Difetti PUNTUALI [chiamati 0-D]
Difetti DI LINEA o dislocazioni [1-D]
Difetti SUPERFICIALI [2-D]
Difetti DI VOLUME [3-D]
I difetti influenzano processi come la ricottura, la sinterizzazione o fenomeni di ossidazione e creep.
Spesso dei difetti vengono introdotti per esaltare certe proprietà di alcuni materiali, come la conducibilità del silicio aumenta di 10.000 volte semplicemente aggiungendo lo 0.01% di arsenico, la presenza di dislocazioni permette la deformazione plastica dei metalli, mentre i materiali senza dislocazioni sono fragili.
Sono difetti presenti in regioni del reticolo cristallino, una struttura poliedrica ordinata costituita da celle elementari, e coinvolgono centinaia di posizioni reticolari. I difetti puntuali agiscono sull'impacchettamento, inducendo concentrazioni di stress di trazione, nel caso di vacanze, di interstiziali o sostituzionali di dimensione minore degli atomi circostanti, e di compressione, nel caso di atomi di dimensioni maggiori.
In ogni materiale è sempre presente una quantità non trascurabile di difetti puntuali che influenza le proprietà, e quindi non avremo mai un reticolo perfetto.
I difetti dipendono dalla struttura del reticolo cristallino del materiale in questione. Si possono definire due casi fondamentali:
VACANZE: Nei metalli o in elementi aventi struttura cristallina, siti del reticolo cristallino non occupati da nessun atomo.
DIFETTI INTERSTIZIALI: Cioè atomi dello stesso elemento, o di elementi diversi, situati in una posizione interstiziale.
DIFETTO DI SCHOTTKY: Nei cristalli ionici, quando viene a mancare una coppia di ioni di carica opposta, rimane neutro
DIFETTI DI FRENKEL: Caratterizzati dalla combinazione di una vacanza e di un interstiziale, spostamento di un catione in un interstizio.
Le vacanze sono prodotte da imperfezioni di impacchettamento durante la cristallizzazione, da vibrazioni reticolari termiche ad alta temperatura, da deformazioni plastiche o da radiazioni (raggi γ).
La concentrazione di vacanze nei materiali puri e a bassa temperatura è molto bassa, circa una vacanza ogni 10^8 atomi.
Ad alta temperatura, vicino alla temperatura di fusione il numero di vacanze è circa 1 vacanza ogni 10^3 atomi.
Le vacanze sono molto importanti perché consentono agli atomi di muoversi nel reticolo cristallino e quindi influiscono in maniera sostanziale sulla velocità di diffusione degli atomi stessi nel reticolo cristallino.
Il russo Frenkel nel 1926 descrive la dipendenza dalla temperatura dei difetti puntuali, più in particolare fa aumentare la velocità esponenzialmente.
Equazione di Arrhenius
v è la velocità
C una costante preesponenziale indipendente dalla temperatura
Q l' energia di attivazione
R la costante universale dei gas
T la temperatura assoluta
DIFFUSIONE ALLO STATO SOLITO
La presenza di difetti in un solido cristallino permette la migrazione di atomi tra zone diverse del reticolo cristallino.
Il fenomeno è chiamato diffusione allo stato solido è difficile in assenza di difetti puntuali, infatti la diffusione avviene tramite le vacanze (e la direzione del dell'atomo è opposta a quella della vacanza) o per via interstiziale. Matematicamente, la diffusione è rappresentabile con le leggi di Fick.
Jx: Flusso della diffusione nella direzione orientata x
(∂c/∂x): Gradiente di concentrazione
D: diffusività.
Il gradiente di concentrazione in un certo punto del processo diffusivo varia con il tempo, t e questo porta alla seconda legge di Fick:
Se si suppone D indipendente dalla concentrazione allora la legge assume una forma semplificata.
Questo tipo di diffusione viene largamente usato nell'industria, ad esempio nella cementazione o nella nitrurazione dei metalli.
C0 è la concentrazione iniziale della specie diffondente nel solido
Cx la concentrazione a distanza x dalla superficie del solido
erf è la funzione errore di Gauss
Anche il coefficiente di diffusione dipende dalla temperatura: dove D0 è la costante preesponenziale e Q l'energia di attivazione
per l' inizio della diffusione nelle vacanze, che generalmente non coincide con l'energia necessaria per formare il difetto (E).
