Composto in fibre metalliche, ceramiche o polimeriche disperso in una matrice. Sviluppati in laboratorio a partire dal 1960 e diffusi a livello industriale dal 1975. Hanno proprietà non ottenibili mediante l’uso dei singoli costituenti, flessibilità nella progettazione e adattabili a ciascuna specifica applicazione e specifica di progetto.
Esempio: Boeing: resina epossidica con fibra di carbonio. Non comporta la presenza di rivetti, presenti negli aerei di alluminio, miglior areodinamica (risparmio 5% di carburante), più leggero e resistente a parità di peso, ma flessioni maggiori durante il decollo e minor resistenza al fuoco e minor tolleranza in condizioni eccezionali. Inoltre problema accoppiamento galvanico tra bulloni in titanio e grafite delle fibre.
Compositi naturali:
legno : cellulosa (termoindurente) + legnina (termoplastico, fonde se riscaldato e idrofobico) + emicellulosa ( collante tra i due)
osso: idrossiepatite (fosfato di calcio)+ collagene (matrice)
Esempio: Compositi già molto diffusi:
pneumatici: gomma naturale (maggiore attrito quando asfalto umido)/poliisoprene (bruciare acetilene in assenza di O2+nerofumo) + sintetica
calcestruzzo: cemento portland, carbonato di calcio + sabbia/sassi
asfalto: bitume + pietrisco (meno duro del cemento che è usato negli aeroporti, ma riutilizzabile, elastico, subito utilizzabile e facile da stendere)
Def: MATERIALE COMPOSITO
Deve essere un materiale fabbricato dall'uomo (escludo il legno, ....)
Deve essere costituito da due o più fasi distinte fisicamente o chimicamente
Deve avere caratteristiche diverse da ciascuno dei suoi componenti presi singolarmente
Def: RINFORZI
in forma di fibre, ma anche in forma di particelle, flakes, whiskers. Possono essere naturali (basso costo), ad es. cotone, juta, lino, sisal, seta, lana,.. e artificiali, ad es. vetro, carbonio, aramidiche, PE, .... Queste sono caratterizzate da elevate proprietà meccaniche e bassa densità.
Def: FIBRA
Piccolo diametro (rispetto ad es. alla dimensione del grano o ad altre unità microstrutturali). Ciò consente di ottenere un materiale con prestazioni vicine ai valori teorici, cosa non possibile con in materiali in forma massiva
Un elevato rapporto d’aspetto (es. l/d), che consente di trasferire gran parte del carico dalla matrice alle fibre, più resistenti e rigide
Un’elevata flessibilità, che per fibre di elevato modulo è funzione del diametro, la quale consente di produrre oggetti di forma complessa utilizzando tali fibre. Una trave sottoposta a flessione tramite un momento M sviluppa una curvatura di raggio R. Vale la seguente espressione (E: modulo elastico, I: mom. Inerzia sezione): M*R = E*I E*I è la rigidezza della trave.
Per una fibra a sezione circolare di raggio d: 𝐼 = 𝜋𝑑 4 /64 Per quanto riguarda la flessibilità di una fibra, quindi: 𝐹𝑙𝑒𝑠𝑠𝑖𝑏𝑖𝑙𝑖𝑡à = 1 𝐸𝐼 = 64 𝐸𝜋𝑑 4 Quindi: La flessibilità dipende in modo molto forte da d. Fabbricando una fibra di un qualsiasi materiale con diametro d sufficientemente piccolo, essa può essere resa flessibile come una fibra di un polimero, ecc.
Esistono in commercio fibre di vetro con composizioni molto differenti, le più comuni sono quelle a base di silice (50-60% SiO2), contenenti altri ossidi (Ca, Na, B, Al, Fe). Divise in E: Electrical ,C: Corrosion, S: Silica (temperatura).
Hanno alta resistenza e rigidità, peso leggero, buona resistenza alla corrosione, isolamento termico ed elettrico, basso costo di produzione, (modulo elastico 70GPa).
Produzione
Si utilizzano bushing di platino riscaldati con circa 200-300 fori. Questi fori determineranno il diametro delle fibre.
Il materiale base, solitamente vetro fuso, viene utilizzato per l'estrusione per gravità attraverso questi fori. Raffreddate con acqua nebulizzata per ridurre cristallizzazione, deve rimanere amorfo (La silice pura fonde a 1.800 °C circa, per rendere la produzione delle fibre più agevole (ridurre Tg) e per ridurre la tendenza alla cristallizzazione, si aggiungono altri ossidi).
Le fibre estruse ricevono un'applicazione di un agente di appretto, noto come "sizing" (Le fibre di vetro vengono danneggiate facilmente, anche dalla semplice presenza di H2O). Questo trattamento è essenziale per migliorare le proprietà meccaniche e l'adesione del materiale.
