Indice
Storia; generalità su struttura, proprietà, tipologie (termoplastici, termoindurenti, elastomeri).
Reazioni di polimerizzazione.
Polimerizzazione a stadi (step-growth). Lineare- policondensazione, poliaddizione; cinetica. Non lineare - reticolo, gelazione.
Polimerizzazione a catena (chain-growth). Radicali liberi - iniziazione, propagazione, terminazione; cinetica, grado di polimerizzazione; inibizione, effetto ritardante. Polimerizzazione in massa, in soluzione, in emulsione, ionica: cationica, anionica.
Copolimerizzazione: graft, block.
Struttura. Legami; definizioni di massa molecolare e andamenti statistici. Conformazione e configurazione, tatticità. T di transizione vetrosa e T di fusione. Grado di cristallinità e proprietà. Comportamento visco-elastico, modelli viscoelastici; prove meccaniche a breve e lungo periodo.
Miscelazione, Distribuzione e dispersione. Miscelatori. Plasticizzanti. Altri additivi: ritardanti di fiamma, stabilizzanti, agenti antistatici, cariche, agenti schiumogeni.
PRO
Leggeri
Basso costo
Buona resistenza chimica
Vasta gamma di proprietà meccaniche
Isolanti termici/elettrici, (acustici)
Ottimi conduttori elettrici (solo poche plastiche)
Basso coefficiente di attrito
In alcuni casi, trasparenti
Bassi moduli di Young /elastici
CONTRO
Bassa T di utilizzo (rammollimento/degradazione)
Alta dilatazione termica
Infiammabili
Rigonfiamento (in certi ambienti chimici)
Invecchiamento
Non sempre riciclabili
Derivati del petrolio (link1): idrocarburi (link2)
Basso carico di rottura
I polimeri (dal greco poli-meros, molte-parti) sono macromolecole ad elevato peso molecolare costituite da molte molecole elementari, chiamate monomeri, unite insieme con legame covalente per formare lunghe catene che possono essere lineari, ramificate o reticolate. Sviluppati su scala di laboratorio a partire dal 1840 con la vulcanizzazione della gomma per poi avere una diffusione a livello industriale con la 2^guerra mondiale.
Def: POLIMERI
Classe di materiali composti da macromolecole con alto peso molecolare formate dalla ripetizione di una o più unità strutturali uniti tramite legame covalente. Con n detto grado di polimerizzazione.
M monomero
M-M dimero
M-M-M trimero
M-M-M-M tetramero
M-M-M-M-M-M-... n volte polimero
Def: PLASTICHE
Sono polimeri "ingegnerizzati", cioè miscelati con additivi e cariche.
Una prima classificazione può essere fatta sulla base della natura dei polimeri stessi:
NATURALI: sono derivati da piante ed animali (proteine che formano i capelli, la lana e la seta, i polisaccaridi come la cellulosa, l’amido, la chitina, l’acido ialuronico, gli acidi nucleici come il DNA e l’RNA, poliisoprene)
SEMISINTETICI o ARTIFICIALI: sono derivati da prodotti naturali che vengono successivamente trattati per via chimica (rayon e l’acetato di cellulosa/viscosa)
SINTETICI: sono macromolecole sintetizzate a partire da materiali più semplici ( polietilene, il polipropilene, il PVC, il polistirene, il nylon)
Un'ulteriore classificazione risulta essere:
Termoplastici: sono quelli che possono essere ripetutamente fusi per riscaldamento e rimodellati usando opportuni stampi. Hanno una T di transizione vetrosa SE AMORFI alla quale passano da uno stato solido rigido ad uno stato gommoso rammollito (solo alcuni "fondono"). Per ulteriore riscaldamento manifestano un’altra transizione dallo stato gommoso a quello liquido con una temperatura di fusione che è netta per i polimeri cristallini, ma che diventa un intervallo di T per i polimeri con qualche grado di cristallinità, e infine non è più identificabile con i polimeri amorfi nei quali la non avviene una propria fusione, ma un indebolimento dei legami secondari senza discontinuità (concetto approfondito in seguito).
Alla temperatura Tg le catene nelle zone amorfe del polimero acquistano mobilità e possono allungarsi e srotolarsi, alla temperatura Tm anche le catene nelle zone cristalline iniziano a scorrere una sull’altra e possono separarsi. Le catene non sono reticolate.
Legami covalenti lungo la catena tra gli atomi di carbonio Forti (150-4000 kJ/mol)
Legami tra le catene: Van der Waals, legame idrogeno Deboli (0,05-30 kJ/mol)
Termoindurenti: sono quelli che possono essere fusi e messi in forma in uno stampo una sola volta perché durante questa operazione si sviluppano reazioni di reticolazione che induriscono la resina in modo definitivo e ne impediscono la rifusione. Sono altamente reticolati, le cui molecole formano un network tridimensionale. Legami covalenti sia tra catena che tra le varie catene. La reticolazione impedisce non solo lo scorrimento delle molecole ma anche la loro distorsione: elevata rigidezza e resistenza, scarsa duttilità
L’esempio più noto è la bakelite o resina fenolo formaldeide che viene prodotta inizialmente con catene di lunghezza modesta e si presenta come un liquido viscoso o come una polvere e può essere introdotta in stampi. Quando questi sono scaldati si produce un oggetto solido e rigido che non può più essere fuso
La gomma stirene butadiene SBR vulcanizzata che si usa nella fabbricazione degli pneumatici nella quale si realizzano, per riscaldamento nello stampo, legami di reticolazione con piccole catene di atomi di zolfo che rendono la gomma finale più resistente chimicamente, fisicamente e con migliori caratteristiche elastiche
Anche le resine epossidiche induriscono a freddo per aggiunta di un agente di reticolazione e che poi sono resistenti al calore
Elastomeri: sono costituiti da polimeri leggermente reticolati che quando si trovano sopra Tg possono essere deformati, ma poi tornano alla forma originale. Legami covalenti sia tra catena che tra le varie catene. Questo deriva dal fatto che le loro catene sono avvolte come molle e quando si applica una forza moderata di trazione si possono allungare, ma alcuni punti della catena rimangono aderenti e consentono al materiale di tornare alla sua forma originale.
Le caratteristiche elastiche possono essere migliorate creando chimicamente dei punti di aggancio tra le catene che consentono al materiale di sopportare deformazioni maggiori senza snervarsi. Questa operazione rende il materiale termoindurente.
Se gli agganci tra le catene di elastomero sono di tipo fisico allora si possono avere elastomeri termoplastici come la gomma a blocchi SBS stirene-butadiene-stirene nella quale gli agganci tra le catene non sono covalenti, ma sono realizzati da legami di Van der Waals tra gli anelli benzenici dello stirene.
Biodegradabili: sempre più importanti nel nostro mondo invaso da materie plastiche disperse nell’ambiente che stanno mettendo a rischio l’ecosistema. I polimeri biodegradabili sono quelli che possono essere degradati dai batteri in un tempo ragionevole. Il più noto è l’acido polilattico, un poliestere dell’acido lattico che viene usato per contenitori alimentari biodegradabili o per fissaggi chirurgici riassorbibili.
Si stanno studiando anche biopolimeri che oltre ad essere biodegradabili siano anche sintetizzati dai batteri e il più promettente è l’acido poli(3-idrossibutirrico), che viene sintetizzato dai batteri stessi che lo usano come deposito di energia. La sintesi parte dall’acido acetico che viene trasformato in acido 3-idrossibutirrico che poi viene polimerizzato. Gli stessi batteri possiedono anche un enzima in grado di depolimerizzare questa bioplastica che quindi non si accumula nell’ambiente.
Acido polilattico (PLA)
Poli-idrossialcanoati (PHA)
Molecole degli Idrocarburi
La gran parte dei polimeri è di natura organica e molti materiali organici sono idrocarburi.
Sono molecole composte da carbonio (C) ed idrogeno (H)
I legami intramolecolari sono di natura covalente
Ciascun atomo di C può formare 4 legami mentre ciascun atomo di H ne può formare 1
Legami doppi o tripli tra atomi di carbonio comportano la condivisione di 2 o 3 elettroni tra atomi coinvolti nel legame
Le molecole in cui il C forma 4 legami singoli sono dette SATURE, le molecole in cui si stabiliscono doppi o tripli legami sono dette INSATURE.
PARAFFINE: derivano dagli alcani e sono gli idrocarburi più semplici, aventi un singolo legame.
Molecole polimeriche
Le molecole dei polimeri sono molto più grandi rispetto a quelle degli idrocarburi e per questo vengono definite macromolecole
All’interno di ogni macromolecola, gli atomi sono legati tra loro da legami covalenti
Nei polimeri le molecole si presentano come catene lunghe e flessibili la cui struttura può essere immaginata come una lunga fila di atomi di carbonio
Le lunghe catene polimeriche sono composte da unità strutturali dette “MERI”, le quali si ripetono dando vita alla catena stessa. Un singolo MERO è chiamato Unità Strutturale e dipende dal particolare MONOMERO, mentre il termine POLIMERO è stato coniato per indicare una pluralità di MERI.
I polimeri vengono chiamati usando il nome del monomero da cui sono formati preceduto dal prefisso poli come in polietilene (ottenuto dall’etilene) e polipropilene (ottenuto dal propilene). Se il nome del monomero è composto da più nomi, allora va messo tra parentesi come in poli(vinil cloruro).
Per rappresentare un polimero è necessario conoscere anche l’unità monomerica (ciò che resta del monomero all’interno del polimero) e l’unità ripetente, cioè la struttura che si ripete n volte nel polimero. Il polimero viene rappresentato ponendo l’unità ripetente tra parentesi quadre con la lettera n al piede. In alcuni polimeri, come nel polipropilene mostrato qui sotto, monomero, unità monomerica e unità ripetente hanno la stessa composizione.
Se il polimero è formato dalla ripetizione della stessa unità strutturale/ripetitiva, come il polipropilene, si chiama omopolimero, se invece è formato da due o più unità differenti, come il PET, si chiama copolimero.
Blend (miscela): la miscela di due polimeri è diversa da un copolimero, in quest'ultimo si sono formati dei legami covalenti.
Polistirene (PS o EPS) : termoplastico per confezioni e se espanso isolanti
I polimeri si possono sintetizzare con più tipi di reazione: poliaddizione, policondensazione, poliaddizione con attacco all’isocianato, poliaddizione con apertura di anello.
Inizialmente divisa per tipo 1920 Carothes in poliaddizioni e policondensazione, ora sono un caso particolare di quella a meccanismo.
E’ un processo nel quale le unità monomeriche almeno bifunzionali si aggregano una alla volta per formare la catena polimerica. Le poliaddizioni si dividono in radicaliche, cationiche, anioniche e anioniche coordinate (queste ultime sono reazioni in cui il polimero con carattere anionico non attacca il monomero direttamente, ma solo dopo che questo è stato coordinato dal controione).
La macromolecola è un esatto multiplo del monomero reagente e quindi dato che tutti gli atomi dei monomeri vengono inclusi nella catena del polimero, la composizione percentuale del polimero è uguale a quella del monomero.
Polimerizzazione per radicali liberi e ionica: caratteristiche comuni: Da monomeri insaturi (con doppi legami), la propagazione avviene per aggiunta di un monomero alla volta -> per addizione (no sottoprodotti). In genere, danno polimeri lunghi: anche ≈ 10^5 ÷ 10^6. Formate da 3 fasi: inizio, propagazione e terminazione.
