L'assorbimento UV-visibile è una tecnica analitica che utilizza la radiazione UV-visibile per analizzare la composizione chimica di una sostanza. Questa si basa sul principio che ogni molecola ha una caratteristica lunghezza d'onda della radiazione assorbita. La sostanza in esame viene illuminata da una fonte di radiazione UV-visibile, e la quantità di luce che viene assorbita viene misurata. La lunghezza d'onda della radiazione assorbita è specifica per ogni molecola e può essere utilizzata per identificare e quantificare la presenza di specifiche molecole. E' una tecnica molto utile in molte applicazioni analitiche, sia qualitative che quantitative, tra cui la determinazione della concentrazione di sostanze in soluzione, l'analisi di sostanze organiche e inorganiche, la quantificazione di proteine e l'analisi di materiali biologici.
I metodi ottici si fondano sulle radiazioni elettromagnetiche a livello microscopico, dove tutta l'energia è quantizzata e si manifesta sotto forma di particelle chiamate fotoni. Questi fotoni, a differenza dei modelli classici sono sia delle onde elettromagnetiche che delle particelle mediatici del campo elettromagnetico, sono definiti da una certa frequenza, ossia il numero di cicli dell'onda nell'unità di tempo. La frequenza è inversamente proporzionale alla lunghezza d'onda, che misura la distanza percorsa dalla radiazione per ritornare alla stessa fase o per completare un ciclo. Questa relazione è espressa dalla formula: frequenza = velocità della luce nel vuoto / lunghezza d'onda. Si sa inoltre che un bosone (come il fotone) non può superare la velocità della luce nel vuoto, ma almeno deve muoversi a questa velocità. La velocità della luce può variare a seconda del mezzo in cui si propaga, tuttavia, questa regola non si applica al singolo fotone, la luce è considerata una perturbazione del campo elettromagnetico. In certe situazioni complesse, come fasci in cui i fotoni si sommano e si sottraggono in modo costruttivo o distruttivo, si ottiene un nuovo gruppo di onde che si propagano. Oltre alla frequenza e alla lunghezza d'onda, c'è anche da considerare l'intensità, che rappresenta l'energia che attraversa una superficie perpendicolare alla direzione di propagazione, misurata in unità di energia per unità di tempo.
Approfondendo, i metodi ottici di analisi sono basati sulla interazione luce-materia, dove con il termine “luce” si intendono le radiazioni elettromagnetiche, non necessariamente quelle visibili all’occhio umano. Sulla natura della luce si sono succedute negli anni diverse teorie: quella corpuscolare di Newton ipotizzava che la luce fosse composta da particelle microscopiche dotate di massa, spiegava bene i fenomeni dell’ottica geometrica noti ai tempi di Newton (riflessione, ecc.) ma non altri scoperti in seguito come la polarizzazione, la diffrazione, l’interferenza.... - quella ondulatoria di Huygens e Maxwell, che considerava la luce come un’onda priva di massa, che permise di spiegare un gran numero di fenomeni, come l’effetto fotoelettrico e la diffrazione degli elettroni, potevano essere descritti nuovamente solo mediante una ipotesi corpuscolare - quella della meccanica ondulatoria (1925), legata i nomi di Heinsemberg, Schroedinger e De Broglie che, come la meccanica quantistica che si affermava nella fisica di quegli anni, era fondata su concetti probabilistici e la luce veniva descritta come le particelle atomiche, avendo una natura comune: in questa teoria si metteva in rilievo la doppia natura corpuscolare-ondulatoria della luce, che risultava formata da fotoni. In certe situazioni i fotoni si comportano come corpuscoli dotati di massa, in altre come onde prive di massa; in definitiva sono due aspetti della stessa realtà che ci appaiono in contrasto a causa della nostra inadeguatezza a comprendere a fondo il fenomeno.