Il carbonio diffonde con un meccanismo interstiziale più velocemente nel ferro BCC che non nel ferro FCC, perché è legato alla struttura del Fe BCC più aperta di quella del Fe FCC.
SFORZO: il rapporto tra la forza (F) e la superficie (A) su cui agisce la forza stessa. Si misura in [MPa].
DEFORMAZIONE: il rapporto tra la variazione di lunghezza del provino e la lunghezza iniziale del provino. La deformazione è adimensionale. Vogliamo sempre una deformazione eleatica, plastica solo in un caso: In cardiochirurgia per sbloccare occlusione nel cuore si impiega STENT una sonda con in cima una retina che si deve deformare nel cuore e aprire i vasi e lasciare fluire il sangue.
EQUAZIONE DI HOOKE: le due quantità (stress e deformazione) sono legate dall’ equazione di Hook e dove E è il modulo di Young o modulo elastico [MPa o più spesso in GPa].
MODULO DI YOUNG: rappresenta la forza dei legami interatomici e quindi ci da una misura della rigidità di un materiale. Un materiale con elevato modulo di Young è molto rigido cioè si deforma poco quando viene caricato. Bisogna sottolineare che il modulo di Young dipende solo ed esclusivamente dalla forza di legame perciò ad esempio ogni tipo di acciaio avrà un modulo di Young di circa 200 GPa ma attraverso trattamenti termici o termo-meccanici la resistenza a trazione dello stesso acciaio potrà variare anche di un ordine di grandezza.
RAPPORTO DI POISSON: (n) (adimensionale) Quando si deforma un materiale esso si allunga e si contrae, il rapporto di Poisson si misura:
et: deformazione trasversale,
ea: deformazione assiale.
Per quasi tutti i materiali il rapporto di Poisson varia tra 0.25 e 0.3.
STRESS DI TAGLIO:
modulo di taglia G
t è lo stress di taglio
y è la deformazione a taglio
Le tre quantità, E, G e n sono legate dalla relazione.
E' possibile vedere come il rapporto σ/ρ per i materiali ceramici sia di gran lunga migliore rispetto a quello dei metalli. Ecco quindi che sono giustificati tutti gli studi sulle possibili applicazioni strutturali delle ceramiche ad alta temperatura. Purtroppo i materiali ceramici sono ancora troppo fragili
Mentre i difetti puntuali sono associati a vibrazioni reticolari, quelli di linea e cioè le dislocazioni sono difetti che si creano durante la cristallizzazione (perché si possono avere orientazioni diverse di “pezzi” di reticolo cristallino) o durante la deformazione plastica di un materiale.
In pratica una dislocazione è la mancanza di un filare di atomi e quindi un’irregolarità nella periodicità del reticolo cristallino. Normalmente in un materiale “non deformato” la densità di dislocazioni è dell’ ordine delle 10^5 – 10^6 disloc/cm2 . Mentre se il materiale viene deformato questo valore sale a circa 10^10 – 10^12. La densità viene fornita in disloc/cm2 perché si tratta di cm di dislocazioni al cm3 . Se si applica uno stress al materiale, alcune dislocazioni possono muoversi all’interno del reticolo. Questo movimento ha delle importanti implicazioni sulle proprietà meccaniche dei materiali. In particolare solo ipotizzando il moto delle dislocazioni si può spiegare lo sforzo di snervamento e la deformazione plastica dei materiali. Inoltre, se si riesce a rallentare il moto delle dislocazioni si può aumentare la resistenza meccanica (lo vedremo in seguito)
I primi ricercatori avevano calcolato che per deformare un reticolo cristallino “perfetto” era necessario uno stress notevole, dell’ordine dei 1 – 2 10^4 N/mm2 mentre in realtà per deformare i materiali è sufficiente applicare uno stress molto più basso e dell’ordine dello 0.1 - 10 N/mm2 . Questa discrepanza si può spiegare solo se si ipotizzano le dislocazioni.
Caratteristiche delle dislocazioni
Le dislocazioni si muovono più facilmente nei metalli perché le posizioni del reticolo cristallino sono occupate tutte dallo stesso tipo di atomi e i legami coinvolti sono fortemente delocalizzati.