1) Fase di INIZIO: si forma un centro chimicamente attivo (radicale) mediante una reazione con un iniziatore. (Acqua ossigenata H2O2--> 2 OH*, eteni)
La formazione del radicale libero dall’iniziatore (I) può avvenire per:
Omolisi: rottura di un legame nell’iniziatore in seguito ad uno stimolo esterno. La formazione di RL avviene solo durante il tempo di esposizione tramite termolisi (iniziatori con un gruppo termolabile, azo composti -N=N-; perossidi -OO- disolfuri -S-S-, avente bassa T di decomposizione (50 – 100 °C)) o fotolisi (ad opera di energia radiante (Luce visibile, UV, Raggi gamma))
Reazione redox: trasferimento di un e- da altro ione o molecola.
2) Fase di PROPAGAZIONE: si ha la crescita della catena. L’accrescimento è molto rapido, infatti in 10^-3 / 10^- 2 secondi si agganciano circa 1000 unità monomeriche.
3) Fase di TERMINAZIONE: si blocca la crescita della catena polimerica.
Combinazione: reazione tra 2 catene polimeriche (testa – testa). L’iniziatore rimane a ciascuna estremità delle catene polimeriche.
Disproporzione: un atomo di H viene sottratto da una catena ad un’altra. L’iniziatore rimane ad una sola estremità delle catene polimeriche
PS prevale la combinazione mentre per PMMA prevale la disproporzione (soprattutto T > 60°C).
Cinetica
All’inizio della polimerizzazione (t = 0): vi >>> vt. In fase di propagazione: [M• ] aumenta rapidamente e quindi anche vt aumenta finchè si raggiunge lo stato stazionario: vi = vt. Se ciò non si verificasse, la reazione andrebbe fuori controllo!
Aumentando [M] crescono sia la velocità di propagazione che il grado di polimerizzazione. Aumentando [I] cresce la velocità di propagazione ma diminuisce il grado di polimerizzazione.
All’avanzare della reazione sia [M] che [I] decrescono spingendo la reazione a fermarsi.
Quando [M] è ancora alta, la velocità vp può crescere molto rapidamente. (autoaccelerazione, effetto Trommsdorff-Norrish o effetto gelo). Le polimerizzazioni radicaliche sono esotermiche.
Se la dissipazione di calore non è adeguata si può arrivare ad un'esplosione. Per limitare il pericolo di autoaccelerazione si deve fermare la reazione prima di raggiungere la viscosità critica e lavorare in presenza di solventi.
Reazioni di trasferimento catena (transfer)
l grado di polimerizzazione sperimentale può essere inferiore a quello stimato a causa di reazioni secondarie che coinvolgono il monomero, l'iniziatore o il solvente durante il processo di polimerizzazione. Ad esempio, il radicale A· può dare inizio nuovamente alla polimerizzazione solo se la reazione è sufficientemente veloce, A* + M → AM*.
Per regolare il processo di polimerizzazione, è possibile utilizzare opportuni agenti chimici. Un aspetto cruciale è rappresentato dal rapporto tra la costante di velocità di trasferimento catena (ktr) e quella di propagazione (kp). Un rapporto maggiore indica un trasferimento catena più efficace, e di conseguenza, comporterà un grado di polimerizzazione minore.
Inoltre, se il trasferimento non coinvolge un agente chimico esterno, ma avviene direttamente all'interno del polimero attraverso reazioni intramolecolari, possono formarsi ramificazioni senza che queste alterino il grado di polimerizzazione. Questo significa che la lunghezza media della catena polimerica rimane la stessa, ma la struttura del polimero può essere più complessa a causa delle ramificazioni.
Inibitori e ritardanti
Inibitori: Sostanze che reagiscono in modo efficiente con i centri attivi per dare altre specie (radicaliche o non) incapaci di ri-iniziare la polimerizzazione
Ritardanti: Sostanze che reagiscono in modo meno efficiente con i centri attivi per dare altre specie (radicaliche o non) capaci di riiniziare la polimerizzazione, ma più lentamente
Autoinibizione: Trasferimento catena al monomero e formazione di una molecola stabile
Distribuzione di massa molare
Effetti della temperatura
L'effetto della temperatura sulla cinetica di una reazione di polimerizzazione è ben descritto dalla legge di Arrhenius, che stabilisce una relazione diretta tra la costante di velocità della reazione
Aumentare la temperatura ha diversi effetti sulla reazione di polimerizzazione:
Aumenta la concentrazione di monomero attivo
aumentando quindi il numero di catene che crescono.
Incrementa il consumo di monomero.
Aumenta la probabilità di terminazione
Può causare un decremento nel grado di polimerizzazione a causa dell'incremento del trasferimento catena
A temperature più elevate, la depropagazione (reazione inversa).
Quando la temperatura supera una certa soglia chiamata "temperatura limite" o "ceiling temperature", la polimerizzazione non avviene in quanto il termine entalpico diminuisce e prevale la reazione inversa. Questo limite termico è specifico per ciascun sistema di polimerizzazione e può variare a seconda delle reazioni coinvolte e dei monomeri utilizzati. RICICLO CHIMICO
Metodi industriali
Polimerizzazione in massa (bulk)
Il monomero in forma liquida e l'iniziatore solubile in esso vengono introdotti all'interno del reattore. L'impiego di una concentrazione iniziale elevata del monomero, indicata come [M]0, porta a conseguire un valore elevato di velocità di polimerizzazione (vp) e di grado di conversione (xn). Si lavora in due stadi:
polimerizzazione parziale sino ad ottenere una soluzione viscosa
colata della soluzione viscosa in stampo e completamento della reazione.
Tuttavia, questo approccio può generare alcune problematiche da affrontare. In primo luogo, nell'agitazione del sistema, poiché la viscosità aumenta rapidamente. Inoltre, si ha difficoltà nel controllo del trasferimento di calore, con il rischio di autoaccelerazione. È inoltre necessario limitare la conversione del monomero per garantire il recupero del materiale non reagito, soprattutto per ragioni economiche. Infine, è possibile che si verifichi la precipitazione del polimero nel monomero in caso di insolubilità, come nel caso di poliacrilonitrile (PAN) e polivinilcloruro (PVC). I vantaggi sono l'ottenimento di un alto peso molecolare medio (Mn) e una elevata purezza del prodotto finale.
Polimerizzazione in soluzione
Il monomero viene disciolto in un solvente non reattivo che contiene un iniziatore. Il calore generato viene assorbito dal solvente, rallentando il processo.
Questo approccio presenta alcune problematiche: L'impiego di una concentrazione iniziale di monomero bassa [M]0, comporta una riduzione della velocità di polimerizzazione (vp) e del grado di conversione (xn). Inoltre, il solvente può essere soggetto a reazioni di trasferimento catena, influenzando la crescita della catena polimerica. La separazione del polimero dal solvente può avvenire attraverso l'evaporazione del solvente o la precipitazione del polimero, il che richiede un'attenzione particolare. I vantaggi sono la bassa viscosità della soluzione che facilita l'agitazione del sistema e il trasferimento di calore risulta più agevole rispetto ad altri metodi di polimerizzazione, contribuendo a una migliore gestione delle condizioni reattive.
Polimerizzazione in sospensione
E' un processo in cui il monomero, che è insolubile in acqua, viene mescolato con l'iniziatore, anch'esso insolubile in acqua, e quindi disperso in una soluzione acquosa. Durante la reazione, il calore generato viene assorbito dall'acqua circostante, contribuendo a mantenere una temperatura ottimale. Completata la polimerizzazione, il prodotto viene separato dalla fase acquosa e successivamente essiccato. Questo metodo trova applicazione nella produzione di polimeri vinilici come il PVC, il polistirene, il poliacrilonitrile e il PMMA. Presenta diversi vantaggi significativi. Innanzitutto, la viscosità del sistema rimane bassa, semplificando le operazioni di agitazione. Inoltre, il fatto che ogni goccia di sospensione possa essere considerata come un reattore a sé stante permette uno scambio termico molto efficiente.
Polimerizzazione in emulsione
Coinvolge l'aggiunta di monomero liquido (insolubile in acqua) a una soluzione acquosa contenente l'iniziatore (solubile in acqua, ma non nel monomero). Successivamente, vengono aggiunti stabilizzanti, surfattanti anionici, che sono costituiti da molecole con una catena idrofoba (R-) e gruppi di testa anionico-idrofilo, insieme a controioni. Questi surfattanti, a una certa concentrazione, formano micelle, strutture che possono assorbire sostanze insolubili in acqua (idrofobe), come il monomero (per il lattice per esempio). L'output è una dispersione colloidale stabile di particelle di polimero, con dimensioni nell'ordine di 0,005 a 1 micron, in acqua.
La dispersione degli stabilizzanti può richiedere particolare attenzione, così come la successiva separazione del polimero, che può avvenire mediante coagulazione (aggiunta di sali) o il processo di spray-drying. Possibili contaminazioni da parte di sali inorganici. D'altra parte la bassa viscosità della miscela e la semplicità nell'agitazione agevolano il trasferimento del calore. Inoltre, si può ottenere una concentrazione elevata di polimero nel prodotto finale e si ha un buon controllo sulla morfologia del polimero. Questo processo trova applicazione diretta come lattice in settori come vernici, adesivi e schiume per tappeti, oppure dopo la separazione, come base per la produzione di gomme sintetiche.
IN MASSA ALLO STATO FUSO
Si parte da un monomero ad alta temperatura circa 30-40°C sopra la temperatura di fusione del polimero che si vuole ottenere. Man mano che il prodotto (polimero) si forma, lo devo allontanare in quanto la velocità di polimerizzazione è paragonabile a quella di ritorno. E’ un processo lento a causa della viscosità del fuso ad alto peso molecolare che si forma durante il processo.
Aumentando la temperatura si diminuisce tale viscosità ma si possono innescare delle degradazioni nel materiale. E’ favorita la creazione di catene laterali e quindi di ramificazioni nel polimero. La distribuzione del peso molecolare medio è estremamente ampia. Per innescare la reazione di polimerizzazione si utilizzano dei catalizzatori quali: acetati di calcio e zinco ed ossidi di antimonio e germanio. Con questo tipo di polimerizzazione si ottengono polimeri puri pronti ad essere lavorati. Si utilizzano polimeri ottenuti allo stato fuso per produrre fibre e film sottili.
IN SOLUZIONE
Si utilizza questo tipo di polimerizzazione solo nel caso sia il polimero finale che i monomeri che lo hanno costituito siano solubili in un dato solvente.
In questo caso si lavora a basse temperature, sotto agitazione, si eliminano facilmente i sottoprodotti della reazione e la velocità della reazione stessa è molto elevata. La polimerizzazione è in fase liquida omogenea.
Solitamente sono utilizzate polimerizzazioni in soluzioni o in laboratorio o in impianti pilota vista la quantità, il costo e lo smaltimento del solvente richiesti.
Non si ottengono polimeri puri.
SISTEMI POLIFASICI
Il polimero è prodotto in un liquido ma in fase immiscibile col solvente. L’esempio classico è dato dalla produzione del Nylon 6,6 per polimerizzazione INTERFACCIALE. Mettendo a contatto una soluzione acquosa in esametilendiammina con una soluzione organica di tetracloroetilene in sebacoilcloruro, all’interfaccia tra le due soluzioni si forma il nylon sottoforma di filamento. Questa metodologia viene impiegata anche per ottenere i policarbonati.