Le fibre trattate vengono raccolte in uno strand (una raccolta di fili) e avvolte attorno a un cilindro o a un tamburo. Questo processo consente di raccogliere e immagazzinare le fibre in forma utilizzabile.
Il diametro delle fibre dipende da vari fattori: il diametro dei fori nel bushing, la viscosità del materiale fuso e il livello del battente liquido, che influisce sulla velocità di estrusione.
Tuttavia, ci sono alcuni problemi che possono sorgere durante il processo di produzione di fibre di vetro:
Alta Temperatura: si possono presentare sfide in termini di gestione termica e controllo del processo.
Corrosività dei Materiali Fusi
Immiscibilità di Alcuni Componenti allo Stato Liquido
Cristallizzazione Durante il Raffreddamento: il materiale può cristallizzarsi, influenzando le proprietà delle fibre. Questo può richiedere tecniche di raffreddamento controllate.
Per superare queste sfide, sono state sviluppate anche altre tecniche, come le tecniche sol-gel, che possono essere utilizzate non solo per la produzione di fibre di vetro, ma anche per altri tipi di fibre, come quelle ceramiche. Queste tecniche offrono alternative che possono mitigare alcuni dei problemi associati al processo tradizionale di estrusione per gravità.
Si parte da una soluzione di precursori metallorganici (alcossidi M-O-R).
La soluzione viene trattata in modo tale da produrre un sol, ovvero una sospensione di particelle colloidali (dimensioni dell’ordine dei nm).
Il sol viene gelificato ed estruso a bassa temperatura.
Il gel viene convertito in vetro (o ceramica) mediante calcinazione ad alta temperatura.
Ad es: TEOS, ovvero Si(OC2H5 )4 Si(OR)4 + H2O → HO−Si(OR)3 + R−OH
I rinforzi
Xerogel: è un materiale solido e poroso che si forma quando un gel viene essiccato attraverso l'eliminazione del solvente senza alcuna restringimento o contrazione significativa della struttura della rete. Ha un ampia superficie ottima per supporto a reazione, se lo scaldo ottengo film sottili.
Forme
Matt: fibre tagliate disposte in modo casuale e legate insieme con un legante. Questo crea un tessuto non tessuto che può essere utilizzato come rinforzo in compositi di vetroresina, spesso in applicazioni che richiedono una superficie liscia e uniforme.
Yarn (continuo): filamenti continui che possono essere tessuti o intrecciati per creare tessuti tecnici o utilizzati come rinforzi in compositi. Sono noti per la loro resistenza e durabilità.
Roving: è un fascio di fili di vetro continui e paralleli, spesso utilizzato come rinforzo in processi di laminazione o molding. È un materiale comune nei processi di produzione di compositi, poiché offre una distribuzione uniforme di fibre per migliorare le proprietà meccaniche del materiale finale.
Tessuto: è prodotto tramite l'intreccio o la tessitura di fili di vetro. Esistono vari tipi di tessuti, ognuno con diverse configurazioni di trama e ordito che influenzano le proprietà del tessuto. Questi tessuti sono utilizzati per una vasta gamma di applicazioni, tra cui rinforzi in compositi, rivestimenti, e applicazioni industriali specializzate.
Tipi:
Fibre di vetro E: hanno proprietà omogenee ed isotrope. Sono realizzate con vetro alcalino-boro-silicato e contengono una percentuale più elevata di ossido di calcio e molto ossido di alluminio. Sono tra le più costose e usate. Bassa densità (2,5 g/cm^3) e alta resistenza meccanica e rigide. Modulo elastico relativamente basso (70) --> Discreto rapporto modulo/densità (l’industria aeronautica usa altre fibre)
Fibre di vetro S: sono realizzate con vetro alcalino-calcio-silicato e contengono una percentuale più elevata di ossido di silicio rispetto alle fibre di vetro E. Tendono ad avere proprietà di resistenza e rigidità inferiori rispetto alle fibre E. Tuttavia, possono presentare una maggiore resistenza alle alte temperature e all'attacco chimico, rendendole più adatte ad ambienti corrosivi.
Fibre di vetro C: al carburo di silicio, che conferisce notevole resistenza alle alte temperature e una buona resistenza chimica.
Fibre ottiche: sono ampiamente utilizzate in telecomunicazioni, reti di computer, medicina e altri settori in cui è necessaria la trasmissione di segnali luminosi ad alta velocità e su lunghe distanze. I requisiti specifici per le fibre ottiche includono:
Trasparenza elevata
Bassa attenuazione e dispersione
Bassa riflessione
Flessibilità e resistenza meccanica
Bassa sensibilità alle temperature
Compatibilità con sorgenti luminose
Isolamento elettrico
In realtà solo alcune fibre sono orientate nella giusta orientazione dello sforzo e inoltre una buona parte è matrice, che è inutile per determinare le proprietà. Vengono utilizzate per produrre manufatti basati sull’impiego di molti tipi di matrici: resine poliestere, epossidiche, fenoliche. Sono economiche e disponibili in molte forme.