Secondo le equazioni di Maxwell, alla base della teoria ondulatoria, un campo elettrico oscillante induce la formazione di un campo magnetico, viceversa un campo magnetico oscillante induce la formazione di un campo elettrico. Ciò spiega perché la radiazione si possa propagare in assenza di un mezzo: i due campi oscillanti si autotrasportano reciprocamente; i due piani di oscillazione, pur essendo perpendicolari, possono essere qualsiasi. Una radiazione elettromagnetica, viene rappresentata dalla propagazione di una singola onda ed è caratterizzata dai seguenti parametri: - lunghezza d’onda (λ): è la distanza tra due massimi successivi dell’onda; si misura in μ (10-6 m) oppure in mμ (10-9 m) detti anche nm o infine in Angstrom (10-10 m) - frequenza (ν): è il numero di oscillazioni, cioè di cicli completi dell’onda, in 1 secondo; si misura in s-1 , detti anche Hertz (con i relativi multipli KHz, MHz, ecc.) - energia (E): è l’energia trasportata dalla radiazione; si può misurare in qualsiasi unità di misura dell’energia, per es. J, kcal, elettronvolt (eV), ecc.
Questi parametri caratteristici delle radiazioni elettromagnetiche sono legati tra loro dalle equazioni di Plank: 𝐸 = ℎ ∙ 𝜈 𝜈 = 𝐶 𝜆 𝐸 = ℎ ∙ 𝐶 𝜆, Si vede che frequenza ed energia sono direttamente proporzionali mentre energia e lunghezza d’onda e frequenza e lunghezza d’onda sono tra loro inversamente proporzionali.
L'energia di un sistema è determinata dall'interazione intrinseca tra i suoi costituenti, quali protoni, neutroni ed energia elettrica. Questa energia deriva da stati cinetici, potenziali e forma traslazionale, rotazionale e vibrazionale. Quando gli elettroni si muovono, sia attraverso rotazioni interne delle particelle sia attraverso movimenti reciproci dei nuclei legati, si genera una carica elettrica che occupa lo spazio circostante. Questa energia potenziale è pari a un'energia uguale alla somma delle cariche elettriche, misurata in coulomb, moltiplicata per la differenza di potenziale elettrico, espresso in volt.
Inoltre, la luce è suddivisa in uno spettro in base alla sua lunghezza d'onda e frequenza, che comprende onde radio, microonde, luce visibile, raggi X e raggi gamma. La spettroscopia UV è utilizzata per analizzare i sistemi molecolari in fase liquida, solida o gassosa, a condizione che il sistema reagisca alla radiazione incidente. Questo metodo trova applicazioni nel controllo di processi industriali, in strumentazione medica e in altre varie applicazioni.
Le interazioni della radiazione con la materia seguono la legge di Lambert-Beer che è una relazione matematica che descrive il rapporto tra l'assorbanza di una soluzione e la concentrazione della soluzione stessa. La legge afferma che l'assorbanza di una soluzione è proporzionale alla concentrazione della specie otticamente attiva in soluzione e alla lunghezza d'onda della radiazione incidente. La legge è stata formalmente descritta da Johann Heinrich Lambert nel 1760 e successivamente ampliata da August Beer nel 1852. Questa relazione è spesso utilizzata in analisi quantitativa in diversi campi, come la biologia, la chimica, la farmacologia e la medicina, per determinare la concentrazione di una specie in soluzione. Questo significa che l'aumento della concentrazione di una sostanza in soluzione è associato ad un aumento dell'assorbanza. La costante di proporzionalità è nota come costante di assorbanza (ε) e dipende dalle proprietà della sostanza e del mezzo di soluzione. Inoltre, si definisce la trasmissività come il rapporto tra l'intensità della luce uscente dal campione dopo l'interazione e l'intensità della luce incidente. Questo valore varia da 0 a 1 e dipende dalla concentrazione del campione.