Al contrario, nei materiali con legami ionici le posizioni reticolari sono occupate da ioni di carica opposta. Analogamente i materiali con legami covalenti hanno appunto legami direzionali e forti che non “sopportano” nemmeno piccoli spostamenti. Per questa ragione i metalli sono duttili mentre i materiali ceramici sono fragili.
La deformazione (detta scorrimento) avviene solo lungo certi sistemi di scorrimento (combinazioni di un piano e una direzione di scorrimento). Questi piani sono quelli di massima densità atomica cioè dove gli atomi sono più vicini e quindi la distanza interatomica è minore. I materiali BCC e HPC (esagonale) a causa della loro cristallografia hanno più sistemi di scorrimento dei materiali FCC. I primi sono quindi più duttili dei secondi.
All’interno del materiale vi sono delle “sorgenti di dislocazioni” (sorgenti di Frank-Read). Durante una deformazione plastica queste sorgenti fanno si che la densità delle dislocazioni aumenti.
Il reticolo cubico a facce centrate CFC ha 12 sistemi di scorrimento dati dalla combinazione dei 4 piani equivalenti a 111 e dalle 3 direzioni equivalenti a [110].
Il reticolo cubico a corpo centrato CCC ha 12 sistemi di scorrimento dati dalla combinazione dei 6 piani equivalenti a 110 e dalle 2 direzioni equivalenti a [111].
Lo scorrimento è favorito nella struttura CCC rispetto alla struttura CFC, non solo perché nella struttura FCC l’energia necessaria allo scorrimento è maggiore, ma anche perché il maggior numero di piani di scorrimento fa sì che il sistema trovi sempre piani di scorrimento orientati nel giusto verso rispetto alla direzione degli sforzi. Inoltre nel reticolo CCC ci sono anche dei sistemi di "quasi scorrimento" nei quali la probabilità di attivazione è alta.
I reticolo esagonale compatto (HCP) contiene un numero minore di sistemi di scorrimento rispetto ai reticoli FCC e CCC, per cui lo scorrimento avviene con più difficoltà (Tuttavia dipende dal rapporto tra altezza e base). Ciò determina una maggiore fragilità dei materiali che presentano un reticolo HCP rispetto a quelli che presentano un reticolo FCC o BCC.
Il moto delle dislocazioni all’interno del reticolo cristallino provoca la deformazione plastica.
In pratica quando si applica uno stress ad un materiale si fornisce al materiale stesso dell’energia (area sottesa dalla curva sforzi-deformazioni). Questa energia (detta energia elastica di deformazione) inizialmente non è sufficiente a far muovere le dislocazioni e quindi viene incamerata dal materiale che si deforma elasticamente. Ad un certo punto (chiamato limite di snervamento o yield strength) l’energia fornita dallo stress applicato e’ sufficiente a far muovere le dislocazioni e quindi il materiale inizia a deformarsi plasticamente.
DISLOCAZIONI E METODI PER AUMENTARE LA RESISTENZA DI UN MATERIALE
E’ conveniente che il materiale si possa deformare plasticamente prima di rompersi ma comunque il progetto viene sempre effettuato sulla base del limite i snervamento (in realtà ulteriormente si divide il limite di snervamento per un coefficiente di sicurezza che può arrivare anche a 10).
Se in un materiale è veramente importante il suo limite di snervamento e se questo valore è definito dall’inizio del moto delle dislocazioni, per aumentare questo limite di snervamento si dovrà cercare di “rallentare” il moto delle dislocazioni. Per far questo si possono usare vari metodi (molto spesso si usano contemporaneamente).
Riduzione della dimensione del grano: Le dislocazioni si muovono solo lungo alcuni sistemi di scorrimento. Quando però le dislocazioni incontrano un bordo di grano devono superarlo per poter poi muoversi all’interno del grano successivo. Il disordine atomico che si ha al bordo di grano crea una discontinuità nel sistema di scorrimento della dislocazione e quindi è necessario fornire ulteriore energia per far continuare a scorrere la dislocazione stessa. Tanto più piccoli saranno i grani del materiale tanto maggiore sarà il suo limite di snervamento. La resistenza di un materiale è data dalla Legge di Hall-Petch (1950) --> σ = σ0 + 1/√d
Indurimento per soluzione solida: Ogni atomo (in soluzione solida) piu' grande o piu' piccolo di quello del solvente crea un campo di stress nel reticolo cristallino della matrice stessa. Questo campo di stress crea un “rallentamento” al moto delle dislocazioni. C la concentrazione del soluto, ε tiene conto della differenza delle dimensioni tra soluto e solvente.