Sono sensibili all’umidità ed al fenomeno della «fatica statica», che consiste nella nucleazione e crescita di cricche subcritiche in fibre di vetro sollecitata per lunghi periodi con carichi costanti. Utilizzate per produrre GRP (Glass Reinforced Plastics).
Le fibre di boro sono prodotte attraverso un processo noto come deposizione chimica da fase vapore (CVD), sviluppato principalmente da Talley nel 1959. Questo processo coinvolge la deposizione di boro su un substrato ad alta temperatura, tipicamente di tungsteno (W) o carbonio (C - con caratteristiche inferiori), il che conferisce alle fibre stesse una natura composita. Il boro è noto per la sua fragilità, e dunque la produzione di fibre di boro richiede un'attenzione particolare.
Nel processo di Talley, un alogenuro di boro (solitamente BCl3) viene ridotto su un filo caldo di W in presenza di idrogeno. L'equazione chimica del processo è la seguente:
2𝐵𝑋3 + 3𝐻2 → 2𝐵 + 6𝐻𝑋
Dove X può essere Cl, Br o I. Le alte temperature richieste rendono necessario riscaldare il substrato attraverso l'effetto Joule.
Le fibre risultanti sono di altissima qualità e dimostrano caratteristiche estremamente coerenti. Ogni reattore è in grado di produrre un monofilamento con un diametro di circa 10-12 micrometri. Per ottenere una struttura amorfa di boro, è necessario mantenere la temperatura sotto un certo limite. Tuttavia, con il filo in movimento, la temperatura deve essere aumentata.
Un aspetto critico del processo è il recupero dell'alogenuro di boro (BCl3), che è un composto costoso. Inoltre, la sigillatura con mercurio (Hg) è spesso utilizzata, sia tramite contatto diretto che tramite vaporizzazione.
La struttura delle fibre di boro è nodulare e, sebbene siano spesso definite "amorfe", in realtà mostrano una nano-cristallinità. All'interfaccia tra i due materiali si formano composti noti come "bonding layer", come i boruri WB4, W2B5, ecc. che hanno una densità minore, quindi c'è espansione.
Il processo di produzione delle fibre di boro comprende due fasi fondamentali: la nucleazione e l'accrescimento. Questo metodo di produzione produce materiali di alta qualità con caratteristiche uniche, che li rendono preziosi in settori che richiedono materiali estremamente resistenti e leggeri. L'approccio CVD è fondamentale per la produzione di queste fibre avanzate. Il rivestimento in SiC (CVD da dimetildiclorosilano) serve per proteggere il B da possibili reazioni/fenomeni diffusivi con la matrice (ad es. Al).
Esiste anche un altro processo, basato sulla decomposizione termica, a temperature più basse, di idruro di B. In questo caso, può essere usato, come substrato, una fibra di vetro rivestita di C. Tuttavia, la qualità della fibra di B così ottenuta è inferiore. Le fibre sono caratterizzate dalla presenza di notevoli stress residui dovuti al processo di deposizione CVD, alla parziale conversione (con espansione) del W, al differente CTE di B e W e possibile preesistenza di crack radiali subsuperficia.
Hanno una struttura complessa e le proprietà sono funzione di molti fattori:
Modulo elastico: 380-400 Gpa
Diametro: 140-150 um
Densità tipica: 2.6 g/cm3
Utilizzabili (in ambiente non ossidante, sino a 2.000+ °C, per missili,...
Ottime in compressione, visto il diametro (no buckling)
Costose, nel 2023 vengono ancora prodotte da una sola azienda al mondo e difficile da modellare
Il carbonio nella forma di grafite presenta una densità notevolmente interessante, pari a 2.28 g/cm3. Tuttavia, le sue proprietà sono fortemente anisotropiche, come ad esempio un modulo elastico di 1.000 GPa nel piano grafitico e 35 GPa in direzione ortogonale, analogo anche per la dilatazione termica. Queste caratteristiche variano a seconda del precursore utilizzato e del processo di produzione impiegato, tipicamente con densità comprese tra 1.6 e 2.0 g/cm3 (nel caso di PAN tra 1.14 e 1.19 g/cm3). Instabili a compressione (comunque resistono 10 volte meglio del kevlar). Alto modulo elastico, ma considerando che le fibre sono al massimo il 65% del totale, il modulo finale risulta pari ad un acciaio, ma vista la minore densità a parità di peso sono notevolmente meglio.
La produzione di fibre di carbonio ha una storia che risale addirittura al 1900, quando Edison riuscì a ottenere fibre di carbonio attraverso la pirolisi di filamenti di cellulosa, principalmente per lampadine. Le prime fibre derivate dal PAN (Poliacrilonitrile) furono prodotte nel 1961 da Shindo in Giappone, con un modulo di 170 GPa. Successivamente, nel 1963, la Rolls Royce scoprì che era possibile aumentare il modulo attraverso l'allungamento delle fibre durante il processo di ossidazione.
