si narra che il primo imperatore della Cina, Qin Shi Huang Di, sia impazzito e quindi morto per l'ingestione di pillole di mercurio che nelle intenzioni avrebbero dovuto garantirgli vita eterna. i Romani erano a conoscenza dei sintomi nervosi dell'esposizione all'elemento. Le fonti storiche di allora citano che Mitridate, re del Ponto, era uso prevenire i potenziali tentativi di avvelenamento attraverso un filtro composto da una cinquantina di sostanze naturali tra cui il mercurio e l'arsenico. Nel Medioevo, gli alchimisti furono attratti dalle proprietà dell'elemento e iniziarono a studiarlo, e la sua tossicità divenne nota tanto da essere utilizzato per avvelenamenti; alcuni indizi spingono a ritenere che Napoleone, Ivan il Terribile e Carlo II d'Inghilterra siano morti per avvelenamento da mercurio.
Nell'età moderna, la tossicità del mercurio e i suoi effetti nocivi sulla salute della mente si fecero palesi in particolare nell'Inghilterra dell'Ottocento, quando disordini mentali si diffusero tra i produttori di cappelli, che utilizzavano grandi quantità dell'elemento per lavorare il feltro. La diffusione di tali sintomi ispirò con tutta probabilità lo scrittore e matematico Lewis Carroll nell'ideazione della figura del Cappellaio Matto, resa celebre dal romanzo Alice nel Paese delle Meraviglie.
Vapori elementari
Il mercurio elementare liquido, se ingerito, viene eliminato dall’organismo. Purtroppo essendo molto volatile, è più probabile inalarne i vapori, altamente tossici. Questi provengono principalmente emessi dai vulcani e dalle produzioni industriali, ma anche dalla combustione non regolamentata del carbon fossile e degli olii combustibili, e dall’incenerimento dei rifiuti urbani, dove si trova soprattutto all’interno delle batterie.
L'esposizione al mercurio allo stato elementare colpisce il sistema respiratorio (l'inalazione dei suoi vapori causa tosse, brividi, febbre e affanno), la cute (lieve gonfiore, comparsa di vesciche, desquamazione, irritazione, orticaria, eritema e dermatite allergica da contatto associata a dolore), il sistema nervoso centrale (SNC) e periferico (depressione, paranoia, irritabilità marcata, allucinazioni, incapacità di concentrazione, perdita di memoria, tremori delle mani, della testa, delle labbra, della lingua, della mascella e delle palpebre, perdita di peso, temperatura corporea costantemente bassa, sonnolenza, cefalea, insonnia, affaticamento).
Forma inorganica
Il mercurio elementare si ossida in due diverse forme, Hg++ e Hg2++. I sali di Hg++ provocano meno danni rispetto ai vapori, ma colpiscono lo stesso il sistema nervoso centrale, i reni e il fegato. Lo ione Hg2++ è il meno tossico, poiché nello stomaco si combina con Cl- formando Hg2Cl2.
L'esposizione al mercurio inorganico di solito causa lo sviluppo di un gusto metallico, dolore orofaringeo localizzato, nausea, vomito, diarrea emorragica, dolore addominale di tipo colico, disfunzione renale e anomalie neurologiche.
Nelle acque naturali, gran parte dell'Hg2+ è adeso al particolato in sospensione per poi essere depositato nei sedimenti.
Il sale nitrato di Hg2+ è idrosolubile e in passato era usato per trattare il pelame usato nella confezione dei cappelli di feltro. Il pelame veniva immerso in una soluzione calda di nitrato mercurico, che rendeva le fibre ruvide e ritorte, rendendole facilmente intrecciabili fra loro. La continua esposizione del personale al mercurio provocò a questi molti disturbi nervosi: tremori muscolari, depressione, paralisi, perdita della memoria e infermità mentale ( da qui proviene il detto” sei matto come un cappellaio” ).
Infatti, i sali di mercurio colpiscomno gravemente il sistema nervoso centrale, anche se i principali organi bersaglio del Hg2+ sono i reni e il fegato.