Indurimento per precipitazione o invecchiamento (age hardening - che non c'entra con la durezza, ma la resistenza allo snervamento) - inizi 1900:
Quando il diagramma di stato di una lega ha una zona di solubilità che decresce marcatamente con la temperatura vi sono le premesse per un possibile invecchiamento. Il classico esempio sono le leghe di alluminio chiamate DURALLUMINIO (serie 2000) che contengono circa il 4% di rame. Se si raffredda velocemente la velocità di nucleazione di CuAl2(duro e fragile) è alta, la velocità di crescita invece è bassa e quindi si formano molti precipitati e non obbligatoriamente ai bordi di grano (adesso si che le dislocazioni hanno problemi ad evitarli).
In questa situazione (tempra) il precipitato che inizia a formarsi durante il processo di invecchiamento (a bassa temperatura) non è quello previsto dal diagramma di stato (CuAl2), ma un precipitato molto fine e coerente con la matrice chiamato θ. Questo precipitato fine e coerente con la matrice impartisce alla lega la massima “resistenza” al moto delle dislocazioni.
L'invecchiamento quindi non funziona con l'acciaio, ma invece è ottimo per l'alluminio(limite snervamento 40MPa), come nelle leghe Al con 4% Cu (limite snervamento 500MPa), Al-Zi (leghe 7000 limite snervamento 700MPa) e Al-Mg-Si ( leghe 6000 limite snervamento >750MPa, per serbatoio Space shuttle) . Spesso poi per migliorare la resistenza alla corrosione queste leghe vengono rivestite di alluminio.
La formazione di un precipitato coerente e incoerente dipende dalla sostanza, ma è possibile purtroppo passare dal coerente, il migliore, a quello incoerente aumentando la temperatura.
L’invecchiamento di queste leghe si ottiene a bassa temperatura (120 -180 C) quindi con una mobilità degli atomi ridottissima. Questo è il motivo per cui i precipitati non riescono a crescere troppo. Le curve (tempo - durezza) per le leghe invecchiabili sono in realtà la “somma” di quattro distinti fenomeni.
1. Indurimento per soluzione solida
All’inizio la lega è indurita dalla semplice presenza del rame, intrappolato in una situazione di soluzione solida dal brusco raffreddamento. Quando però iniziano a formarsi i primi precipitati (zone di Guinier-Preston GP) tutto il rame viene rimosso dalla s.s.
2. Indurimento per “precipitati coerenti”
Sono quelli che forniscono la massima deformazione del reticolo della matrice circostante. I precipitati (in generale) quando crescono di dimensione perdono la coerenza e quindi anche l’efficacia nel rallentare le dislocazioni viene meno. Lo stress prodotto dai precipitati “coerenti” viene meno quando la coerenza sparisce.
3. Indurimento per “precipitazione”
Man mano che l’invecchiamento prosegue a causa della diffusione allo stato solido i precipitati aumentano di dimensione (anche se molto lentamente) e
iniziano a perdere parzialmente la loro coerenza. I precipitati continuano comunque a rallentare il moto delle dislocazioni. La loro efficacia pero’ e’
limitata da due fenomeni:
Le dislocazioni possono tagliare i precipitati
Le dislocazioni possono piegarsi attorno ai precipitati
Il precipitato resiste al suo taglio con una forza tanto maggiore quanto più grande è la dimensione del precipitato stesso e quindi quanto maggiore è il tempo di invecchiamento. Il piegarsi attorno ai precipitati è tanto più facile quanto più distanziati sono i precipitati stessi. Quindi lo stress per piegarsi è inversamente proporzionale al tempo di invecchiamento. Nella figura si possono vedere i due fenomeni appena descritti, il taglio del precipitato da parte di una dislocazione (cut) e il piegarsi della dislocazione attorno ad un precipitato (bowing).