Il processo di produzione ottimale per ottenere le migliori caratteristiche delle fibre di carbonio prevede la pirolisi e successiva grafitizzazione del PAN. Questo processo implica una prima fase di stabilizzazione del PAN a 250 °C in aria, al fine di evitare la fusione durante il processo e mantenere le fibre sotto tensione, passando da una tonalità bianca a nera. Segue un graduale riscaldamento in atmosfera inerte (N2), seguito da un trattamento (in Argon) fino a 3.000 °C per aumentare il modulo elastico delle fibre attraverso l'impacchettamento dei "nastri" grafitici. Durante questo processo, la diminuzione del peso totale può variare dal 40% al 90%.
Le fibre C-PAN mantengono generalmente la morfologia esterna della fibra di partenza, mentre internamente sono caratterizzate dalla presenza di "nastri" di grafite, disposti principalmente in direzione longitudinale rispetto all'asse della fibra. È possibile ottenere fibre di carbonio anche a partire da materiali come il rayon (cellulosa) o la pece, ma queste presentano caratteristiche inferiori e un costo di produzione più basso (isolamenti ad alte temperature, applicazioni spaziali).
Le fibre C-PAN, derivate dal precursore polimerico PAN (Poliacrilonitrile), possono essere classificate in diverse categorie in base alle loro proprietà:
HT (High Tensile): Queste fibre presentano un modulo basso, compreso tra 200 e 300 GPa, e offrono un allungamento maggiore prima della rottura
HM (High Modulus): Le fibre HM hanno un modulo di circa 400 GPa, il che le rende particolarmente rigide
SHT e SHM: Questi sono ulteriori varianti delle fibre C-PAN che possono avere diverse proprietà di resistenza e modulo
Inoltre, le fibre C-PAN possono essere suddivise in due categorie in base alla loro resistenza alla temperatura:
A: Queste sono fibre a basso modulo, che possono non essere in grado di sopportare temperature estreme come le fibre ad alto modulo.
B: Le fibre di questa categoria, ad alto modulo, sono in grado di resistere a temperature più elevate grazie alla loro maggiore rigidezza.
I polimeri, che sono macromolecole costituite da unità ripetitive chiamate monomeri, possono avere una struttura sia "random coil" (simile a spaghetti) che parzialmente cristallina. Il modulo elastico dei polimeri di solito si aggira intorno ai 10 GPa. Tuttavia, attraverso un processo di "stiratura" a caldo o a freddo, è possibile aumentare il modulo elastico fino a 80 GPa.
Per ottenere un modulo elastico ancora più elevato, non è sufficiente solo orientare le catene polimeriche, ma è necessario anche estenderle nella direzione di applicazione dello sforzo e organizzarle in una struttura ordinata. La capacità di ottenere un materiale con questa struttura dipende dalla capacità del polimero di cristallizzare (un fattore chimico) e dal processo utilizzato.
È importante che la temperatura utilizzata nei processi di stiramento delle fibre non sia né troppo bassa (altrimenti si creano vuoti) né troppo alta (per evitare deformazioni senza allineamento molecolare). Per ottenere un materiale con un modulo elastico superiore a 70 GPa, sono necessari rapporti di stiramento molto elevati. In generale, ci sono due approcci possibili: il stiramento a caldo di polimeri con una distribuzione ben precisa dei pesi molecolari (meglio elevati, ma poi diventano difficili da fondere) e l'estrusione di un cristallo liquido polimerico, specialmente quando le catene polimeriche hanno un comportamento simile a un'asta rigida / rigid-rod .
E' importante sottolineare che le fibre si ottengono spesso da polimeri disposti in cristalli. Devono essere in grado di disporsi in modo regolare per potersi allineare in fibre. Ecco alcuni polimeri che possono essere trasformati in fibre: Polietilene, Polipropilene, Nylon, Poliestere, Kevlar e Nomex, Poliacrilonitrile, Cellulosa, Poliuretano
Acronimo di Ultra High Molecular Weight Polyethylene, rappresenta una classe di fibre estremamente cristalline con notevole rigidezza e resistenza meccanica. Le fibre di PE ottenute attraverso il processo di stiramento e cristallizzazione dal fuso, con elevati rapporti di stiro, possono raggiungere un modulo elastico di circa 70 GPa, sebbene distante dal valore teorico desiderato a causa dell'orientamento anziché dell'estensione delle catene.
D'altra parte, la produzione di fibre di PE da gel di catene ad alto peso molecolare (> 1E6 UMA) ha consentito di ottenere fibre con un modulo elastico fino a 200 GPa, come nel caso di Dyneema e Spectra. Normalmente, si utilizza come materia prima HDPE a causa della sua minore ramificazione e elevata cristallinità. Per la lavorazione, si adoperano solventi alifatici come l'olio di paraffina, in concentrazioni del 5-10% per evitare eccessivo intrecciamento.