Questa relazione può essere espressa dalla seguente equazione:
A = ε * b * C
dove:
A = assorbanza
ε = costante di assorbanza
b = spessore di campione
C = concentrazione della soluzione
La costante di assorbanza (ε) è una proprietà caratteristica di ogni sostanza e può essere determinata mediante calibrazione (retta di taratura) con soluzioni di concentrazione nota. Una volta che ε è stato determinato, l'assorbanza misurata per una soluzione di concentrazione sconosciuta può essere utilizzata per calcolare la concentrazione mediante la formula sopra.
Inoltre esistono delle deviazioni dalla legge di Lambert-Beer, che stabilisce una correlazione lineare tra l'assorbanza e la concentrazione, ma in realtà vi sono una serie di fattori da considerare. Ad esempio, le variazioni degli indici di rifrazione della soluzione, specialmente con composti particolari o con legami complessi, possono influenzare l'assorbanza. Anche il pH è un fattore importante, poiché alcune sostanze possono assumere forme diverse in base all'acidità o alla basicità della soluzione, come nel caso degli indicatori utilizzati nelle titolazioni. Pertanto, è essenziale lavorare in soluzioni tampone e prendere la lettura al punto isopotico per garantire la precisione della misura.
Anche la temperatura può influenzare le proprietà della sostanza misurata. Tuttavia, spesso questo non è un problema quando le variazioni di temperatura sono limitate, ad esempio intorno ai 5°C. L'effetto solvente è un altro aspetto da considerare, poiché la sostanza può interagire continuamente con il solvente circostante. Cambiando il solvente, possono verificarsi variazioni significative nelle misure. Ad esempio, nel caso del vino, che è principalmente una soluzione acquosa con una vasta gamma di componenti, può essere necessario lavorare in soluzioni di riferimento specifiche formate da acqua ed etanolo al 10%.
Infine, alcuni composti non assorbono la luce visibile direttamente, ma possono reagire selettivamente con altre molecole; quindi, è da selezionare un cromoforo che sia selettivo e permetta di calcolare l'assorbanza in base alle variazioni di concentrazione. Tuttavia, è importante tenere conto dell'equilibrio che può variare nel tempo e bilanciare le reazioni per ottenere misurazioni accurate.
Questi fenomeni possono essere utilizzati in altrettanti metodi analitici specifici:
luce riflessa: analisi in riflettanza, che produce informazioni sulle caratteristiche della superficie riflettente
luce assorbita/trasmessa: spettrofotometria in UV-VIS, IR, AA. L’assorbimento è dovuto ad interazioni con le particelle di materia, che cambiano a seconda della zona spettrale considerata
luce diffusa: diffusione di raggi X, utilizzata nelle analisi cristallografiche
luce emessa: fluorimetria. L’emissione secondaria di una molecola o un atomo eccitati dalla radiazione incidente può avvenire mediante fluorescenza o fosforescenza
Questo strumento è uno dei più utilizzati in assoluto, vista anche la sua economicità e la facilità di preparazione dei campioni di trattamento dei dati finali. Questo riguarda la relazione all'interno di un nuovo visibile, dove stimoliamo tradizioni di tipo elettronico degli elettroni di valenza esterna, come abbiamo visto nello schema dei livelli energetici. Ad ogni livello energetico elettronico sono associati tutta una serie di altri livelli energetici. Ciò significa che, anche se la transizione avviene da una singola precisa frequenza, in realtà vi sono tutta una serie di transizioni complesse intorno alla frequenza principale.
Inoltre, il campione potrebbe trovarsi in uno stato energetico basale o non fondamentale. Così, anche se ha un livello fondamentale e un livello di base con energia pari a zero, possono comunque verificarsi transizioni con delta energetici a frequenze più alte rispetto alle principali. L'intensità dell'assorbimento a una specifica lunghezza d'onda dipende dall'aria di quella sostanza, che ha sviluppato una dipendenza dalle cosiddette regole di selezione, ovvero regole di natura fisica e quantomeccanica, che definiscono la probabilità che una determinata transizione avvenga.
Le molecole si trovano nelle loro fasi iniziali non si aspetteranno di rispettare le leggi della probabilità. Vediamo radici in biotica la definizione di rifrazione e di diffrazione. Quando la luce passa da un mezzo all'altro, la sua velocità diminuisce, dando luogo a cambiamenti di fase, risultando in fasci di luce piegati rispetto alla direzione del campo elettromagnetico.