Indurimento per deformazione plastica: Alcune leghe dell’allumino e in particolare le 1000, 3000 e 5000 non possono venir invecchiate, pertanto la loro resistenza meccanica si può aumentare soprattutto per incrudimento. Se un materiale si deforma plasticamente nel suo interno aumenta la densità delle dislocazioni, e esso può ancora muoversi ma richiede più energia. Le dislocazioni interagiscono tra di loro e si bloccano a vicenda. Normalmente un pezzo può e deve subire più fasi di incrudimento perché se la deformazione plastica totale viene applicata in un’unica passata la densità di dislocazioni aumenta troppo e il materiale o diviene troppo fragile o addirittura si spezza. Inseguito subisce un trattamento termico di ricottura (recovery o annealing) che riduce la densità delle dislocazioni. Anche la trafilazione, forgiatura aumentano la densità delle dislocazioni.
Non voglio arrivare all'ultimo, dove i grani vanno ad aumentare di dimensione
Tutti i metodi di indurimento descritti (eccetto la riduzione nella dimensione dei grani) rendono il materiale piu’ resistente (aumenta il limite di snervamento) ma LA DUTTILITA’ DEL MATERIALE CALA ANCHE IN MANIERA SOSTANZIALE quindi il materiale diventa piu’ fragile. Questo spesso non e’ stato compreso dai progettisti (attorno agli anni 1950 –50) e le rotture fragili e inaspettate sono state molto frequenti (navi).
Comprendono le superfici esterne, i bordi di grano, spigoli. La superficie esterna di ogni materiale è formata da atomi che sono legati solo da una parte e quindi hanno maggiore energia. Questo fa si che siano più suscettibili a erosione e a reazioni con l'ambiente.
Nei bordi dei grani invece l'addensamento atomico è minore e gli atomi mal allineati fanno aumentare l'energia e questo fa si che siano più soggetti a nucleazione. A temperature basse riduce le deformazioni plastiche rendendo più difficile lo spostamento di dislocazioni.
Si formano quando un gruppo di difetti di punto si unisono per formare un vuoto tridimensionale. Oppure un gruppo di impurezze si unisce a formare un precipitato tridimensionale. Va dai pochi nanometri ai centimetri.
I grandi vantaggi di poter disporre di prove meccaniche sono essenzialmente di due tipi:
stabilire metodologie standardizzate (prova ripetibile ovunque da soggetti diversi in condizioni prefissate, risultati pienamente confrontabili)
valutare le proprietà intrinseche del materiale (indipendenti dalla geometria e costanti a parità di condizioni fisiche e chimiche)
A livello Europeo le modalità di esecuzione delle prove sono fissate dalle normative UNI EN
Prova di trazione UNI EN 10002
Prova di durezza UNI EN 6507 (Vickers) 6506 (Brinell) 6508 (Rockwell)
Prova di resilienza Charpy UNI EN 10045
Le proprietà meccaniche sono quelle che un materiale manifesta quando sottoposto all’azione di un carico.
La prova di trazione (tensile test) consiste nel sottoporre un provino ad una deformazione a velocità costante, mediante l’azione di un carico di trazione unidirezionale F (load) applicato ortogonalmente alla sezione del provino.
I risultati potrebbero essere riportati in un diagramma carico-lunghezza ma in tal modo sarebbero influenzati dal diametro del provino. I valori di un test devono essere indipendenti dalla geometria del provino e validi per qualsiasi forma o dimensione.
Per questo si preferiscono misurare durante la prova lo sforzo s (o stress o engineering stress) e la deformazione e (o engineering strain o strain) definiti rispettivamente come:
MODULO DI ELASTICITA': Inizialmente, quando il carico ha un valore basso, il materiale si allunga elasticamente ovvero può riprendere la sua lunghezza originaria se il carico torna a zero. La curva segue, quindi, un andamento lineare rappresentato dalla legge di Hooke sigma = E e, in cui la costante di proporzionalità E è il modulo d’elasticità o di Young [MPa o Kg/mm2 ].
SNERVAMENTO:I valori di sigma che descrivono il tratto iniziale rettilineo, la cui pendenza è data da E, definiscono il campo elastico. Sopra un certo valore di sigma la deformazione aumenta: se questa rimane anche in piccola parte dopo che il carico è stato tolto, il materiale ha subito una deformazione permanente e si è entrati nel campo plastico; carichi più elevati conducono poi alla rottura del materiale.
Il limite di snervamento sy (yield strength) e’ lo stress al quale si passa dal campo elastico a quello plastico che generalmente coincide con il limite di proporzionalità P in cui la curva smette di seguire un andamento lineare. Spesso però questo limite non è determinabile con esattezza e allora si assume come sy quello che comporta una deformazione plastica dello 0,2% (offset yield strength o proof strength): esso viene determinato portando la parallela al tratto elastico iniziale della curva, in corrispondenza del valore s = 0,002, e vedendo a quale valore dello stress corrisponde l’intersezione di tale retta con la curva.