Il processo prevede temperature di circa 150 °C e il raffreddamento della soluzione formata all'uscita della filiera, che genera un gel a struttura lamellare di tipo folded-chain, mantenuto insieme da fenomeni di intrecciamento. È proprio l'intrecciamento tra le lamelle che permette di stirare il gel, con rapporti che possono raggiungere anche 200:1, limitati dalla concentrazione della soluzione iniziale. Lo stiramento avviene a temperature di circa 120 °C, con una produzione a bassa velocità (1,5 m/min). Presentano una densità massima teorica di 0,9979 g/cm3 e, in ogni caso, mostrano una bassa densità (galleggiano in acqua). Il modulo elastico è inferiore rispetto alle fibre aramidiche, ma il rapporto modulo elastico/densità è superiore del 30-40%. La temperatura di lavoro è inferiore a 150 °C. Le fibre risultano particolarmente lisce a seguito dello stiramento e presentano una bassa energia superficiale, quindi hanno scarsa adesione alla matrice se non trattate. Alcuni esempi di trattamenti superficiali includono il plasma freddo, la corona e il trattamento chimico con perossidi, ma è importante notare che tali trattamenti possono ridurre le proprietà meccaniche. Il grado di cristallinità si attesta tra il 90% e il 95%, e in questo materiale, densità e cristallinità sono strettamente correlate. Infine presenta una bassa resistenza al creep.
Le fibre aramidiche, come il Kevlar e il Nomex, sono polimeri aromatici con almeno l'85% dei legami ammidici collegati direttamente a due anelli aromatici. Queste fibre presentano catene rigide con una struttura simile a una verga/rod-like, che conferisce loro una temperatura di transizione vetrosa elevata e una bassa solubilità. Di conseguenza, la produzione di fibre aramidiche dal fuso o da una soluzione concentrata è una sfida. Vengono filate da soluzioni nematiche stabilizzate da alte concentrazioni di polimero, risultando anisotropiche e birifrangenti.
Presenta anche gruppi ammidici, ma le catene polimeriche contengono gruppi metilenici (-CH2-) tra gli anelli aromatici. La presenza di gruppi metilenici conferisce una maggiore flessibilità alla struttura e introduce una maggiore torsione nelle catene rispetto al Kevlar.
Elevata resistenza termica e maggiore flessibilità, è utilizzato in applicazioni che richiedono resistenza al calore e flessibilità, come tute antincendio, indumenti protettivi per ambienti ad alta temperatura e isolamenti termici.
La struttura di base del Kevlar è costituita da unità ripetitive di benzene collegate da gruppi ammidici (-CONH-). Le catene di Kevlar sono disposte in modo regolare, creando una struttura lineare e altamente cristallina. Elevata resistenza alla trazione ed elevata rigidità, è utilizzato in applicazioni che richiedono una resistenza eccezionale, come nei gusci degli elmetti, giubbotti antiproiettile e pneumatici resistenti agli agenti perforanti.
Per produrre il Kevlar, si utilizza l'acido solforico come solvente. Durante l'estrusione attraverso la filiera, gli sforzi di taglio allineano ulteriormente i cristalli lungo l'asse della fibra. Il metodo di produzione più comune è il dry-jet wet spinning, in cui il polimero viene polverizzato, lavato, asciugato, miscelato con oleum ed estruso attraverso una filiera a circa 100 °C. Le fibre solidificano in aria (così si raffreddano in un mezzo ottimale) e l'acido viene rimosso nel bagno di coagulazione.
Le fibre di Kevlar hanno legami primari forti lungo l'asse delle catene polimeriche, ma legami intermolecolari più deboli, conferendo proprietà fortemente anisotrope (comunque i legami secondari sono a idrogeno). Presentano un basso modulo di taglio longitudinale, mentre le proprietà a compressione e trasversali sono limitate. Inoltre, sotto sforzi di compressione, possono manifestare instabilità elastica (buckling). Altre caratteristiche includono una buona capacità di smorzamento delle vibrazioni e una sensibilità ai raggi UV che può comportare variazioni di colore e decadimento delle proprietà meccaniche.
Possono essere suddivise in due categorie principali: le fibre di ossidi, come l'allumina (Al2O3), il biossido di zirconio (ZrO2), il biossido di silicio (SiO2), e altre simili; e le fibre di materiali ceramici non-ossidi, quali il carburo di silicio (SiC) e altri.
Questi materiali sono rinomati per la loro eccezionale resistenza alle alte temperature e alle condizioni ambientali estreme, rendendoli essenziali in applicazioni ad alta temperatura e in ambienti corrosivi. Grazie alle loro proprietà uniche, le fibre ceramiche sono impiegate in settori come l'aerospaziale, l'industria automobilistica, l'energia e molte altre applicazioni ad alte prestazioni.