L'ossido mercurico HgO è presente in una pasta gelificante contenuta nelle pile a ossido di mercurio, come quelle usate nelle protesi acustiche. Se queste pile fossero incenerite insieme ai rifiuti urbani, potrebbero liberare nell'aria il mercurio in forma volatile. Per questo motivo la quantità di mercurio nelle pile delle comuni torce elettriche è stato drasticamente ridotto dai circa 10 000 ppm a 300 ppm attuali delle batterie alcaline, mentre in altri casi il mercurio è stato completamente eliminato.
Amalgame
Il mercurio forma facilmente amalgame, ovvero, delle soluzioni o leghe, con quasi tutti gli altri metalli. Per esempio, le amalgame dentarie, sono usate per riempire le cavità dei denti, perchè durante la solidificazione della'amalgama ( mercurio in una miscela liquida di altri metalli come rame, stagno e zinco...), questa aumenta il suo volume riempiendo la cavità.
Le amalgame di mercurio sono però, sempre state accusate di provocare problemi di salute. Infatti durante la masticazione, avviene l'evaporazione di una piccola quantità di mercurio, di cui alcuni scienziati ritengono che questa esposizione possa portare all'insorgere di problemi di salute le persone che possiedono amalgame dentarie. Tuttavia, un recente studio da parte del National Institute of Health (NIH), ha dichiarato che nelle persone analizzate in questo studio, nessuna di esse ha riportato danni alla salute provocati dai vapori di mercurio presenti nelle loro amalgame dentarie.
Nonostante questo studio da parte del NIH, alcuni paesi europei, come ad esempio la Germania, hanno bandito l'uso delle amalgame dentarie nei bambini e nelle donne in gravidanza e inoltre sono in fase di studio nuove amalgame per uso dentistico prive di mercurio ( vengono usate alcune in porcellana ).
Altri problemi che derivano da parte del mercurio provengono: dalla cremazione di individui che presentano esse, in quanto durante la procedura vengono rilasciati nell'atmosfera vapori di mercurio; a favore di questo problema vengono usati dei filtri al selenio che formano cristalli di seleniuro di mercurio.
I dentisti producono circa 1 Kg/anno di Hg che viene poi immesso nell'ambiente dalle acque reflue del loro studio. Perciò i dentisti, si devono dotare di un separatore che catturi il mercurio onde evitare che questo vada a contaminare l'ambiente esterno.
Nei giacimenti di minerale grezzo, è possibile estrarre piccole quantità di oro o argento elementare, da grandi quantità di suolo o sedimenti, grazie alla mistura di mercurio. Tale metallo estrae l'oro e l'argento formando un'amalgama, che viene poi scaldata per far gocciolare via il mercurio. Questa tecnica però comporta un grande rilascio di mercurio nell'aria oltre a contaminare i lavoratori che lavorano nei giacimenti.
Inoltre, un grave problema deriva che il mercurio presente nei sedimenti di superficie penetra, in seguito alla deforestazione, nell'ambiente acquatico, dove viene in parte metilato e quindi immesso nella catena alimentare.
Tossicità del metilmercurio
Contrariamente ai organoclorurati, che si depositano sui tessuti adiposi del pesce, il metilmercurio si lega al gruppo sulfidrilico delle proteine e quindi è diffuso in tutto il corpo e non si possono togliere solo le parti infette. Il CH3Hg-X nel pesce è l’80% del mercurio all’interno di esso e il 95%di esso è assunto dall’uomo mangiando il pesce. Le più alte concentrazioni di Hg (+ di 1 ppm) si trovano nei pesci predatori (squali, sgombri, tonni…). Nei laghi il Hg si trova nei pesci che vivono in acque acide, quindi l’acidificazione delle acque aumenta l’esposizione al Hg alle persone che mangiano pesce.
Nell’uomo l’emivita del metilmercurio è pari a 70 giorni, di gran lunga superiore a quella dei Sali Hg2+, perché la loro solubilità aumenta in ambiente lipidico. Tuttavia per le dosi di pesce che si mangia, gli uomini non dovrebbero risentire del metilmercurio. Nell’uomo la sintomologia deriva da disfunzioni del sistema nervoso dato che il cervello è l’organo bersaglio del metilmercurio. I sintomi sono parestesia agli arti inferiori e superiori, offuscamento fino alla perdita della vista, perdita dell’udito e della coordinazione muscolare, letargia e irritabilità.