Il valore del limite di snervamento così ottenuto è un limite convenzionale perché spesso si è già nel campo plastico. La curva sforzi-deformazioni per certi acciai a basso contenuto di carbonio può presentare un doppio limite di snervamento: ciò accade poiché il materiale dovrebbe iniziare a deformarsi plasticamente allo stress s1 ma, in realtà, piccoli atomi interstiziali raggruppati attorno alle dislocazioni interferiscono con il loro movimento (che fa segnare l’inizio della deformazione plastica) il quale comincia solo ad un valore s2 detto limite di snervamento superiore (upper yield point). Solo dopo che si è raggiunto tale limite, le dislocazioni si muovono e l’allungamento del campione può avvenire sotto uno stress che può anche diminuire fino al valore s1 detto limite di snervamento inferiore (lower yield point). Da notare che nel tratto tra Z e s2, il comportamento è elastico ma non più proporzionale (vale a dire non segue la legge di Hooke).
CARICO DI ROTTURA: Superato σy si ha l’inizio di una deformazione plastica: tuttavia inizialmente questa deformazione è uniforme, ossia l’allungamento interessa tutta la lunghezza del provino e contemporaneamente si ha un’uniforme diminuzione della sezione (incrudimento). Il materiale diventa più resistente, lo stress necessario per deformarlo sale sulla curva ad un valore massimo σt (tensile strength) preso come misura della resistenza a trazione.
Nello stesso punto in cui si raggiunge σt avviene simultaneamente la strizione (necking), cioè l’allungamento successivo sarà localizzato in una zona precisa del provino (neck) che porterà ad una riduzione locale dell’area della sezione: si produrrà quindi una cricca che porterà il provino alla rottura in corrispondenza al raggiungimento dello stress di rottura σr (rupture strength).
Secondo la curva sforzi-deformazioni si avrà una diminuzione dello stress dopo la strizione sino alla rottura. Questo avviene perché, a seguito della riduzione della sezione, sarà richiesta una forza più bassa per mantenere una certa velocità di deformazione, ma lo stress verrà calcolato in base al valore costante dell’area originale A0, non tenendo cioè in considerazione che questa diminuisce' (cioè lo stress in realtà continua a salire).
Tuttavia bisogna osservare che una grossa differenza tra le due curve (reale e registrata dall’apparecchiatura di prova) si ha a partire dalla strizione, e considerando che nella progettazione si tiene conto del limite di snervamento (perché in genere non si vogliono deformazioni permanenti nei materiali usati), l’uso della curva convenzionale soddisfa in ogni modo le esigenze dell’ingegnere.
DUTTILITA'
Definita come il grado di deformazione plastica che un materiale può sostenere durante la prova di trazione sino alla frattura. Energia minima 27J. La duttilità di un materiale può venir espressa come:
FRAGILITA'
Approssimativamente potranno essere considerati fragili quei materiali che raggiungono la frattura per deformazioni inferiori al 5% e, proprio per questa loro caratteristica, risulterà difficile eseguire su di essi la prova di trazione.
RESILIENZA
La capacità di un materiale si assorbire energia sotto deformazione elastica per poi restituirla una volta scaricato. Questa proprietà è quantificata con il modulo di resilienza Ur il quale rappresenta l’energia elastica immagazzinata, per unità di volume, in un materiale affinché esso passi da uno stato di stress nullo al limite di snervamento.
TENACITA'
Quantifica la capacità di un materiale di assorbire energia sino alla rottura; il suo valore perciò sarà pari all’area sottesa dalla curva s-e sino alla rottura e si misurerà in J/m3 .
Affinché un materiale sia tenace esso deve essere sia resistente sia duttile, quindi i materiali duttili sono più tenaci di quelli fragili. Ciò lo si vede in Fig. 11: sebbene il materiale fragile abbia un più alto sy e st, la sua tenacità (cioè l’area ABC) e' minore di quella del materiale duttile (cioè dell’area AB'C'). Si tenga presente che per arrivare alla frattura sara' necessario un contributo di energia elastica ed uno di energia plastica, tuttavia al suo raggiungimento il primo verrà restituito.