Altre fibre
Fibre di basalto
Possono essere polimeriche, metalliche (C-C) o ceramiche (SiC-SiC).
I polimeri sono materiali con una struttura microscopica complessa, suddivisibili in diverse tipologie. Tra le caratteristiche peculiari vi sono il loro basso costo, la facilità di lavorazione e la resistenza chimica. Tuttavia, presentano svantaggi come una limitata resistenza alla temperatura e agli agenti ambientali, sebbene in alcune situazioni possano superare i metalli in determinate proprietà.
La produzione di polimeri sintetici avviene attraverso il processo di polimerizzazione, che parte da monomeri. Questo può avvenire tramite policondensazione o poliaddizione, a seconda del risultato desiderato. I meccanismi invece sono a catena o a stadi. I polimeri sono classificabili in due categorie principali: termoplastici e termoindurenti (T transizione vetrosa), ognuno con diverse applicazioni e caratteristiche ed una temperatura di transizione vetrosa. Inoltre, possono avere diverse configurazioni, come lineare, ramificata o reticolata, influenzando le loro proprietà e prestazioni.
I copolimeri si distinguono dagli omopolimeri in quanto sono composti da due o più tipi di monomeri distinti, offrendo una gamma più ampia di proprietà e applicazioni. Il peso molecolare di un polimero è il risultato della moltiplicazione tra il grado di polimerizzazione e il peso molecolare medio dei monomeri: MW = DP x MWm.
La distribuzione dei pesi molecolari, indicata da parametri come MW e MN, è un fattore cruciale nelle proprietà dei polimeri. Inoltre, il grado di cristallinità, che varia generalmente tra il 30% e il 90%, dipende dal processo di produzione e dalla struttura del polimero, incluso il grado di impedimenti sterici.
Dal punto di vista termico, i polimeri mostrano un coefficiente di dilatazione termica (CTE) generalmente più elevato rispetto ai materiali metallici. Ad esempio, l'acciaio ha un CTE di 10e-6 ÷ 12e-6, mentre le resine epossidiche possono variare tra 50e-6 ÷ 100e-6 e le resine poliestere tra 100e-6 ÷ 200e-6. Inoltre, i polimeri tendono ad avere una certa infiammabilità, influenzata dalla composizione e dalla presenza di rinforzi e additivi.
I principali tipi di polimeri utilizzati includono le resine epossidiche, che possono essere arricchite con catalizzatori, additivi anti-UV, promotori di adesione, agenti flessibilizzanti e diluenti. Queste resine superano in prestazioni i poliesteri, mostrando minor ritiro, maggiore resistenza all'idrolisi e una temperatura di transizione vetrosa (Tg) e temperatura massima di utilizzo più elevate. Sono impiegate nella produzione di pre-pregs nello stato B, con una shelf life e pot life regolabili dal produttore. Massima quantità di acqua assorbita intorno all'1%. La pot-life di una resina è l'intervallo di tempo entro il quale la resina risulta essere lavorabile.
I poliesteri, invece, sono polimeri insaturi che presentano una densità di legami C=C. Per ridurre la viscosità, vengono spesso utilizzati diluenti come lo stirene, che agisce anche come agente di reticolazione. La reticolazione avviene mediante l'aggiunta di opportuni catalizzatori, come i perossidi organici, e l'innalzamento della temperatura. Questi materiali offrono una discreta resistenza all'idrolisi (impermealizzata con uno strato di resina a bassa permeabilità, altrimenti si possono formare bolle, per osmosi crescono, oppure no se barche rivestite con un ulteriore strato anti osmosi), ma hanno una temperatura massima di lavoro intorno a 80 °C. Presentano inoltre un ritiro significativo durante la reticolazione (4-8%).
Altri materiali termoindurenti come le poliimidi, con temperature di lavoro fino a 250-300 °C, trovano anche applicazione. Il processo di cura e post-cura (Curing and post-curing) può avvenire tramite metodi termici, raggi elettromagnetici o fasci di elettroni ( E-beam - e- accelerati e focalizzati da una finestra per scattering lo bombardo con e- essendo vicino, per verniciature, faccio reagire quasi tutto). La cura è il processo in cui l'oggetto stampato viene indurito e stabilizzato mentre la post-cura è una fase successiva in cui l'oggetto stampato viene sottoposto a trattamenti supplementari per garantire che sia completamente indurito e pronto per l'uso finale.
*Esponendo ai raggi UV una resina polimerica si ha un aumento del grado di cristallinità e diminuzione del peso molecolare medio
* Nei PMC, l’umidità abbassa la Tg, riduce la resistenza a trazione e il modulo elastico
Nel caso dei materiali termoplastici, si utilizzano sia le poliammidi e il PET, sia polimeri avanzati come PPS, PMMA e PEEK. Questi materiali possono essere sottoposti a pre-formatura e sono in teoria riciclabili.
Tenacità materiali polimerici: debonding cricca o rompe particella (difficile essendo elastica) quindi scollamento.