L'aspetto della velocità risultante nel mezzo della luce deve essere correlato alla frequenza dei fotoni incidenti; l'energia del fotone non varia con la frequenza. Il fotone è associato a un'onda, quindi, mentre la frequenza del fotone nel vuoto rimane costante, la lunghezza d'onda varia con il mezzo. Durante la rifrazione, la deviazione dipende dalla frequenza, temperatura, pressione e altri fattori. La legge di Snell fornisce una quantificazione di questa deviazione, che varia sinteticamente.
Ad esempio, in un plasma, la luce policromatica subisce deviazioni diverse in base alla frequenza. Maggiore è la frequenza, maggiore è la deviazione subita, con il rosso che subisce la deviazione minore rispetto al viola.
Un altro fenomeno è la diffrazione, che si verifica quando un'onda luminosa incontra un ostacolo o una fenditura. Le particelle di luce si comportano come onde, continuando a muoversi in linea retta fino a incontrare l'ostacolo. Tuttavia, se la fenditura è abbastanza piccola da essere comparabile o inferiore alla lunghezza d'onda della radiazione, la luce si comporta come particelle, i fotoni, che si propagano attraverso la fenditura.
Quindi, se abbiamo due o più fenditure di dimensioni simili alla lunghezza d'onda della radiazione, le onde in fase coincidono, dando luogo a interferenza costruttiva, mentre quando le onde sono in antifase, si verifica interferenza distruttiva. Questi principi vengono sfruttati nei reticoli di diffrazione, sia di trasmissione che di riflessione, per separare la luce.
UVA (320-400 nm): I raggi UVA sono la lunghezza d'onda più lunga e la meno energetica. Sono per lo più assorbiti dallo strato di ozono e possono penetrare nella pelle più in profondità dei raggi UVB. Sono associati all'invecchiamento della pelle e alle rughe e possono anche contribuire allo sviluppo del cancro della pelle.
UVB (280-320 nm): I raggi UVB sono di lunghezza d'onda più corta e più energici dei raggi UVA. Sono per lo più assorbiti dall'atmosfera e sono responsabili di scottature e abbronzature. Sono anche la causa principale del cancro della pelle, della cataratta e di altri danni agli occhi.
UVC (100-280 nm): I raggi UVC sono la lunghezza d'onda più corta e la più energetica. Sono completamente assorbiti dallo strato di ozono e non raggiungono la superficie terrestre. Tuttavia, possono essere prodotti artificialmente da alcuni tipi di lampade, come le lampade ai vapori di mercurio, e vengono utilizzati per la disinfezione e la sterilizzazione.
Quando una molecola assorbe la radiazione elettromagnetica nella regione UV-visibile e si eccita, i suoi elettroni vengono promossi dallo stato fondamentale allo stato eccitato o dall'orbitale di legame all'orbitale di anti-legame.
𝜎 − 𝜎* Transizione: 𝜎 − 𝜎* rappresenta la transizione di un elettrone da un orbitale sigma di legame (𝜎) a un orbitale sigma antilegame ( 𝜎 *). Negli alcani, ad esempio, tutti gli atomi sono legati insieme da un legame sigma.
𝑛 − 𝜎* & 𝑛 − 𝜋* Transizione: Le transizioni dall'orbitale molecolare senza legame (𝑛) all'orbitale sigma anti-legame o all'orbitale pi anti-legame (𝜋 * ), sono rappresentate rispettivamente dalla transizione 𝑛 − 𝜎 * o 𝑛 − 𝜋 *. Queste transizioni hanno richiesto meno energia della 𝜎 − 𝜎 * transizione. Ad esempio, alogenuri alchilici, aldeidi, chetoni ecc.