SUPERPLASTICITA'
Capacità di alcuni metalli di deformarsi plasticamente al 1000-2000% ad alte temperature e basse velocità di applicazione di carico.
POLIMERI
I polimeri sono costituiti da lunghe catene aggrovigliate d’unità base dette monomeri ripetute all’infinito. Un elastomero è un materiale che può essere allungato fino ad almeno due volte la sua lunghezza originaria e una volta rilasciato torna alle dimensioni iniziali. In base a questo i polimeri possono distinguersi in gomme (elastomeri) e plastiche (rigidi). Quando una gomma viene sottoposta a trazione, le catene di molecole cominciano ad allungarsi e a districarsi in direzione dello sforzo, e il materiale si fa più rigido a causa delle aumentate forze attrattive tra le molecole, quando lo sforzo cessa, le catene ritornano al loro stato originario.
LEGNO
Il legno è un polimero naturale, formato da un materiale cellulare in cui le macromolecole sono orientate e cristalline, esso è completamente rigido a compressione fino a che la sollecitazione non provoca l’inflessione elastica delle pareri della cavità, al quale punto si può avere una considerevole deformazione senza notevole incremento della sollecitazione. In tali materiali considerevolissime deformazioni non lineari possono essere recuperabili; naturalmente, se la sollecitazione diventa sufficientemente alta, le cavità cellulari si schiacciano e la deformazione non può più essere recuperata. In trazione le pareti della cavità non possono flettersi elasticamente allo stesso modo.
CERAMICI
Hanno un comportamento tipicamente fragile, cioè hanno una deformazione elastica con una relazione lineare tra sigma e epsilon, se sottoposti sia a trazione sia a compressione, fino al punto di rottura: tuttavia mentre la resistenza a trazione è bassa e generalmente imprevedibile quella a compressione raggiunge valori elevati.
La durezza H -hardness è la resistenza che la superficie di un materiale oppone alla sua penetrazione. La prova di durezza è facile e rapida da eseguire, ed è economica. Non è una prova distruttiva, quindi può essere ripetuta in più punti del provino.
Durezza Brinell (HB)
In questa prova viene usato come penetratore una sfera del diametro di 10 mm d’acciaio indurito o di carburo di tungsteno(widia), la quale viene pressata sulla superficie del provino per un tempo standard (da 10 a 30 secondi) e sotto un carico costante fissato, che non deve essere impulsivo.
Secondo il tipo di materiale questo carico varia tra i 500 e 3000 Kg con incrementi di 500 Kg alla volta. Rimossa la sfera si misura, tramite un microscopio, il diametro dell’impronta lasciata in due direzioni ortogonali tra loro in modo da appurare se l’impronta è simmetrica o meno.
Richiede l’uso di provini con superfici lucide e piatte, inoltre lo spessore minimo del provino deve essere almeno otto volte la profondità dell’impronta e non deve essere troppo vicina al bordo. La durezza Brinell si calcola con la seguente equazione e sarà in funzione del carico applicato F e dell’area dell’impronta A:
Durezza Vickers (HV)
Per questo test si adopera come penetratore una piramide di diamante a base quadrata, sotto un carico fisso F, e si misurano le diagonali dell’impronta lasciata; il carico deve raggiungere il suo valore massimo entro 10-15 secondi e permanere per un tempo uguale.
La prova Vickers viene usata per materiali molto duri e pone uno spessore minimo di 1,5 volte la diagonale dell’impronta e sul carico da applicare il limite 5-120 Kg. La piramide Vickers, se adoperata con carichi molto bassi (da 1 a 1000 g), è usata anche per test di microdurezza, cioè per valutare la durezza di microcostituenti sfruttando le piccole dimensioni delle impronte; tuttavia, proprio per il fatto di dover misurare accuratamente piccole lunghezze, richiede che i provini abbiano una superficie lucidata e il più regolare possibile.
Durezza Knoop (HK)
Il principio di funzionamento è lo stesso di quella Vickers, ma viene usata una piramide di diamante a base rombica con un rapporto tra le diagonali 7 a 1. L’impronta lasciata, di profondità t, sarà un rombo allungato di diagonale maggiore l e minore b; la durezza si ricaverà mediante la seguente equazione dopo aver misurato l.