IN DISPERSIONE
La polimerizzazione avviene in un solvente nel quale o viene disperso il monomero sottoforma di liquido (si parla di polimerizzazione in EMULSIONE), oppure sottoforma di particelle solide (si parla di polimerizzazione in SOSPENSIONE). Nel primo caso si ottiene un polimero solido sottoforma di particelle con diametro attorno ai 2 μm caratterizzato da bassi pesi molecolari medi e cristallinità percentuale elevata. Nel secondo caso si ottiene un polimero solido sottoforma di particelle con diametro attorno ai 2 mm caratterizzato da alti pesi molecolari mesi e da una stretta distribuzione degli stessi.
IN FASE SOLIDA
E’ la polimerizzazione richiesta per ottenere le resine termoindurenti. Si parte dal cosiddetto PREPOLIMERO (ottenuto con uno dei metodi precedenti), questo
materiale è un oligomero caratterizzato da un basso peso molecolare nel quale viene indotto un aumento della lunghezze delle catene polimeriche oppure un aumento delle reticolazioni attraverso l’utilizzo della temperatura o di iniziatori.
Il centro attivo in questo caso è caratterizzato dalla presenza di una carica ionica (+ o -). Un monomero che polimerizza con uno non è detto lo possa fare anche con l'altro.
La reazione procede se X è capace di donare e - o di delocalizzare la carica (cationica) ovvero se X è capace di sequestrare e - o di delocalizzare la carica (anionica).
La velocità di propagazione ionica in genere è molto di quella radicalica perché [M• ] ion >> [M• ]RL (10^6). Influenza del controione su stereochimica e velocità di propagazione e importanza del solvente (polarità e abilità di solvatare il controione). Infine la terminazione non può avvenire per reazione di 2 centro attivi aventi carica uguale.
1) Fase di INIZIO: si forma un centro chimicamente attivo (ione) mediante una reazione con un iniziatore: acido protonico (No HCl che forma un composto stabile con il polimero) o un acido di Lews.
2) Fase di PROPAGAZIONE: analoga e avviene con meccanismo testa-coda
3) Fase di TERMINAZIONE: si blocca la crescita della catena polimerica:
- riarrangiamento del doppietto elettronico
- trasferimento catena al monomero
--> Cinetica
L’esatto meccanismo della p. cationica dipende da: tipo di iniziatore, struttura del monomero, natura del solvente, solubilità del polimero nel mezzo → reazioni eterogenee.
Tale meccanismo è caratterizzato dall’assenza di una vera e propria fase di terminazione perchè:
il ri-arrangiamento della coppia ionica è energeticamente sfavorito (formazione di idruri)
i controioni (metalli I o II gruppo) NON hanno tendenza a combinarsi con i centri attivi carboanionici.
Le catene continuano a mantenere terminali ATTIVI anche dopo il consumo totale di M → POLIMERI VIVI (living polymers). La reazione termina solamente attraverso trasferimento catene ad altre specie (solvente).
E' in genere per condensazione. I polimeri si formano per reazioni chimiche intermolecolari in fasi successive che di norma interessano più tipi di monomero.
Con la polimerizzazione step-lineare si possono avere sia reazioni di condensazione che di addizione! Le policondensazioni sono reazioni che non hanno bisogno di un inizio, ma i monomeri (che devono contenere almeno due gruppi funzionali) possono unirsi tra loro con espulsione di piccole molecole a basso peso molecolare, in genere acqua, acido cloridrico o metanolo
Nessuna specie reagente ha la formula chimica dell’unità monomerica ripetitiva. I tempi di reazione sono generalmente più elevati rispetto alla polimerizzazione per addizione.
La polimerizzazione avviene se 2 gruppi funzionali mutuamente reattivi collidono. Al crescere della dimensione molecolare avvengono due fenomeni contrastanti:
diminuisce la velocità di diffusione molecolare e quindi aumenta il tempo tra due collisioni, ovvero diminuisce la frequenza di collisione molecolare
aumenta la durata di ogni incontro
Tali fenomeni si compensano e il bilancio netto è che la reattività dei gfmr è indipendente dalla dimensione molecolare e dipende ESCLUSIVAMENTE dalla loro concentrazione. Es: Il nylon 6,6: esso contiene monomeri con due gruppi funzionali identici: due gruppi amminici sull’esametilendiammina e due cloruri acilici sul cloruro dell’acido adipico. In questo caso, vengono espulse molecole di HCl.
La crescita avviene per reazione di due qualsiasi specie molecolari presenti
LINEARE (2 funzionalità)
NON LINEARE (> 2 funzionalità)
*Con la polimerizzazione step-lineare si possono avere sia reazioni di condensazione che di addizione
Teoria di Carothers: Metodo per prevedere la massa molare di polimeri prodotti mediante la polimerizzazione per stadi (step) lineare.
Tutto ciò vale nell’assunzione che la controreazione (depolimerizzazione) sia trascurabile. Il modello si applica a molte reazioni di poliaddizione. Per reazioni di policondensazione invece è necessario rimuovere i sottoprodotti di reazione. La determinazione delle costanti cinetiche k si fa sperimentalmente
La formazione di anelli chiusi altera la distribuzione di M e fa diminuire la Mmax ottenibile. Dal punto di vista tecnologico, nel caso di formazione di anelli chiusi: - si eseguono polimerizzazioni per stadi in bulk (alta concentrazione di monomeri per favorire reazioni bimolecolari rispetto a unimolecolari) per evitare la formazione di anelli - si eseguono processi di polimerizzazione a due stadi.
1.b Polimerizzazione per stadi (step) non lineare
Avviene per reazioni binarie tra gruppi funzionali mutualmente reattivi (gfmr) presenti nel monomero. Almeno un monomero ha funzionalità > 2. Primo stadio: formazione di un polimero ramificato (branched). La massa molare M cresce molto rapidamente. Al procedere della reazione si ha formazione di struttura reticolata.
Punto di gelo: punto in cui un liquido inizia a mostrare proprietà pseudo-elastiche. Punto in cui si forma la prima struttura reticolata.
Gelazione: fenomeno per cui si ha improvvisa variazione delle caratteristiche della miscela reagente da liquido viscoso a gel solido.
Gel: sistema semi-solido composto da una rete solida in cui il liquido è trattenuto.
Cura: sinonimo di reticolazione. Reazione chimica attivata allo scopo di cambiare le proprietà fisiche di un polimero termoindurente in maniera irreversibile.
Teoria di Carothers della gelazione: Metodo per prevedere il punto di gelo
E' applicabile a: Poliesteri e Poliuretani, in questi casi vale il principio dell’equale reattività dei gruppi funzionali.
NON è applicabile a: Resine a base di formaldeide e epossidiche. Il principio dell’equale reattività dei gruppi funzionali non è soddisfatto poiché la reattività di uno specifico gruppo funzionale viene modificata dal fatto che un altro gruppo funzionale nella stessa molecola può reagire al suo posto
POLIADDIZIONE CON ATTACCO ALL'ISOCIANATO O CON APERTURA DELL'ANELLO
hanno caratteristiche intermedie tra le due precedenti e avvengono senza espulsione di piccole molecole, ma danno prodotti (uretani, uree, esteri, ammidi o eteri) che si possono ottenere anche per policondensazione. Nell’isocianato o nella struttura ad anello del monomero, infatti, si è già persa la piccola molecola.
Un esempio di poliaddizione con attacco all’isocianato è la sintesi di un poliuretano tra toluendiisocianato TDI e poli(etilen glicole) PEG.
Catalisi metallocenica
I metalloceni sono composti organometallici che formano legami covalenti con ioni metallici e vengono utilizzati per controllare la direzionalità delle reazioni e produrre polimeri altamente regolari.
I catalizzatori di Ziegler-Natta, introdotti da Natta nel 1957, utilizzavano titanocene e trietilalluminio come co-catalizzatore per la polimerizzazione dell'etilene, ma il processo era troppo lento. Negli anni '70, accidentalmente, è stato scoperto il sistema di catalisi Bis-clorozirconocene/metil alluminossano, che ha risolto il problema della lentezza. Tuttavia, era necessaria una concentrazione di alluminio su zirconio molto elevata, che era costosa e generava residui nel prodotto finale. Questo problema è stato risolto utilizzando composti a base di titanio anziché alluminio. Il polietilene metallocenico (mPE) presenta proprietà superiori rispetto al PE standard, come sinterizzazione, resistenza agli impatti, resistenza alla frattura da stress ambientale, resistenza al creep a lungo termine, migliore finitura superficiale e brillantezza del colore. Questo consente di ridurre lo spessore e i costi dei prodotti stampati, mantenendo le stesse proprietà meccaniche.
Ring-opening polymerization.
Alcuni polimeri possono essere sintetizzati attraverso una polimerizzazione a stadi o a partire dai corrispondenti monomeri con struttura ciclica.
E' un polimero la cui catena è formata dall’avvicendarsi di almeno due tipi di monomeri, per avere prestazioni migliori. Può avvenire per 1. Crescita per stadi (step) o 2. Crescita a catena (chain)
Random o statistico: le differenti unità monomeriche sono casualmente disperse lungo la catena
Alternato: le differenti unità monomeriche si alternano in modo regolare nella catena
A blocchi: monomeri identici sono raggruppati in blocchi lungo la catena (nylon 6,6)
Aggraffati: la catena principale è formata da un monomero mentre le ramificazioni da un altro
Crescita per stadi (step) La distribuzione delle sequenze delle diverse unità ripetitive determina le proprietà finali del materiale ed essa dipende dalle reattività dei gruppi funzionali:
Uguale reattività -> copolimeri random
Diversa reattività -> copolimeri a blocchi: reagisce prima il monomero che ha i gruppi funzionali più reattivi. La lunghezza delle sequenze omopolimeriche dipende dalla differenza di reattività ed aumenta con essa
Crescita a catena (chain) Come avviene per crescita per stadi (step) la reattività dei gruppi funzionali determina la sequenza delle unità ripetitive e il più reattivo reagisce prima. A differenza della crescita per stadi, il modello cinetico (modello cinetico di reazione a terminale) può essere definito con maggiore precisione. Il modello si basa sulle seguenti ipotesi: la reattività di un centro attivo (c.a.) dipende solo dall’unità terminale monomerica su cui si trova, la quantità di M consumato per reazioni diverse dalla propagazione è trascurabile, le molecole di copolimero formato sono ad altoMn
Le molecole di una catena polimerica non sono lineari ma, solitamente, gli atomi che le compongono assumono una conformazione detta a zig-zag.
I legami in una singola catena, sono in grado di ruotare e flettersi nello spazio. I polimeri sono costituiti da un gran numero di catene molecolari, ciascuna delle quali può inclinarsi, arrotolarsi a spirale ed aggrovigliarsi. Questo porta ad un notevole intrecciamento delle molecole delle catene adiacenti.
Le caratteristiche fisiche dipendono non solo dalla particolare forma delle catene che lo compongono o dal particolare peso molecolare, ma anche dalla configurazione che assumono le catene molecolari stesse.
1) Catena lineare: formati da una successione ordinata di unità monomeriche che però possono assumere diverse conformazioni e quindi la catena si può disporre in modo rettilineo o può ripiegarsi più volte su sé stessa. Tra le catene dei polimeri lineari agiscono forze di Van der Waals. Es.: PE, PVC, PS, PMMA, Nylon e fluoropolimeri.
Questo influenza il modo in cui le catene possono impaccarsi: le catene aggrovigliate producono una situazione del tutto disordinata e il polimero viene detto amorfo, le catene rettilinee producono un impaccamento ordinato con le catene disposte parallelamente ed il polimero viene detto cristallino. Un polimero altamente cristallino ha le catene impaccate con maggiore efficienza, quindi ha una densità maggiore e sarà più rigido e resistente al calore
2) Catena ramificata: Sono polimeri nei quali dalla catena principale si dipartono ramificazioni laterali che si creano durante la sintesi del polimero stesso. La presenza delle ramificazioni riduce la capacità di impacchettamento fra catene per cui diminuisce la densità del polimero e ne peggiorano le proprietà meccaniche e di resistenza al calore.