Bringing: particella fa da ponte e tende a tenere chiusa la cricca
Molto più prestazionali e costose, usate in campo aeronautico.
C-C usato per produrre freni molto prestazionali, con la caratteristica che più si scaldano più l'attrito aumenta (al contrario della ghisa). In aerei per gestire il calore termico si usano più dischi più una ventola per il raffreddamento, ed è proprio il tempo di raffreddamento che determina quanto l'aereo deve rimanere a terra prima di un altro decollo. Hanno T fusione molto alta e resistenza a corrosione. Si parte da fibre math di carbonio causale immersa in una resina fenolica con alto C e stampate, poi Pirolisi ad alta T che fa rimanere solo il C.
Fondamentale nel composito essendo che la matrice va a trasferire gli sforzi alla fibra tramite taglio (attrito, adesione, ...). La superficie interna di contatto fibre-matrice in un materiale composito può essere anche molto elevata (ad es. migliaia di cm2 per cm3 ).
In genere non è una zona infinitesima, ma un interfase, ma comunque, con fibra di vetro e C è di pochi nmed è legata alla formazione di legami chimici.
Per esempio PE + MATRICE EPOSSILICA --> Basso legame
Oppure se incollo del legno con la vinavil essa penetrerà un po'. Incollaggio lega Al/AlO3 ossido con porosità (per rimuoverlo tramite anodizzazione dura a -10°C). Con polimeri PE le catene possono intrecciarsi essendo molto lunghe o diffusione.
Vfibre = Vtotale x f f
𝑆/𝑉𝑓 = 2𝜋𝑟𝑙 / 𝜋𝑟^2𝑙 = 2 / 𝑟
𝑆 / 𝑉 = 2𝑓𝑓 / 𝑟 = 1/r = 10^5 m^-1 (tanta energia interna)
Le fibre non devono essere indebolite dalla presenza di difetti superficiali indotti dal contatto con la matrice. I carichi devono essere trasferiti efficacemente dalla matrice alle fibre.
Essendo la resina inizialmente fusa o liquida, la bagnabilità è importante:
Equazione di Young: Piccoli angoli di contatto implicano buona bagnabilità. E’ possibile che l’angolo di contatto abbia un’isteresi. Un'elevata bagnabilità non implica forze di adesione elevate. Si tratta di una condizione necessaria, non sufficiente. In altri termini, in caso di bagnabilità totale, il sistema sviluppa le massime forze di adesione possibili, sulla base dei legami disponibili (che possono essere deboli). Nel caso dei PMC, la bagnabilità è molto importante anche per avere una corretta impregnazione delle fibre (spazi capillari).
E favorevole = fibre (per polietilene basso per esempio) ad alta energia e matrice a bassa energia ( tipico dei polimeri)
Valutazione dell’energia superficiale:
Per un liquido esistono vari metodi; telaio metallico che contiene il liquido e pongo sopra un filo, si calcola la tensione superficiale. Oppure pongo nel liquido una piastra di Pt in verticale e si sviluppa un menisco che calcolo. Infine tramite un anellino sempre di Pt e si formerà sempre un menisco e dinamometro per la forza.
Nei solidi si scalda vicino alla T di fusione e si appende alla fibra un peso, essa si allunga fino a che la forza pe riequilibra; grafico di Zisman
Si ci soposta da sx a dx se per esempio passiamo da un metanolo a alcoli con catene più lunghe (meno legami irdogeno). Per esempio il teflon è difficile che si bagni, in genere si formano gocce. Se l'acqua sopra un film di metallo forma delle gocce indica la presenza di parti ossidate.
Nel caso di rottura coesiva di un materiale: Wc = 2g Nel caso di rottura adesiva, vale l’equazione di Dupre: Wa = g1 + g2 – g12 Sostituendo i pedici con quelli utilizzati comunemente nell’equazione di Young (fibra = S, matrice = L): Wa = gSV + gLV – gSL.
Si suppone che le energie interfacciali varino in modo trascurabile in conseguenza della solidificazione della matrice. Sostituendo l’equazione di Young nell’equazione di Dupre, si ottiene l’equazione di Young-Dupre: Wa = gLV (1 + cos( θ )). Aumento θ, non Ls, comprimo e trattamento fibre per aumentare bagnabilità. Comunque sono sempre presenti fenomeni anelastici nella rottura del materiale a livello termodinamico.
L’energia di frattura (fragile) massima all’interfaccia fibra-matrice è quindi pari a due volte l’energia di rottura coesiva della matrice. Nel caso di rottura adesiva, l’energia di rottura è pari alla somma delle energie superficiale delle nuove superfici create solo nel caso in cui le due parti siano costituite dallo stesso materiale. Tale energia può essere bassa per alcuni materiali (che, in questo caso, bagneranno bene le fibre). Va quindi scelta possibilmente una matrice con energia superficiale elevata, ma non superiore a quella delle fibre, in modo tale che l’angolo di contatto sia pari a zero o più piccolo possibile. La rottura dell’interfaccia fibra-matrice comporta anche dei fenomeni di deformazione anelastica di cui non abbiamo tenuto conto. Tali fenomeni tendono a migliorare la tenacità dell’interfaccia.