𝜋 − 𝜋* Transizione: Questo tipo di transizione si manifesta generalmente in molecole insature come alcheni, alchini, aromatici, composti carbonilici ecc. Questa transizione richiedeva meno energia rispetto alla transizione 𝑛 − 𝜎 *.
Esistono diversi tipi di bande di assorbimento che possono essere osservate negli spettri delle molecole:
Bande di assorbimento rotazionale: la rotazione di una molecola provoca un cambiamento nel momento di dipolo. Sono tipicamente osservate nelle regioni dello spettro delle microonde e del lontano infrarosso.
Bande di assorbimento delle vibrazioni: quando il movimento vibrazionale di una molecola provoca un cambiamento nel momento di dipolo della molecola e sono tipicamente osservate nella regione infrarossa dello spettro.
Bande di assorbimento elettronico: quando la struttura elettronica di una molecola cambia a causa dell'assorbimento della luce, sono osservate nelle regioni ultraviolette e visibili dello spettro.
Bande di assorbimento della risonanza magnetica nucleare (NMR): Questi si verificano quando i nuclei di alcuni atomi (come idrogeno, carbonio e fosforo) in una molecola assorbono energia nella regione delle radiofrequenze dello spettro ed è ampiamente utilizzata in chimica analitica e biochimica per studiare la struttura e la dinamica delle molecole.
Bande di diffusione Raman: Sono causati dalla diffusione anelastica della luce. Si verifica quando un fotone viene diffuso da una molecola, ma con un cambiamento di energia, che si traduce in uno spostamento della lunghezza d'onda. Lo scattering Raman è tipicamente osservato nelle regioni del visibile e del vicino infrarosso e viene utilizzato per studiare i modi vibrazionali di una molecola.
La sorgente deve emettere radiazioni policromatiche, contenenti cioè tutte le lunghezze d'onda del campo richiesto. Per la regione del visibile si utilizzano lampade a incandescenza (a filamento di tungsteno, lampade quarzo-iodio o lampade tungsteno-alogeno). Per la regione UV si usano lampade a scarica in un gas (deuterio o a idrogeno); sono costituite da un'ampolla di quarzo contenente il gas rarefatto (ma non troppo) nella quale viene attivata, tra due elettrodi, una scarica elettrica con la conseguente emissione di radiazioni con spettro continuo. Gli spettrofotometri UV-visibile avranno quindi al loro interno due diverse lampade, che vengono opportunamente intercambiate dal meccanismo interno. (Per la regione IR si usano barrette di vari materiali, sempre riscaldate elettricamente a temperatura adeguata.) Dopo la sorgente è posta inoltre la 'fenditura di ingresso' che serve (associata anche a lenti e/o specchi) a rendere paralleli i raggi ed evitare luce diffusa nello strumento.
I reticoli di trasmissione utilizzano una maglia molto fine che agisce sulla lunghezza d'onda della luce, permettendo solo determinate interazioni con essa.
Le lampade a filamento di tungsteno usano un filamento di tungsteno attraverso il quale passa la corrente, riscaldandolo per effetto Joule, che è una resistenza, fino a raggiungere la cosiddetta temperatura di colore rosso. L'intensità della luce emessa dipende molto dalla temperatura del filamento e quindi dalla potenza di alimentazione della lampada. Pertanto, per ottenere una stabilizzazione dell'intensità luminosa, si utilizzano sistemi di controllo della tensione.
Lampade alogene: Il bulbo è generalmente riempito con un gas alogeno. Con l'aumento della temperatura, il tungsteno sublima e reagisce con il gas alogeno, formando un ossido che si deposita sul filamento di tungsteno e ritorna come prima, rilasciando l'alogenuro che torna allo stato gassoso. Questo processo consente di avere una maggiore durata e, soprattutto, di raggiungere temperature più elevate, garantendo un'intensità luminosa più elevata.