Ramificata
A stella
A pettine
Dentrimeri
3) Catena reticolata o a legami incrociati: Sono polimeri nei quali catene lineari adiacenti sono unite l’una all’altra in vari punti attraverso legami covalenti. Lo sviluppo di legami incrociati è ottenuto durante la sintesi, sia come reazione chimica non reversibile sia attraverso effetto termico ad alte temperature. I ponti tra le catene possono essere realizzati dagli stessi componenti del polimero, come nella resina epossidica o a fenolo formaldeide, oppure da appositi agenti induritori come la dietilentriammina nelle resine epossidiche o infine possono essere costituiti da atomi diversi dal C come lo S (vulcanizzazione)
La maggior parte dei polimeri, naturalmente, si trova in situazioni intermedie tra i due estremi e presenta zone disordinate intervallate da altre più ordinate, cristalline, che vengono chiamate cristalliti.
Le molecole simmetriche come l’etilene hanno solo un modo per combinarsi, mentre monomeri non simmetrici si possono disporre in diversi modi per generare polimeri con proprietà diverse.
CONFORMAZIONE
Le diverse conformazioni in una catena polimerica si verificano attraverso rotazioni intorno al singolo legame in diverse sezioni. Tuttavia, legami doppi o tripli non possono subire queste rotazioni senza rompersi. Le proprietà principali influenzate da queste conformazioni sono la viscosità, la diffusione della luce e le proprietà meccaniche del polimero. Durante la propagazione nella polimerizzazione a catena, la disposizione della molecola di polimero dipende dalla rotazione del gruppo di atomi che contiene il centro attivo. Questo può risultare in una conformazione "zig-zag" lineare che non tiene conto delle interazioni steriche dei gruppi laterali, oppure in una conformazione ritorta dove l'angolo di legame è influenzato dall'interazione con i gruppi laterali.
ISOMERIA DI POSIZIONE
Per i polimeri che presentano più di un atomo o gruppi di atomi legati lateralmente alla catena principale, la regolarità e la simmetria della configurazione del gruppo laterale possono influenzare significativamente le proprietà del polimero stesso.
Sono possibili due configurazioni (concatenazione):
TESTA-CODA: prevede il succedersi di unità monomeriche con il gruppo laterale R nello stesso ordine.
TESTA-TESTA e CODA-CODA: i gruppi R si legano ad atomi adiacenti
ISOMERIA GEOMETRICA
Nel caso di unità monomeriche che presentano doppi legami tra gli atomi di C della catena, sono possibili altre importanti configurazioni definite isomeri. Infatti, legato a ciascun atomo di C, formante il doppio legame, vi può essere un singolo atomo o un radicale, i quali possono essere situati da un lato o dall’altro della catena. Nel caso del poliisoprene, ad esempio, si possono ottenere due isomeri geometrici, il primo amorfo, soft, il secondo più simmetrico, cristallizza e hard.
Configurazione o stereoisomeria: Quando si formano carboni asimmetrici questi in generale assumono configurazioni casuali e cosi si formano polimeri atattici (privi di tassia o regolarità sterica).
Isotattico: Quando tutti i gruppi -R sono posizionati dalla stessa parte della catena in modo regolare. Tipicamente cristallino (mai cristallino al 100%).
Sindotattico: i gruppi –R si alternano sui lati della catena in modo regolare. Tipicamente cristallino
Atattico: Per un posizionamento casuale dei gruppi –R. Tipicamente amorfo (anche totalmente amorfo)
Come già visto in precedenza il primo ad ottenere un polimero isotattico (stereoregolare) è stato Giulio Natta che, nel 1954, ha sintetizzato il polipropilene isotattico (cioè con tutti i centri chirali della stessa configurazione) con una reazione di poliaddizione anionica coordinata usando un catalizzatore innovativo detto di Ziegler-Natta. Le ottime proprietà meccaniche del polipropilene isotattico nascono dal fatto che le sue catene tendono ad avvolgersi ad elica e si possono impaccare strettamente solo se la struttura elicoidale è regolare e rettilinea. Questo accade anche con le proteine (che sono formate da L-amminoacidi): la presenza anche di un solo amminoacido R interrompe la regolarità dell’alfa-elica.
Tassia da doppio legame: una catena con tanti legami si possono spostare attraverso la risonanza.
Catene corte: Danno processi di fusione/cristallizzazione più rapidi e fluiscono più rapidamente; abbassano la rigidezza del polimero e riducono la viscosità (miglior lavorabilità)
Catene lunghe: Danno processi di fusione/cristallizzazione più lenti e fluiscono più lentamente: aumentano la rigidezza del polimero e accrescono la viscosità (peggior lavorabilità). Il valore massa molare pari a 10^7 rappresenta un limite tecnologico oltre il quale un polimero non può essere lavorato a causa dell’aumento di viscosità del fuso.
Durante il processo di polimerizzazione, nel quale vengono sintetizzate le macromolecole, non è detto che tutte raggiungano la stessa lunghezza. Quello che si ottiene è una distribuzione delle lunghezze delle catene stesse e quindi dei rispettivi pesi molecolari. Quello che si misura, attraverso alcune proprietà fisiche, è un peso molecolare medio. La massa molare può essere calcolata tramite la viscosità di una soluzione polimerica: le molecole più grandi rendono la soluzione più viscosa di quanto facciano le molecole più piccole
PESO MOLECOLARE MEDIO NUMERICO Mn, che si calcola dividendo il numero di catene polimeriche in una serie di intervalli e determinando la percentuale di quelle aventi la stessa lunghezza.
Mn = ∑ Ni*Mi / ∑ Ni
Mi = peso molecolare medio nell’intervallo dimensionale
Ni = numero di catene aventi uguale lunghezza
PESO MOLECOLARE MEDIO PONDERALE Mw, che si basa sulla frazione in peso delle molecole all’interno dei diversi intervalli di peso.
Mw= ∑ Ni*Mi^2/ ∑ Ni*Mi
Mi = peso molecolare medio nell’intervallo dimensionale
Ni = numero di catene aventi uguale lunghezza
Mn è dato dal rapporto tra la sommatoria, estesa a tutte le specie presenti nel sistema, del peso di ogni singola specie, diviso il numero totale di specie presenti nel sistema.
Mw è dato dalla sommatoria, estesa a tutte le specie presenti nel sistema, delle frazioni ponderali di ogni specie moltiplicato per i rispettivi pesi molecolari.
Rapporto di polidispersità: È una misura dell’eterogeneità della distribuzione di massa molare: più la curva di distribuzione è larga, maggiore è l’indice di polidispersione del polimero, maggiore sarà la sua eterogeneità. La polidispersione è dovuta alla casualità del processo di formazione delle macromolecole. Una distribuzione stretta facilita la fusione/cristallizzazione e rende più “omogenea” la viscosità. Una distribuzione larga rendere il polimero più adatto a processi di lavorazione come l’estrusione, la termoformatura o la formatura a iniezione (injection molding). I= Mw / Mn
Grado di polimerizzazione(n): rappresenta il numero medio di unità monomeriche appartenenti ad una catena. Si può calcolare sia una media aritmetica (nn) che una pesata (nw).
nn = Mn / m ; nw = Mw / m
Dove m è il peso molecolare del monomero che ha generato il polimero. NON ESISTE un polimero sintetico nel quale tutte le catene abbiano lo stesso peso molecolare. Quando si parla di polimeri, vengono presi in considerazione i Pesi Molecolari Medi (per esempio per il polietilene è compreso tra 3500 e 25000 e ha una massa molecolare media di 100000 a 700000 g/mol).
Oligopolimeri 2 <x<10
Bassi polimeri 10 <x<100
Medi polimeri 100 <x<1000
Alti polimeri x>1000
Massa molare media numerica Mn
Massa molare media ponderale Mw
Massa molare media ponderale (III ordine) Mz
Distribuzione di massa molare
Nessuna delle diverse medie, presa singolarmente, è sufficiente a descrivere bene il polimero. Si usa quindi la distribuzione del peso molecolare. Ciò è dovuto al fatto che non sempre le distribuzioni hanno forma Gaussiana (per le quali quindi basterebbe conoscere la media).
Distribuzione dei pesi molecolari in un polimero tipico
La polimerizzazione avviene se 2 gruppi funzionali collidono. Al crescere delle dimensioni la velocità di diffusione diminuisce e quindi aumenta il tempo tra due collisioni. Inoltre aumenta la durata tra ogni incontro perché sono più lente. Le due cose vanno a contrastarsi pertanto la reattività non varierà, va a dipendere solo dalla composizione dei due gruppi.
Per prevedere la massa molecolare MM si usa la teoria di Carothers. Possiamo avere vari casi di reazioni: RA2+RB2, ARB, RA2. La prima di questi ha il problema di dover inserire la stechiometria corretta dei due monomeri.
N0: numero molecole a tempo zero del monomero
N: numero molecole monomero rimanenti
Xn= N0/N ( se pari a 1 la polimerizzazione non avviene, se infinito è completa)
Ipotizzando la stechiometria garantita, dopo un certo t, definisco l'avanzamento della reazione: p= N0-N/N0 --> sostituisco e Xn=...= 1/1-p
Si avranno buone proprietà e buona polimerizzazione per p>0.99
Se RA2+RB2; r= NA/NB
No= NA+NB/2 = NB (1+r)/2 ( come esempio sono presenti due monomeri)
...
CINETICA: descritta in precedenza
Si deve pensare alla cristallinità dei polimeri come ad un impacchettamento delle catene molecolari al fine di produrre una struttura atomica ordinata (celle unitarie).
Le molecole dei polimeri a seguito delle loro dimensioni e complessità, sono solitamente solo parzialmente cristalline, presentando regioni cristalline disperse all’interno di regioni amorfe.
Ogni disallineamento o disordine nella catena dà luogo a regioni amorfe.
La struttura molecolare influenza l’ordine cristallografico: - conformazione - isomeria - tipo di gruppo laterale, ingombro sterico e tatticità. - copolimeri - ramificazioni (skeletal structure)
Cristallizzazione da fuso e per precipitazione da soluzione:da qui in avanti consideriamo solo la prima!
La cristallizzazione di un polimero fuso avviene attraverso processi di nucleazione e crescita. Dopo la fase di formazione dei nuclei e durante la fase di cristallizzazione, i nuclei crescono allineandosi gli uni agli altri. Durante la transizione di fase L → S, le catene vengono incorporate in più cristalli (chain entanglement). Esistono diversi modelli (ancora in fase di studio) per descrivere la disposizione spaziale delle catene molecolari nei polimeri semicristallini.
IL GRADO DI CRISTALLINITA’ di un polimero può variare da zero (amorfo) a circa 95% ( quasi cristallino). Tecniche con cui misurare la cristallinità sono colonna a gradiente di densità, WAXS, DSC, spettroscopia IR, NMR
A parità di peso molecolare, la densità di un polimero semicristallino è maggiore di quella dello stesso polimero totalmente amorfo
La cristallinità aumenta lunghi tempi di raffreddamento (sottoraffreddamento)
Pressione: l’aumento di pressione favorisce la cristallinità
Massa molare: solo quando la lunghezza catena è paragonabile allo spessore della lamella.