Nella realtà, inoltre, l’interfaccia non sarà perfettamente planare. Oltre alla rugosità, altri fattori che possono influire sui fenomeni di adesione all’interfaccia fibre matrice sono:
Presenza di impurezze sulla superficie delle fibre
Temperatura
Impiego di adhesion promoters sulla superficie delle fibre
Impiego di adhesion promoters nella resina
Energia superficiale o tensione superficiale? L’energia superficiale rappresenta un eccesso di energia dovuto alla mancata formazione di legami chimici in corrispondenza della superficie di un corpo di dimensioni finite [J/m2 ]. La tensione superficiale è la tendenza di un corpo a minimizzare la propria superficie, per ridurre al minimo tale eccesso di energia libera [N/m]. Numericamente, queste grandezze sono identiche per materiali isotropi. Per un liquido, il secondo termine è nullo, grazie alla mobilità atomica o molecolare presente in questo stato (vale per qualsiasi materiale che non sia capace di sostenere uno stress di taglio, se non in condizioni dinamiche). d(Ay)/dA= y+ay/aA =0 (per un liquido grazie alla mobilità).
Per un solido, questo non è vero. Infatti, se «stiriamo» la superficie di un solido, gli atomi (o le molecole) si allontanano gli uni dagli altri e g diminuisce. Pertanto, il secondo termine diventa negativo. Per questo motivo, nel solidi, l’energia superficiale e la tensione superficiale non coincidono.
Tipi di legami all’interfaccia:
• Meccanico: (attrito): È determinato dal ritiro della matrice (epossiliche 0,5-2%, mentre poliuretani e vinilesteri fino a 5%). Il coefficiente di attrito u di solito varia tra 0.1 e 0.6. Dipende anche dalla bagnabilità fibra-matrice (matrice entra o meno nelle asperità delle fibre). Può essere favorito da opportuni trattamenti delle fibre (es.: mordenzatura).
• Fisico: presenza di legami secondari (VdW, dipolo-dipolo...)
• Chimico: formazione di legami primari (covalenti, metallici, ionici.
Dissolution: l’interazione avviene su scala elettronica (le superfici devono essere perfettamente a contatto e prive di contaminanti).
Reaction: avviene un trasporto di specie chimiche (molecole, atomi, ioni) da un materiale all’interfaccia (ad es. silani, entanglment)
Non è sempre preferibile avere l’adesione più «forte» possibile all’interfaccia fibre-matrice; ad esempio, in materiali compositi nei quali la matrice è fragile, un’eccessiva adesione all’interfaccia può portare all’infragilimento di tutto il composito.
Sono stati sviluppati molti metodi per la misura dell’adesione fibre-matrice, sia di tipo indiretto che diretto. I testi indiretti si basano essenzialmente su prove meccaniche effettuate su elementi ricavati dai materiali che devono essere testati, i quali vengono sottoposti tipicamente a prove di flessione. Dei "tre elementi" presenti in un composito, normalmente il più «debole» è l’interfaccia.
Tra i test diretti, uno molto usato nell’ambito della ricerca (ma non utilizzabili per la caratterizzazione di prodotti finiti) è l’estrazione diretta di una fibra. Si tratta di un test di non facile esecuzione, in particolare per quanto riguarda la preparazione dei campioni. Inoltre, la meccanica di estrazione della fibra è abbastanza complessa e i dati risultanti devono essere correttamente interpretati. va tenuto in considerazione il fatto che la fibra posta in tensione, avendo un coefficiente di Poisson diverso da quello della matrice, può sviluppare sforzi radiali di tensione all’interfaccia, che agevolano il fenomeno di debonding. La prova di pullout fornisce in genere le seguenti informazioni: sforzo di primo distacco (forza di adesione), coefficiente di attrito tra fibra e matrice (è correlata alla tenacità del composito).
E’ possibile effettuare una serie di prove di pullout variando la lunghezza della porzione di fibra inglobata nella matrice e calcolare la resistenza adesiva a taglio e il coefficiente di attrito fibra-matrice, assumendo che lo stress di taglio all’interfaccia sia uniforme. Le analisi FEA mostrano che, in realtà, lo sforzo di taglio all’interfaccia non è uniforme: è massimo sulla superficie libera e decade velocemente andando verso l’interno del materiale, sostanzialmente azzerandosi ad una distanza da tale superficie pari ad alcuni diametri della fibra. Per questo motivo, il debonding avviene progressivamente, dall’esterno verso l’interno.
Prove di indentazione (pushin): si preme la fibra nel materiale composito con un dente.