Esistono anche le lampade a scarica allo xeno, che, applicando una differenza di potenziale, provocano la formazione di un arco elettrico attraverso un gas, generando una luce molto intensa. Inoltre, per le lampade ad alogeno, formate da un bulbo o tubo di scarica simile a un cilindro in quarzo, all'interno del quale si trovano due elettrodi, si crea una differenza di potenziale tra i due elettrodi, causando la migrazione degli elettroni da uno all'altro. Queste lampade sfruttano lo stesso principio delle lampade al neon e possono emettere una luce intensa.
Le lampade al deuterio sono formate da un bulbo o tubo di scarica, di solito cilindrico in quarzo, all'interno del quale si trovano due elettrodi. Come nelle lampade al neon, si crea una differenza di potenziale tra gli elettrodi, causando la migrazione degli elettroni da un lato all'altro. Le molecole di deuterio portano queste molecole ad uno stato eccitato, dopo il quale si ha un rilascio di fotoni durante il rilassamento verso lo stato fondamentale. Anche se viene prodotta energia cinetica riscaldando altre molecole, in questo caso il gas emette uno spettro di emissione caratteristico. Per il deuterio, lo spettro di emissione non è continuo, ma composto da righe, ma nell'uv può essere approssimativamente continuo.
Monocromatori: Il monocromatore ha la funzione di selezionare e ridurre la lunghezza d'onda della luce che sarà poi indirizzata nello strumento. La sorgente di luce è continua e deve essere selezionata prima che passi attraverso il detector. Esistono due principali tipi di monocromatori:
basati su filtri (ottici o interferenziali), che bloccano una parte della luce e lasciano passare solo la parte desiderata. Anche combinando più filtri, rimangono comunque bande passanti dell'ordine di 50nm e sempre a scapito di un indebolimento del raggio anche per le λ richieste. Si utilizzano solo nei colorimetri.
basati su un elemento disperdente (prisma o reticolo), che separano le varie componenti della radiazione e ne permettono la successiva selezione della banda desiderata.
l prisma è in grado di disperdere le radiazioni con diversa λ grazie al fenomeno della rifrazione: quando un raggio di luce passa da un mezzo ad un altro subisce una deviazione che dipende però dalla λ della radiazione (cioè, radiazioni con diversa λ subiscono diversa deviazione). Tale fenomeno diventa evidente quando un raggio attraversa un corpo con facce non parallele, come ad esempio un prisma.
I reticoli svolgono la stessa funzione del prisma, ma il loro funzionamento è basato sull'interferenza. Sono costituiti da serie di solchi o fenditure parallele tracciati su una superficie a distanza ravvicinata (ad esempio 1000 solchi a mm): il fenomeno è quello che si osserva guardando obliquamente la superficie di un CD. Nei moderni spettrofotometri si utilizzano reticoli a riflessione, sia nel campo UV-visibile sia nell'IR
Per quanto riguarda i prismi e i reticoli, i primi presentano un effetto di diffrazione che varia in funzione della frequenza della luce, mentre i reticoli, soprattutto quelli a riflessione, restituiscono quasi interamente la luce incidente e consentono una focalizzazione più precisa. La luce separata attraverso prismi o reticoli mostra bande di colore differenti in base alla lunghezza d'onda, con le lunghezze d'onda più lunghe che vengono separate da quelle più corte. I reticoli, rispetto ai prismi, sono meno sensibili alle variazioni di temperatura e possono essere ottimizzati per determinati angoli di dispersione.
Celle: Oltre a contenere il campione ed essere trasparenti alla radiazione impiegata, devono avere un ben preciso 'cammino ottico' (la lunghezza percorsa dalla radiazione nel campione) che dovrà essere sufficiente ad avere assorbimenti rilevabili dallo strumento. In UV si utilizzano celle in quarzo (SiO2), nel visibile in vetro o quarzo o alcuni materiali plastici. In IR si rendono necessarie celle in NaCl, KBr, CaF2....