Le ramificazioni diminuiscono la cristallinità e i polimeri reticolati sono quasi totalmente amorfi
Polimeri atattici cristallizzano difficilmente
Polimeri isotattici e sindiotattici mostrano alte percentuali di cristallinità
Per i copolimeri, maggiore è l’irregolarità con cui si dispongono i monomeri nella catena, maggiore è la tendenza alla non cristallinità
Sono caratterizzati sia da una T di transizione vetrosa che da una T di fusione
Maggiore è la % di cristallinità, maggiore sarà la T di fusione
Come già accennato esistono diversi modelli per descrivere la disposizione spaziale delle catene molecolari nei polimeri semicristallini:
1) MODELLO A MICELLE FRANGIATE
Si ipotizza che esso sia formato da piccole regioni cristalline (dette cristalli o micelle) aventi un preciso ordine, disperse all’interno di una matrice amorfa composta da molecole orientate in modo casuale. Una singola catena potrebbe attraversare sia diversi cristalli che diverse regioni amorfe.
2) MODELLO LAMELLARE
I cristalli presenti nel polimero presentano forma regolare simile a placche o lamelle di spessore attorno ai 10-20 nm e lunghe circa 10 μm. Queste lamelle formano strutture multistrato in cui si ipotizza che le catene molecolari, all’interno di ciascuna lamella, si ripieghino su se stesse. Ciascuna lamella è formata da un certo numero di molecole e la lunghezza media di ciascuna catena è molto più grande dello spessore della lamella stessa.
3) MODELLO A SFERULITI
Per la maggior parte dei polimeri. Ogni sferulita cresce con forma approssimativamente sferica ed è costituito da aggregati cristallini (LAMELLE) a forma di nastro a catene ripiegate che si irradiano dal centro verso l’esterno. Crescono da un punto centrale.
I difetti nei cristalli possono essere suddivisi in diverse categorie:
Difetti Puntuali:
Estremità di Catena: Si verificano quando una catena polimerica termina bruscamente anziché continuare in modo regolare.
Rami Corti: Sono rami più corti rispetto a quelli previsti nella struttura cristallina, che possono alterare la regolarità della disposizione molecolare.
Pieghe: Sono deformità o pieghe nella struttura cristallina causate da variazioni locali nelle condizioni di cristallizzazione.
Copolimeri: Se il cristallo contiene due o più tipi di unità monomeriche, si possono verificare difetti a livello atomico.
Regioni Non Cristalline: Parti del cristallo che non seguono una struttura cristallina ben definita.
Difetti di Linea:
Dislocazioni: Sono difetti lineari causati da irregolarità nella disposizione degli atomi lungo una linea all'interno del cristallo.
Difetti di Superficie:
Bordo di Sferulite: Le sferuliti sono regioni di una struttura cristallina amorfa all'interno di un cristallo. I bordi di sferulite sono le zone di transizione tra queste regioni amorfe e la struttura cristallina ordinata.
La cristallizzazione avviene in due fasi distintive: nucleazione e crescita.
Nucleazione: Durante questa fase, l'elevato sottoraffreddamento porta alla formazione di numerosi nuclei e di piccole sferuliti. Al contrario, bassi sottoraffreddamenti producono un minor numero di nuclei, ma con sferuliti di dimensioni maggiori.
Crescita: Rispetto alla fase di nucleazione, la crescita richiede una minor quantità di energia di attivazione. Ciò significa che viene creato meno spazio superficiale rispetto all'incremento di volume del cristallo.
Questo processo di crescita avviene in due passaggi distinti. Inizialmente, un gruppo di catene si deposita su una superficie cristallina liscia. Successivamente, ulteriori segmenti vengono aggiunti attraverso un processo di ripiegamento della catena. Questo meccanismo guida il cristallo verso la sua struttura finale, contribuendo a definirne le caratteristiche e le proprietà.
Meccanismi molecolari di cristallizzazione
Polimeri termoplastici - Fusione
Ha delle caratteristiche diverse rispetto a cristalli a basso peso molecolare: a) Non è possibile definire un singolo punto di fusione ma si parla di range di temperature di fusione; b) Il comportamento a fusione dipende dalla storia termica del materiale ed in particolare dalla T di cristallizzazione; c) Il comportamento a fusione dipende dalla velocità di riscaldamento. Estrapolazione di 𝑻𝒎 𝟎 : • Sperimentalmente si trova: Tm > Tc . • Ovviamente il limite è dato da Tm = Tc . Retta che corrisponde ad un riscaldamento infinitamente lento.
Fattori che aumentano Tm : • Un aumento dello spessore delle lamelle; • Massa molare: effetto limitato • Rigidezza della catena polimerica (struttura molecolare) • Rigidezza data da gruppi laterali (struttura molecolare) • Presenza di gruppi polari (legami H tra molecole nel cristallo)
Fattori che diminuiscono Tm : • Ramificazioni laterali: introducono difetti nei cristalli. • Copolimerizzazione.
Copolimeri
Alternati e random: • Tipicamente sono amorfi. • All’aumentare di unità B in A, diminuisce la regolarità strutturale e diminuisce Tm;
A blocchi e graft: • Solitamente un’unità (A o B) è capace di cristallizzare e l’altra rimane amorfa. • Tm della frazione cristallina non decresce molto rispetto a quella del rispettivo omopolimero. → In entrambi i casi si ha 1 sola Tm!
Sono solitamente materiali altamente omogenei (isotropi)
La configurazione adottata dalle macromolecole è quella definita a RANDOM COIL o GOMITOLO STATISTICO (teoria di Flory). In cui le molecole si aggrovigliano fra loro in modo casuale e disordinato
La T che caratterizza questi polimeri è quella di TRANSIZIONE VETROSA, che segna il passaggio da un comportamento fragile e rigido ad uno elastomerico e gommoso..
→ PET e PP possono sembrare apparentemente amorfi se raffreddati molto velocemente (quenching): in questo caso si formano cristalli molto piccoli!
Si definisce la temperatura di transizione vetrosa Tg la temperatura sotto la quale non sono permessi moti relativi tra le catene
Alla temperatura di transizione vetrosa, le regioni amorfe passano da uno stato rigido a uno stato più flessibile, il che rende la temperatura il confine tra lo stato solido e lo stato gommoso.
La Tg è una proprietà sia dei polimeri amorfi sia della porzione amorfa di un polimero semicristallino. Per i semicristallini, la variazione delle proprietà è meno marcata. Quando la temperatura ambiente è inferiore alla Tg , le catene molecolari dei materiali amorfi sono congelate e si comportano come un vetro solido.
I materiali plastici con struttura molecolare flessibile mostrano una Tg più bassa, mentre i materiali plastici la cui struttura molecolare è rigida mostrano una Tg più alta.
A bassa T il volume libero (volume vuoto tra le catene polimeriche) si riduce (Nei liquidi il volume libero è alto e le molecole possono muoversi, una riduzione di temperatura ridurrà l’energia a disposizione per il moto)
Sotto la Tg il volume libero si riduce ad un valore critico per cui le catene sono bloccate
Sotto la Tg sono possibili solo le vibrazioni molecolari
La Tg è forse il parametro più importante che bisogna conoscere prima di poter decidere un’applicazione per un polimero non cristallino Eisenberg, «Physycal properties of polymers», Am.Chem.Soc. 1984
Fattori che influenzano Tg
Rigidezza della catena
Gruppi laterali
Effetto delle interazioni tra catene
Configurazione
Ramificazioni (branches)
→ In linea di massima, gli stessi fattori che influenzano Tg hanno lo stesso effetto su Tm e tali parametri non possono essere modificati in maniera indipendente! Si può quindi trovare una correlazione sperimentale tra le due per polimeri caratterizzati da entrambe le transizioni.
Struttura cross-linked, Termoindurenti: macromolecole reticolate in modo irreversibile (legami covalente) con struttura pressoché amorfa ed elevata densità di reticolazione. Il materiale finale è rigido e non si ammorbidisce all’aumento della temperatura
Densità di reticolazione
La reticolazione in un polimero ha l'effetto di aumentare la Tg. La reticolazione tende a ridurre il volume specifico del polimero, il che significa che il volume libero si riduce e quindi la Tg aumenta perché il movimento molecolare è reso più difficile. Se la densità dei legami è elevata il range di temperatura nel quale avviene la transizione si allarga → potrebbe non esserci, oppure non essere rilevabile (T troppo elevate)
Requisiti strutturali per avere proprietà elastomeriche: 1. Il polimero deve essere sopra la sua Tg ; 2. Il polimero deve avere un basso grado di cristallinità (xc → 0); 3. Il polimero deve avere una bassa densità di reticolazione.
Elastomeri reticolati: macromolecole reticolate in modo irreversibile (legami covalenti) con struttura prevalentemente amorfa e densità di reticolazione tipicamente bassa (bassa durezza). Non è possibile un rammollimento.
Elastomeri termoplastici: macromolecole in cui i «crosslink» sono di natura fisica e non chimica → si possono riportare in stato fluido con aumento di temperatura. Poliuretani HARD = diisocianato reagito con poliolo → tendono ad aggregarsi, a cristallizzare e a formare legami H SOFT = poliolo prepolimero → sopra Tg. Terpolimeri tipo ABA (es. polistirene – polidiene – polistirene) Non essendoci compatibilità a livello molecolare tra A e B, si formano domini ricchi di A (polistirene – HARD, sopra Tg ) in una matrice di B (polidiene – SOFT, sotto Tg ).
PLASTICHE
ELASTOMERI
FIBRE
RIVESTIMENTI
ADESIVI
SCHIUME
PELLICOLE
Isolanti elettrici e termici: per fili e prese elettriche devono essere resistenti agli urti, al calore e non si devono alterare nel tempo. I polimeri sono anche buoni isolanti termici. Il polistirene espanso e il poliuretano espanso, che includono minuscole bolle di gas, hanno sia un ottimo potere isolante che una eccezionale leggerezza.
Conduttori elettrici in modo simile alla grafite nella quale gli elettroni si possono muovere lungo i piani del materiale sfruttando i doppi legami coniugati degli anelli aromatici. Il più semplice dei polimeri conduttori è il poliacetilene formato da catene lineari con doppi legami coniugati, cioè intervallati da legami singoli. Altri polimeri conduttori sono il polipirrolo, il politiofene e la polianilina. Questi polimeri sono dei semiconduttori perché hanno un piccolo gap tra la banda di orbitali pigreco di legame e quella di antilegame o di conduzione. La loro conducibilità elettrica aumenta molto se vengono ossidati perché così si formano bipolaroni, coppie di cariche positive isolate negli orbitali pigreco che formano una banda di orbitali vuoti tra le bande di legame e di conduzione. Le cariche positive nel polimero conduttore ossidato devono essere compensate da altrettanti anioni che restano intrappolati tra le catene.
Conduttori ionici: consentono il passaggio di ioni al loro interno. Un esempio è il poli(etilene ossido) PEO che si ottiene dalla polimerizzazione dell’ossido di etilene (un epossido).
La catena del PEO si avvolge a spirale e così crea un canale con gli atomi di ossigeno affacciati all’interno che ha le dimensioni esatte per il trasporto di ioni Li+ . Se nel polimero viene sciolto un sale di litio con un anione di grandi dimensioni (come LiClO4), i grandi anioni restano intrappolati tra le maglie del polimero e solo i cationi Li+ sono mobili. La conducibilità ionica si realizza solo al di sopra della temperatura di transizione vetrosa Tg (-10 °C) perchè è necessario che la componente amorfa del polimero sia fusa, e quindi mobile, per consentire agli ioni di passare da una catena alla successiva. Il PEO è usato nella batterie ai litio polimeri.