Alcuni composti organici del Hg sono stati usati come fungicidi in agricoltura e questo causò un inquinamento ambientale. In vari Paesi, nella seconda metà degli anni ’90, alcune persone morirono perché si cibarono di pane prodotto con gran turco inquinato appunto da questi composti.
Nel villaggio di Minamata (Giappone) un’industria chimica utilizzava l’Hg2+ come catalizzatore. I scarti venivano buttati nella baia che ben presto di trovò ad ospitare pesci con concentrazione di metilmercurio pari a 100 ppm. Il metilmercurio si formò per biometallizzazione dai microrganismi che vivevano nella baia e ingerito dai pesci. Questo disastro causò ad alcune persone, che si nutrivano del pesce della baia, molte malattie e ad altrettante persone la morte. I primi sintomi di avvelenamento si mostrarono dopo alcune settimane. Inoltre i più colpiti furono i feti. Infatti anche se le madri mostravano solo lievi sintomi, i feti ricevevano gravi danni cerebrali e in alcuni casi con esito fatale.
Tutt’oggi la OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha stabilito un valore massimo di 6 ppm per il mercurio inorganico.
Applicazioni dei composti del mercurio
Lo ione fenilmercurio veniva utilizzato come conservante nei barattoli di vernice e per evitare la formazione di muffe dopo l’applicazione di pitture a base di lattice (a causa dell’umidità). Questi composti non hanno livelli elevati di tossicità per l’uomo perché questi composti si trasformavano nel suo ione meno tossico, Hg2+, anche se furono presto vietati perché contenevano appunto il metallo in questione. Per le loro proprietà antisettiche conservanti, alcuni composti del mercurio sono ancora oggi utilizzati nell’industria farmaceutica (anti-topo) e nei cosmetici. In passato il mercurio elementare veniva utilizzato in alcuni medicinali. Le pillole antidepressive, che prendeva Lincoln negli anni precedenti alla presidenza, contenevano appunto il mercurio. Infatti alcuni storici della medicina sono convinti che fosse proprio per questo motivo che Lincoln avesse quel suo, spesso bizzarro, comportamento in quel periodo.
Il mercurio e il processo industriale cloro-alcali
Nella produzione di NaOH pura e concentrata, viene impiegato il mercurio fluente come elettrodo negativo della cella elettrochimica Il sodio metallico prodotto per riduzione nell'elettrolisi si combina con il mercurio che è poi allontanato dalla soluzione di NaCl senza aver reagito nel mezzo acquoso.
Na+(aq) + é -------> Na ( nell'amalgama Na-Hg )
Nell'amalgama Na-Hg, il sodio elementare non reagisce nell'acqua della soluzione d'origine perchè nelle amalgame i metalli come il sodio appunto, perdono il loro potere reattivo. L'amalgama è poi rimossa tramite una corrente elettrica che viene indotta a reagire con l'acqua, ottenendo cosi NaOH, privo di NaCl.
Dopo la produzione di NaOH, il mercurio eè recuperato e riciclato nella cella di partenza. Nonostante però il riciclaggio di quest'ultimo, parte del mercurio si disperde nell'aria e nel fiume da cui si attinge l'acqua di raffreddamento dell'impianto. Il vero problema nell'ambiente, essendo il mercurio liquido insolubile in acqua o in acidi diluiti, può essere ossidato alla forma solubile dall'azione di batteri presenti nella acque naturali; in tal modo il mercurio diviene accessibile ai pesci.
Dal momento che negli anni 60' è stato individuato il problema si è cercato di ridurre la massa di mercurio dispersa nell'ambiente. Cosi, in America, sono stati eliminati gli impianti che usavano eletttrodi al mercurio, e sostituiti con altri che utilizzano una membrana al fluoro-carbonio, che separa la soluzione di NaCl dalla soluzione priva di cloruro a livello di elettrodo negativo. La membrana fa passare Na+, ma non gli anioni.