Arrivati al comparto delle celle o cuvette, di solito il campione è diluito in una soluzione liquida contenuta in contenitori trasparenti. Le celle ottiche possono essere realizzate in vari materiali. Il vetro, ad esempio, ha ottime proprietà di trasparenza ma può assorbire la luce ultravioletta. Altri materiali utilizzati includono i materiali plastici, come il policarbonato, che sono meno costosi ma possono avere una maggiore assorbenza. Le forme delle cuvette sono generalmente cilindriche per garantire un campo ottico uniforme, con una lunghezza di cammino ottico di solito di 1 cm. Alcune cuvette possono essere più strette, chiamate microcuvette, ma richiedono un'allineamento preciso con i raggi della sorgente.
Per quanto riguarda le modalità di lavoro, ci sono due categorie principali di misure: la misura singola e la doppia misura. Nella misura singola, viene inviata la luce incidente su una sola cuvetta contenente il campione, mentre nella misura doppia, la luce incidente viene inviata contemporaneamente su due cuvette, una contenente il campione e l'altra contenente il bianco di riferimento. Questo approccio consente di compensare le variazioni della sorgente luminosa e le interferenze della matrice del campione, fornendo un'analisi più accurata.
Per analizzare il campione e il bianco contemporaneamente, viene utilizzato un chopper, un sistema meccanico con una lente che crea un segnale pulsato. Questo segnale viene trasmesso sia al campione che al bianco, i cui segnali separati vengono quindi analizzati dal detector. Questo metodo consente di confrontare direttamente il campione e il bianco, ottenendo una correzione delle variazioni della sorgente luminosa. È particolarmente utile quando la temperatura influisce sulla prova o sulla resa della sorgente luminosa.
Infine, esistono strumenti a serie di diodi, in cui diversi fotometri sono disposti uno accanto all'altro, con un certo numero di fotodiodi. Questi strumenti non amplificano il segnale luminoso ma consentono di scomporre la luce in modo da ricostruire lo spettro a varie lunghezze d'onda.
I rilevatori sono dispositivi capaci di produrre un segnale elettrico che dipende dall'energia delle radiazioni che lo investono. Tale segnale elettrico (proporzionale all'intensità luminosa) viene poi trasferito a un indicatore analogico o elaborato per via elettronica in modo più o meno complesso. Trattandosi della parte dello strumento che esegue la misura vera e propria, è evidente che ne rappresentano una parte molto importante, in particolare per quanto riguarda sia la sensibilità sia l'accuratezza dello spettrofotometro. In UV-visibile si possono utilizzare:
CELLE FOTOVOLTAICHE e CELLE FOTOCONDUTTIVE
FOTOTUBI e FOTOMOLTIPLICATORI
FOTODIODI
Tra le opzioni per il detector, vi sono strumentazioni come i fotomoltiplicatori e i fotodi, i quali si basano sul fenomeno dell'effetto fotoelettrico. Questo fenomeno avviene quando una superficie, solitamente metallica, è colpita da una radiazione elettromagnetica ad alta frequenza ed energia, rilasciando un elettrone. La probabilità di emissione dipende dal tipo di metallo e dall'energia del fotone incidente. Applicando una differenza di potenziale alla superficie metallica, diventa più facile estrarre gli elettroni. Successivamente, gli elettroni vengono amplificati per aumentare la sensibilità del detector. Dopo l'emissione fotoelettrica, gli elettroni vengono accelerati da un campo elettrico e colpiscono una lamina che libera ulteriori elettroni. Questo è noto come emissione secondaria e questi elettroni vengono raccolti da una seconda piastra con una differenza di potenziale ancora maggiore, aumentando ulteriormente il numero di elettroni. Il guadagno di un fotomoltiplicatore è il numero di elettroni che raggiungono l'anodo per ogni fotone incidente. Inoltre, ci sono elettrodi di messa a fuoco che servono a indirizzare gli elettroni verso il detector. I fotomoltiplicatori sono molto sensibili e possono essere costruiti con schermature magnetiche ed essere dotati di sistemi automatici di spegnimento quando il compartimento viene aperto. I fototubi sono simili ai fotomoltiplicatori, ma non hanno un sistema di amplificazione interna.
Infine è presente il sistemi di elaborazione dati