Conduttori ionici polielettroliti: non hanno un sale sciolto al loro interno, ma hanno cariche ioniche legate covalentemente al polimero. Il nafion è il più importante e più usato polielettrolita. Si tratta di Teflon modificato, cioè politetrafluoroetilene nel quale sono state introdotte ramificazioni che terminano con un gruppo solfonico (acido forte). Nel polimero si formano così dei canali polari di gruppi solfonici, che includono acqua, nei quali gli ioni H+ possono muoversi. Il nafion è usato per le membrane permeabili agli H+ delle celle a combustibile o per le membrane permeabile agli ioni Na+ delle celle cloro soda per la produzione di Cl2, NaOH e H2.
CENNI PROPRIETA' MECCANICHE
I fattori che influenzano le proprietà sono:
la composizione chimica del materiale
il peso molecolare medio e la distribuzione dei pesi molecolari
la presenza di reticolazioni e ramificazioni
la cristallinità
la copolimerizzazione
A = comportamento FRAGILE, si arriva a rottura restando in campo elastico (termoindurenti).
B = comportamento PLASTICO, inizialmente si ha una deformazione elastica seguita da snervamento (punto di massimo) e successivamente si passa ad una regione a comportamento plastico (termoplastici)
C = Comportamento ELASTICO, sono possibili grandi e recuperabili deformazioni sottoponendo il materiale a piccoli carichi (elastomeri)
TERMOPLASTICI: Le caratteristiche meccaniche dei polimeri sono molto sensibili alle variazioni di T:
Influenza della temperatura sulla curva sforzo-deformazione per il PMMA.
L’aumento della temperatura determina una diminuzione del modulo elastico, una riduzione del carico di rottura ed un aumento di duttilità (a 4°C il materiale è completamente fragile, mentre da 50°C presenta una considerevole deformazione plastica).
MECCANISMO DI DEFORMAZIONE ELASTICA: Il meccanismo per il quale nei polimeri semicristallini sollecitati a sforzi di trazione si determina la deformazione elastica è l’allungamento nella direzione dello sforzo applicato, in seguito all’allungamento ed al tensionamento dei forti legami covalenti. Prima fase della trazione.
MECCANISMO DI DEFORMAZIONE PLASTICA: Nei polimeri semicristallini, una sufficiente deformazione genera una struttura altamente orientata:
Due lamelle a catene ripiegate, adiacenti a materiale amorfo interlaminare, prima della deformazione.
Durante il primo stadio della deformazione, le catene molecolari della regione amorfa scivolano l’una sull’altra e si allineano nella direzione della sollecitazione.
La continua deformazione porta alla rotazione delle lamelle in modo tale che le catene tendano ad allinearsi con l’asse di rotazione.
I blocchi cristallini si separano dalle lamelle e rimangono attaccati l’un l’altro mediante le catene della regione amorfa.
Infine i blocchi cristallini e la regione amorfa si trovano allineate con la direzione dello sforzo (aumenta la dimensione).
Al crescere della T, aumenta la duttilità del polimero e diminuisce il modulo a trazione
Al diminuire della velocità di deformazione, diminuisce il modulo a trazione e aumenta la duttilità
Al crescere della resistenza alla deformazione, aumenta il modulo a trazione perché aumenta il grado di aggrovigliamento delle catene polimeriche
Al crescere del peso molecolare medio, aumenta la resistenza a trazione
Al crescere del grado di cristallinità, aumentano il modulo a trazione e la resistenza del materiale che appare più duro ma più fragile.
In genere a livello ingegneristico si usano plastiche ad alto peso molecolare, >10000 unità di peso atomico.
Un polimero amorfo si può comportare a basse T (comunque sotto la T di transizione vetrosa) come un vetro, mentre al di sopra della Tg come un solido gommoso sino ad acquisire caratteristiche di liquido viscoso ad alte temperature.
Per basse deformazioni, il comportamento meccanico è elastico e seguire la legge di Hooke: σ = Eε con σ stress (o sforzo), E modulo di Young e ε deformazione
Per deformazioni elevate (ed alte T), prevale un comportamento viscoso (simile a quello di un liquido)
A temperature intermedie il materiale appare come un solido gommoso che presenta caratteristiche meccaniche intermedie ovvero si è in CONDIZIONE DI VISCOELASTICITA’.
Creep
Modelli per descrivere il comportamento visco elastico Maxwel che è una molla con un ammortizzatore. Il modello SLS è il più veritiero. E0 e n sono tabellati e tipici dei materiali
Sotto la categoria PLASTICHE rientra la maggior parte dei materiali polimerici: PE, PP, PVC, PS, polimeri fluorurati e resine epossidiche. Questi materiali mostrano una vasta gamma di proprietà, possono avere diversi gradi di cristallinità, possedere vari tipi di strutture e configurazioni molecolari e venire impiegati nei più svariati settori.
TECNICHE DI FORMATURA
Il metodo utilizzato per lavorare le plastiche dipende da:
tipo di materiale (termoplastico o termoindurente)
dalla temperatura di rammollimento (per polimeri termoplastici)
dalla stabilità del polimero agli agenti atmosferici durante la lavorazione
dalla geometria e dalle dimensioni del manufatto finito.
La lavorazione delle plastiche avviene sempre a T elevate (sopra la Tf per i semicristallini e molto sopra la Tg per gli amorfi) e con l’applicazione di una pressione. Durante la fase di raffreddamento, il pezzo viene mantenuto sotto pressione perché mantenga la forma desiderata (evito il ritiro del materiale). I polimeri termoplastici possono venire lavorati più volte ed i pezzi di scarto possono essere riciclati.
STAMPAGGIO PER COMPRESSIONE
Tra il maschio e la femmina di uno stampo, si posiziona l’opportuna quantità di polimero fuso. Entrambe le parti dello stampo sono riscaldate ma solo una di esse è mobile. Si chiude lo stampo e si applica una dovuta pressione in modo che il fuso aderisca alle pareti interne dello stampo.
In questo modo possono venire lavorati polimeri termoplastici e termoindurenti. E’ un processo discontinuo.
STAMPAGGIO PER ESTRUSIONE
Una vite senza fine spinge attraverso una camera il materiale granulare che viene successivamente compattato e fuso in modo da garantire una carica continua di fluido viscoso. Il fuso viene poi fatto passare attraverso un orifizio e getti di aria fredda o di acqua raffreddano il materiale. In questa modalità possono venir lavorati solo polimeri termoplastici.
STAMPAGGIO AD INIEZIONE
Un estrusore porta il materiale fuso sottoforma di liquido viscoso sino ad una camera dove sono presenti le due parti dello stampo. E’ un metodo che permette la produzione di oggetti di varia forma e dimensione a partire da materiali termoplastici.
-->Injection moulding
-->injection blow moulding (per bottiglie di plastica). E' presente lo stampo e nella plastica viene iniettata aria che allarga la plastica (altissime velocità ed economico)
STAMPA 3D: Più recente e permette di realizzare forme più complesse.
Sono in grado di subire deformazioni rilevanti sotto l’azione di sforzi relativamente piccoli. Possono recuperare rapidamente la forma e le dimensioni originali non appena lo sforzo applicato viene rimosso. Per esibire un’elevata elasticità è necessario che:
lo scorrimento dei segmenti delle catene polimeriche sia impedito
non venga limitata la possibilità alle catene di assumere una conformazione a gomitolo statistico
Caratteristiche
sono polimeri costituiti da lunghe catene
le catene hanno conformazione a gomitolo statistico
tra le macromolecole agiscono basse forze di coesione in modo che tratti di catena siano in grado di muoversi liberamente (ovvero si sia sopra la Tg)
le Tg sono solitamente molto basse: tra i -50°C ed i -90°C
esistono punti di reticolazione tra le molecole in modo da impedire lo scorrimento viscoso
Vulcanizzazione(Goodyear, 1839): Vulcanizzazione della gomma naturale tramite aggiunta di zolfo: 140-180°C, 0,5-3% S La gomma naturale ha una scarsa reticolazione, ha un comportamento simile a quello dei polimeri termoplastici. All’aumentare del contenuto di zolfo: Aumento della resistenza meccanica, diminuzione della duttilità. Con alte percentuali di zolfo (20-30%) il materiale è duro e fragile (tipo bachelite)
TIPI DI ELASTOMERI
La gomma naturale è largamente utilizzata perché presenta la combinazione ottimale di proprietà difficilmente raggiungibili per via sintetica. L’elastomero sintetico più importante è la gomma stirene-butadiene (SBR). Esistono anche le gomme SILICONICHE in cui nella catena di base gli atomi di carbonio sono sostituiti da atomi di silicio ed ossigeno. I siliconi mostrano alti gradi di flessibilità a basse temperature (anche a -90°C) e sono stabili anche fino a 250°C.
FIBRE: Hanno la proprietà di essere filati in lunghi filamenti caratterizzati da un rapporto lunghezza/diametro di almeno 100/1. Le fibre polimeriche vengono impiegate per la produzione di stoffe o tessuti. Le fibre hanno elevata resistenza a trazione in un ampio intervallo di temperature, elevati modulo di elasticità e resistenza all’abrasione ed elevato peso molecolare. Inoltre mostrano stabilità chimica in una gamma estesa di ambienti ed alla luce solare, sono facili ad asciugarsi e non infiammabili.
FILATURA A FUSIONE: La filatura a fusione è il metodo più utilizzato per la produzione di fibre polimeriche. Il polimero viene scaldato sino all’ottenimento di un liquido relativamente viscoso che viene spinto nella FILIERA ovvero un disco caratterizzato da una serie di fori. Il materiale passa attraverso i fori dando altrettante fibre che solidificano immediatamente all’aria. Durante il processo di STIRO (ovvero durante l’allungamento delle fibre stesse), le catene polimeriche si orientano nella direzione della sollecitazione a trazione.
ADESIVI: Sono utilizzati per “unire” le superfici di due materiali solidi (detti aderenti) in modo da creare una giunzione ad elevata resistenza al taglio. Gli adesivi polimerici possono essere utilizzati per giuntare una grande varietà di materiali: metallo-metallo, metallo-plastica, metallo-ceramica... La principale limitazione è data dalla T di utilizzo.
SCHIUME: Attraverso il processo di schiumatura sono prodotti materiali plastici porosi sia termoplastici che termoindurenti. La schiumatura avviene grazie all’introduzione di un agente rigonfiante che, col riscaldamento, si decompone liberando gas. Sono usate schiume per produrre imbottiture delle auto, negli imballaggi e lastre isolanti. Esempi di schiume polimeriche sono quelle poliuretaniche e quelle polistireniche.
PELLICOLE: Sono materiali lavorati con spessori tra 0.025 e 0.125 mm e vengono utilizzati nel settore degli imballaggi e del packaging. I film devono avere bassa densità, alto grado di flessibilità, resistenza a trazione ed allo strappo, resistenza al vapore ed agli agenti chimici, bassa permeabilità ai gas. Per produrre i film si utilizza la FILMATURA IN BOLLA.
Le plastiche sono materiali costituiti da macromolecole polimeriche miscelati con additivi e/o cariche. Per modificare le proprietà di un polimero:
miscelazione di due o più polimeri → blend
miscelazione di polimero con additivi e/o cariche --> influenza la qualità del prodotto
Il processo di miscelazione dei polimeri si realizza distribuendo o disperdendo un componente secondario o minore all'interno di un componente principale che funge da matrice. Il componente principale può essere considerato come la fase continua e i componenti secondari come fasi distribuite o disperse sotto forma di gocce, filamenti o agglomerati.
Quando si crea una miscela di polimeri (blend), bisogna sempre tenere presente che la miscela verrà probabilmente rifusa nei successivi processi di formatura: un sistema raffreddato rapidamente come miscela omogenea può separarsi a causa della coalescenza quando viene riscaldato nuovamente. Per evitare questo problema, vengono aggiunti dei compatibilizzanti, macromolecole utilizzate per garantire la compatibilità tra le due fasi.
È determinato da tre meccanismi:
1. Distribuzione: Un pellet della fase secondaria viene trascinato fino a fusione, si formano dei nastri di fase secondaria distribuiti nella matrice
2. Dispersione: A causa della tensione superficiale i nastri sono instabili, si forano e si formano dei fili.
3. Coalescenza: I fili si allungano e a causa delle forze di taglio e si rompono fino a diventare piccole sfere. Si possono creare tre categorie generali di miscele: monofase di polimeri compatibili, monofase di polimeri parzialmente compatibili e multifase di polimeri incompatibili.
Miscelazione distributiva o laminare
Tra miscele monofase di polimeri compatibili la distribuzione delle fasi secondarie sotto forma di gocce nella matrice. Vengono applicati grandi sforzi in modo tale che: aumenti area interfacciale tra le fasi, diminuiscano le dimensioni locali delle fasi secondarie (o lo spessore delle striature - striation thickness)
Man mano che il cilindro interno ruota, il componente secondario si distribuisce nel sistema con uno spessore di striatura in costante diminuzione; lo spessore della striatura dipende dalla velocità di deformazione.
Risultato finale: la massa fusa è distribuita in modo omogeneo all'interno della regione contenuta dalle linee di flusso.
Effetto dell’orientazione: L'imposizione di grandi sforzi al sistema non è sempre sufficiente per ottenere una miscela omogenea giocano un ruolo significativo nella qualità della miscela: Il tipo di dispositivo di miscelazione, l'orientamento iniziale e la posizione dei due o più componenti del fluido.
Nel caso precedente la massa fusa è distribuita in modo omogeneo all'interno della regione contenuta dalle linee di flusso. In questo caso, la fase secondaria taglia tutte le linee di flusso, il che porta a una miscela omogenea in tutto il dispositivo di Couette, in condizioni appropriate.
Miscelazione dispersiva: La miscelazione dispersiva comporta la dispersione nella matrice di: un agglomerato di particelle solide, un fluido secondario immiscibile (miscele multifase di polimeri incompatibili). Applicando uno sforzo si ottiene la rottura del fluido secondario o dell’agglomerato di particelle solide.
Miscelazione dispersiva di un agglomerato di particelle: Sistema ideale con due particelle sferiche → Se dispositivo di miscelazione che genera un flusso a taglio semplice: la forza massima di separazione si verifica quando le particelle sono orientate a 45° e ruotano continuamente durante il flusso. Dati la viscosità, r il raggio della particella e 𝛾ሶ il tensore della velocità di deformazione, l'entità della forza che cerca di separare l'agglomerato è data da → Se dispositivo di miscelazione che genera un flusso di pura elongazione: le particelle sono orientate parallelamente al flusso, orientazione lungo la quale la forza è massima Valore doppio rispetto al caso precedente
Miscelazione dispersiva di fluidi immiscibili
Se sono incompatibili con la matrice le gocce tendono a rimanere/diventare sferiche (rapporto superficie/volume più basso possibile). Lo sforzo all’interno del miscelatore causa la deformazione delle gocce e se sufficientemente elevato la loro dispersione. Le gocce si disperdono quando gli sforzi vincono la tensione superficiale. Anche in questo caso è più efficace il flusso di elongazione. Un parametro comunemente utilizzato per determinare se una goccia si disperderà è il numero capillare, cioè il rapporto fra la dimensione della goccia (R), gli sforzi causati dal flusso () e la tensione superficiale (s ) Si ha separazione quando si raggiunge il valore critico Cacritico.
Miscelatori statici: dispositivi di miscelazione continua azionati dalla pressione attraverso i quali la massa fusa viene pompata, ruotata e divisa, ottenendo una miscelazione efficace senza la necessità di parti mobili e teste di miscelazione.
Miscelatore statico a nastro ritorto: il fluido viene ruotato dalla parete divisoria e le interfacce tra i fluidi aumentano
Traiettoria di una particella che viaggia su una linea di flusso nella sezione N del miscelatore statico e termina su una linea di flusso diversa al momento dell'ingresso nella sezione successiva La sequenza di allungamento e ri-orientamento viene ripetuta fino a quando il numero di striature è così elevato da ottenere una miscela apparentemente omogenea
Il miscelatore di tipo Banbury è un il miscelatore discontinuo interno. • Due rotori a spirale in un contenitore cilindrico • I miscelatori discontinui interni sono miscelatori ad alta intensità che generano flussi di taglio e allungamento complessi, particolarmente adatti alla dispersione di agglomerati di particelle solide in matrici polimeriche. • Una delle applicazioni più comuni è la separazione di agglomerati di nerofumo in composti di gomma.
Miscelazione in estrusori a vite singola: La miscelazione viene migliorata introducendo dei perni nel canale di flusso. Questi perni possono trovarsi sia sulla vite (a) sia sul cilindro (b). In entrambi i casi i perni disturbano il flusso, riorientandolo e dividendolo. L'estrusore a perni è particolarmente efficace per la miscelazione di materiali ad alta viscosità come le mescole di gomma. Questa macchina è ampiamente utilizzata per la produzione di profili in gomma di qualsiasi forma e dimensione.
Miscelazione in estrusori a doppia vite: sono tra i migliori dispositivi di miscelazione continua disponibili. Gli estrusori a doppia vite inter-meshing sono autopulenti: le superfici delle viti scorrono l'una sull'altra, rimuovendo costantemente il polimero attaccato alla vite. I sistemi co-rotanti garantiscono un'elevata efficienza di pompaggio grazie alla doppia azione di trasporto delle due viti, mentre i sistemi controrotanti generano elevate sollecitazioni a causa dell'azione di calandratura tra le viti, rendendoli macchine efficienti per la dispersione di pigmenti e lubrificanti.
Estrusore a doppia vite contro-rotante: riduzione delle dimensioni caratteristiche della fase secondaria
Alcune proprietà dei polimeri sono intrinseche ovvero sono caratteristiche dello specifico polimero. Al contrario alcune proprietà sono dovute alla particolare struttura molecolare. Tuttavia, a volte, è necessario modificare le proprietà meccaniche, chimiche e fisiche del materiale per raggiungere le massime prestazioni possibili. Per rendere un polimero “più utile” si introducono, alla miscela polimerica da trasformare attraverso lo stampaggio, degli ADDITIVI. Esistono, quindi, vari tipi di additivi a seconda delle caratteristiche che si vogliono modificare.
Additivi per migliorare il processo: durante la trasformazione – formatura: – dispersione – stabilità termica – la compatibilità – distacco dallo stampo.
Gli additivi vengono aggiunti:
al monomero (es. stearato di Zn come lubrificante per ridurre la termossidazione)
durante polimerizzazione (stabilizzanti per migliorare il processo)
durante la compoundazione (stabilizzanti e lubrificanti)
prima o durante la trasformazione (pigmenti, distaccanti, antistatici, enucleanti, ignifughi, espandenti, antiblocking, cariche)
CARICHE E RINFORZI - RIEMPITIVI
Origine minerale (talco, CaCO3 , SiO2 , argille) o origine vegetale (farina di legno).
Servono ad aumentare le resistenza a trazione ed alla compressione, la resistenza all’abrasione, la durezza, la stabilità dimensionale e termica. Riducono la lucentezza, l'allungamento e la resistenza ad urti e aumentano densità
Le dimensioni di questi materiali dentro la matrice polimerica variano attorno ai 10 nm siano a qualche millimetro (particelle, fibre corte o fibre lunghe). I riempitivi sono, solitamente, materiali di scarso valore e sostituiscono circa dal 5 al 40% in peso, andando di fatto ad abbattere il costo del prodotto finale.
Es: La superficie del vetro ha scarsa o nulla affinità con il polimero agenti di accoppiamento o aggraffanti (silani, anidride maleica e titanati), il vetro ha una superficie polare Il polimero è apolare.
COLORANTI - TINTURA E PIGMENTI
Le molecole di una tintura si dissolvono e diventano parte della struttura molecolare del polimero stesso. Invece, le molecole di pigmento non si dissolvono ma vanno a costituire una fase separata rispetto a quella del polimero. Generalmente, le molecole di colorante sono particelle piccole (diametri attorno a qualche micron). Possono essere sia organici che inorganici. Caratteristiche: stabilità termica e resistenza alla luce e potere coprente (dipende dalla forma, dalle dimensioni delle particelle, dalla dispersione e da una buona omogeneizzazione).
Procedimento in 2 step:
miscela di polimero + colorante/pigmento (1-2%) → master
miscela del master con il polimero.
Attenzione a: Variazione colore per reazione tra S (in coloranti) e Pb /Sn (in stabilizzanti), Complessi metallici influenzano la cura di termoindurenti, la cristallizzazione e le proprietà elettriche.
3. PLASTIFICANTI: ftalati – esteri alifatici
Aumentano la flessibilità e la duttilità del polimero e ne riducono, di conseguenza, la durezza e la rigidità. Sono generalmente dei liquidi a bassa tensione di vapore e bassi pesi molecolari. Devono avere un alto punto di ebollizione, non devono essere volatili, parametri di solubilità uguali al polimero e non devono essere rilasciati durante l’uso del componente. Le piccole molecole di plastificante occupano le posizioni libere tra le macromolecole, aumentando di fatto lo spazio tra catene e permettendo un più facile scorrimento tra le catene stesse.
Abbassano la temperatura di transizione vetrosa in modo da facilitare l’utilizzo dei polimeri a temperatura ambiente in applicazioni che richiedano un certo grado di flessibilità da parte del materiale.
Nel caso di additivi liquidi:
Sequenza di eventi: assorbimento → rigonfiamento → soluzione – regioni cristalline meno sensibili di regioni amorfe – polimeri maggiormente reticolati meno sensibili di polimeri meno reticolati – molto sensibili gli elastomeri
La quantità di solvente assorbibile aumenta con la T
Tra i plasticizzanti va considerata anche l’acqua soprattutto per le Poliammidi (PA)
4. LUBRIFICANTI E DISTACCANTI
Termoplastici = macromolecole con alto peso molecolare → allo stato fuso altamente viscosi → problemi in trasformazione. Per raggiungere alti livelli di produzione con i minori inconvenienti e con il minimo consumo di energia, si deve ridurre la viscosità del fuso al minimo possibile.
Aumentare T porta a: degrado termico, problemi di raffreddamento e aumento di consumo energetico
Aggiunta di oli lubrificanti che diminuiscono la frizione.
Lubrificanti: sono composti organici (grassi, cere, PE a basso peso molecolare, stearato di Zn, esteri, siliconi). Non volatili e non devono produrre fumi alla T di trasformazione. Non devono ostacolare la dispersione dei pigmenti e non devono influenzare o degradare altri stabilizzanti presenti e non devono essere rilasciati durante l’uso del componente
Distaccanti si distinguono in: interni (al pari del lubrificante, ma devono migrare in superficie) e esterni, spruzzati sullo stampo (siliconi).
5. AGENTI SLIP, ANTIBLOCKING E ANTISLIP
Agenti slip: usati nella produzione di film polimerici (bobine o pacchi), aderiscono tra loro creando seri problemi di rotture quando si svolgono. Aggiunta (0,05%) prima della formatura del film.
Agenti antiblocking (0.1% - gesso siliceo). Per evitare lo scivolamento di manufatti impilati (es. borse della spesa).
Agenti antislip: si usa per i film termoretraibili, in modo da renderli appiccicosi.
6. STABILIZZANTI ANTIOSSIDANTI e UV
Vengono inseriti nella formulazione di polimeri che nelle normali condizioni ambientali, sono soggetti a rapido deterioramento. Tale effetto è spesso causato dall’azione di radiazioni UV e dall’ossidazione.
Antiossidanti: I materiali polimerici possono degradare:
durante la polimerizzazione (stress termico)
durante la granulazione (stress termico)
durante la trasformazione (estrusione e iniezione) (stress termico e meccanico)
durante la vita e l’uso del manufatto (stress termico, meccanico, chimico e fotochimico)
Devono essere incolori, non devono contribuire allo scolorimento del polimero, stabilità termica, stabili all’idrolisi, bassa volatilità (per non essere espulsi durante l’essicazione: 60-110°C), resistenza all’estrazione (normativa tossicologica) e resistenza alla migrazione (per non affiorare in superficie).
UV: a catturare e neutralizzare o almeno diminuire l’energia di radiazione per evitare il cracking da foto-ossidazione. Le radiazioni UV assorbite sono dissipate sotto forma di calore. Es: TiO2 (bianco) riflette i raggi o nerofumo (carbon black): assorbe i raggi. Il più famoso stabilizzante è il nerofumo che rientra nella formulazione delle gomme utilizzate come pneumatici per automobili.
7. AGENTI ANTISTATICI
Composti che possano ionizzare per permettere migrazione di carica. Vengono incorporati nella massa polimerica (concentrazione < 1%) creazione di film elettrolitico che aumenta la conducibilità (superficiale). Devono poter migrare da interno a superficie.
Evitare: Contaminazione superficiale, interferenza nella lettura ottica (CD), difficoltà nella sbobinatura di film, deposizione di polvere sui manufatti, possibile formazione di scintille.
8. ESPANDENTI
Schiume: alto rapporto resistenza/peso (densità 10 1000 kg/m3 ), isolanti termici e acustici e assorbenti energia e vibrazioni. Diverse morfologie: Schiuma a celle aperte (PU) e a schiuma a celle chiuse («polistirolo», meglio EPS). Per imballaggi, mobili, scarpe, isolanti...
Le schiume vengono prodotte per inglobamento meccanico di gas o produzione chimica/fisica di gas: decomposizione termica di sostanze che generano N2 , CO o CO2, volatilizzazione di liquidi basso bollenti e volatilizzazione dei gas prodottisi durante la polimerizzazione esotermica e espansione, a seguito di riduzione di Pressione, del gas disciolto nel polimero.
9. RITARDANTI DI FIAMMA
Una delle maggiori preoccupazioni nell’utilizzo dei polimeri è la loro infiammabilità. Infatti la maggior parte delle materie plastiche è infiammabile allo stato puro e la resistenza alla fiamma è aumentata da additivi che funzionano interferendo con la fase gassosa prodotta durante il processo di combustione oppure iniziando una reazione chimica che provoca un raffreddamento dell’area di combustione e la cessazione del fuoco.
I ritardanti di fiamma maggiormente sfruttati sono a base di molecole bromurate o fosforate. I più utilizzati sono: il difenil etere polibromurato (PBDEs), l’esabromociclodecano (HBCD), il bisfenolo bromurato (TBBA) ed il polibrominato bifenile.
LOI = Limiting Oxygen Index (indice di ossigeno). Frazione minima di ossigeno, in miscela con l'azoto, che supporterà la combustione (norme della serie ISO 4589 oppure ASTM D2863). Essendo l'aria al 21% vol O2 i polimeri con LOI > 0,21 sono autoestinguenti.
Combustione nei materiali polimerici:
Riscaldamento
Degradazione termica
Ignizione
Sviluppo fiamma
Azioni prodotti dai ritardanti di fiamma:
Raffreddamento: del polimero e dei gas mediante decomposizione endotermica.
Formazione di un residuo carbonioso (char) che rallenta la degradazione termica del polimero
Diluizione: alcuni additivi si decompongono in gas incombustibili che abbassano la concentrazione di sostanze volatili combustibili.
Reazioni in fase gas: si generano reazioni in fase gassosa tali da interrompere o modificare le normali reazioni di combustione.
Requisiti dei ritardanti di fiamma: effetto ritardante durevole, massima resa con piccola aggiunta, costo basso, non corrosivo. Non alterare le proprietà del polimero, stabilità termica alle temperature di processo, nessuna reazione con il polimero, non dare aumento di tossicità dei prodotti di combustione e nessun aumento di fumi.
Idrossidi metallici
Composti alogenati (Cl e Br): neutralizzano radicali liberi e creano char.
Composti bromurati + triossido di antimonio: ostacolano l’ossidazione.
Composti a base fosforo: creano char.
Per ovviare al rilascio di fumi tossici → nanocompositi a base di argille lamellari (idrotalcite). Si devono separare gli strati, allargando i canali interstrato intercalando molecole polimeriche i polimeri sono idrofobi e i canali sono idrofili. Lo spessore degli strati dei silicati lamellari è di circa 1 nm - le dimensioni laterali possono variare da 300 angstrom a diversi micron. Le lamine si organizzano a formare pile con un regolare “gap di Van der Waals” chiamato interstrato o galleria
POLIMERI A CRISTALLI LIQUIDI (LCP)
I polimeri a cristalli liquidi costituiscono un gruppo di materiali chimicamente complesso e strutturalmente distinto.
Gli LCP sono composti da molecole estese, a forma di barrette, estremamente rigide che si possono considerare come un nuovo stato della materia: lo stato liquido-cristallino. Nelle condizioni di fuso, mentre le molecole degli altri polimeri sono orientate casualmente, le molecole degli LCP possono essere allineate secondo configurazioni altamente ordinate. Una volta solidificati, gli LCP mantengono l’allineamento a livello molecolare ma si formano
anche domini con caratteristiche spaziature intermolecolari.
Rappresentazione delle strutture molecolari allo stato fuso e solido per polimeri:
a) semicristallini,
b) amorfi ,
c) a cristalli liquidi.
Esistono tre tipi di cristalli liquidi che differiscono in base all’orientamento ed all’ordinamento posizionale: SMETICI, NEMATICI e COLESTERICI.
L’utilizzo principale degli LCP è nell’industria elettronica e più nello specifico nella fabbricazione di schermi. In questa applicazione sono utilizzati cristalli liquidi di tipo colesterico che a temperatura ambiente si presentano come liquidi fluidi, trasparenti ed otticamente anisotropi.
Ogni schermo è composto da due strati di vetro tra i quali sono contenuti gli LCP. La superficie di ciascun strato è rivestita da una pellicola sottile trasparente elettricamente conduttrice. Un potenziale applicato tra le due pellicole conduttive causa la rottura dell’orientamento delle molecole di LCP e quindi l’oscuramento nell’area soggetta, in definitiva la formazione di un carattere visibile.
PROPRIETA’
ottima stabilità termica (T >250°)
rigidità e resistenza
inerzia chimica in un’ampia gamma di acidi e solventi
intrinseca resistenza alla fiamma e prodotti di combustione poco tossici.
CARATTERISTICHE DI FABBRICAZIONE
sono possibili tutte le tecniche convenzionali di realizzazione disponibili per i polimeri termoplastici
basse distorsioni e ritiri durante la fase di stampaggio
eccezionale riproducibilità dimensionale
bassa viscosità del fuso (stampaggio di forme complesse in sezioni molto sottili)
basso calore di fusione (rapide fusioni)
cicli di stampaggio brevi
pezzi finiti con proprietà anisotrope
I nanocompositi sono una nuova classe di materiali formati da polimeri caricati con delle particelle disperse aventi almeno una dimensione dell’ordine dei nanometri. Quando la carica utilizzata ha una sola dimensione nell’ordine dei nanometri, il rinforzo è presente sottoforma di LAMINE con spessore di pochi nanometri (10-70 nm) e lunghezza che può variare da centinaia a migliaia di nanometri.
A seconda del grado di dispersione della carica lamellare nella matrice polimerica sono possibili tre tipi di compositi: Tattoide, Intercalata e Esfoliata.
I tipi di cariche utilizzate per ottenere nanocompositi appartengono alla famiglia dei fillosilicati e più nello specifico sono montmorilloniti, vermiculiti, ectoriti e saponiti. La loro struttura cristallina si compone di strati bidimensionali (detti lamelle) intervallati da spazi interlamellari contenenti cationi metallici.
Nelle montmorilloniti ciascuna lamella è formata da strati di silice (SiO2) con coordinazione tetraedrica e da strati di allumina (Al2O3) con coordinazione ottaedrica. Più la compatibilizzazione della carica inorganica è buona a livello nanometrico (esfoliazione), maggiori saranno le prestazioni del manufatto finale.
I quantitativi di carica richiesti sono molto bassi ovvero massimo 5% in peso del polimero. Per ottenere i nanocompositi sono sfruttate le tecniche di stampaggio classiche ovvero lo stampaggio per estrusione ed iniezione.
PROPRIETA’ DEI NANOCOMPOSITI
elevate proprietà barriera, riduzione della permeabilità a gas quali ossigeno, vapor d’acqua ed anidride carbonica
elevate proprietà meccaniche, aumento della resistenza a trazione, all’impatto ed all’allungamento a rottura
migliorate proprietà elettriche ed ottiche
incrementata stabilità termica
incrementata stabilità chimica
incrementata stabilità dimensionale
Il Mar mediterraneo è un bacino quasi chiuso dove le correnti fanno tornare sulle coste l'80% dei rifiuti di plastica con il risultato che per ogni chilometro di litorale, se ne accumulano oltre 5 kg al giorno. L’inquinamento peggiore da plastica è quello invisibile: la microplastica. Il mare nostrum ha soltanto l'1% delle acque mondiali, ma contiene il 7% della microplastica marina.
E così oggi si producono 396 milioni di tonnellate di plastica all’anno, 53 kg per ogni abitante del Pianeta. Solo poco più del 20% della plastica è stato riciclato o incenerito, molta ha terminato la propria vita in mare. Sui fondali marini del Mare Nostrum sono stati rilevati livelli di microplastiche più elevati mai registrati, fino a 1,9 milioni di frammenti su una superficie di un solo metro quadrato.
Questa plastica raggiunge anche noi: ingeriamo in media cinque grammi di plastica a settimana, l’equivalente di una carta di credito, e non si conoscono ancora i risvolti per la nostra salute.
Lo studio, apparso su Journal of Geophysical Research, mostra che le microplastiche sono un fenomeno globale che non può essere adeguatamente compreso o affrontato solo nel contesto dell’ambiente marino. Le materie plastiche vengono prodotte, utilizzate e scartate a terra e si disperdono attraverso il suolo, i fiumi e l’atmosfera. Ma non solo. I ricercatori osservano che l’ambito globale della questione si estende anche alla sfera sociale e quotidiana.
“Dobbiamo riconoscere che l’inquinamento da microplastica è un problema internazionale che non rispetta i confini politici“, afferma Meredith Seeley, co-autrice dello studio. “Come per i cambiamenti climatici e la gestione delle specie, i paesi più sviluppati e quelli emergenti dovranno cooperare per trovare soluzioni eque“.