In genere, a parità di carico e materiale, le impronte Knoop sono due o tre volte più lunghe e meno profonde di quelle Vickers, è particolarmente indicato per misurare la durezza dei materiali molto fragili o molto sottili o induriti superficialmente. Inoltre presenta una maggiore facilità di lettura e una maggior rapidità. Anche questa prova, per i piccoli carichi (25 - 3600 g) e dimensioni delle impronte, è sfruttata per test di microdurezza in particolar modo sui tipi di materiali sopra citati.
Durezza Rockwell (HR)
In tale prova il penetratore può essere una sfera d’acciaio o, per materiali più duri, un cono con la punta di diamante con un angolo interno di 120°. Il carico usato e il tempo d’applicazione variano in base alle dimensioni e tipo di penetratore ed al suo utilizzo;
inoltre l’operazione di carico viene preceduta da una di pre-carico in modo da posizionare bene la punta sotto la superficie del provino impedendo così che le irregolarità della stessa influenzino la prova. Successivamente si misura la profondità t dell’impronta lasciata e si calcola la durezza con l’equazione corrispondente al carico adoperato.
La prova Rockwell è automatizzata, quindi trascende da errori dell’operatore e riesce a fornire il valore della durezza velocemente richi
Si definisce resilienza la capacità che ha un materiale di resistere alla rottura a flessione per urto.
PROVA DI IMPATTO - CHARPY
Un valore che è utilizzato comunemente per valutare la resistenza a creep ad una determinata temperatura è lo sforzo nominale che produce come effetto una velocità minima di creep pari a 10-5 %/h (percento/ ora). Il pendolo di Charpy consiste in una pesante mazza di 1-50Kg che scende per gravità da una certa altezza e incontra sulla sua traiettoria pendolare un provino standardizzato. Il corpo mobile rompe il provino e prosegue la sua corsa risalendo fino ad una certa quota. In pratica si valuta l’energia spesa per la rottura del provino.
Considerando la temperatura di transizione vetrosa si usano le sigle per indicare la temperatura del test, R (room-Tamb), 0 ( zero gradi) e 2 (-20°C). Un esempio è l'acciaio austenitico C.F.C. che ha una deformazione elastica anche a -270°C.
Il grado di resilienza di un materiale fornisce indicazioni sulle sue caratteristiche. Gli scopi dell'esecuzione di questa prova meccanica sono molteplici:
Orientamento sulla scelta dei materiali destinati a subire urti (incudine, mazza...) o dove la frattura fragile possa essere pericolosa;
Precisazioni dello stato di un materiale sottoposto a lavorazione plastica;
Quantificazione della temperatura sotto la quale il materiale è soggetto a frattura fragile.
Utile per verificare il comportamento del materiale in funzione della temperatura. Per esempio le leghe di alluminio fondono a circa 660 C ma la temperatura massima di utilizzo è di circa 120-150 C in quanto i precipitati che le rendono così resistenti, già a queste temperature (a causa dello scorrimento dovuto al movimento delle dislocazioni) iniziano ad ingrossare (effeto detto overaging), perdono del tutto la loro coerenza con la matrice e quindi le leghe degradano la loro resistenza.
PROVA DI CREEP: La prova consiste nel sottoporre un provino (geometrie simili a quelle della prova di trazione) ad uno sforzo costante e ad una certa temperatura costante. Quello che si registra è il tempo necessario per la rottura.
Dal grafico si possono distinguere 4 regioni:
Inizialmente il provino subisce una deformazione elastica.
Poi vi e’ una zona detta di creep primario in cui la velocità di creep tende a diminuire.
Questa zona e’ seguita poi da un creep secondario, caratterizzato da una velocità di creep costante.
La quarta zona (creep terziario) e’ caratterizzata da una velocità di creep crescente che porta velocemente il provino alla rottura.
I grafici delle prove di creep riportano sulle ascisse il tempo (logaritmico). Il creep primario e terziario sono zone caratterizzate da tempi molto brevi. Si ci focalizza sul creep secondario (steady state creep) perché questa fase è quella che caratterizza quasi tutta la vita del componente a quella temperatura. Il parametro più importante che viene determinato con la prova di creep è la pendenza della retta che ci da il creep secondario, De/Dt. Viene chiamata steady state creep rate e indicata con Es.
Questo parametro viene ad esempio usato nella progettazione di componenti che devono funzionare per decenni come ad esempio nelle centrali nucleari. In applicazioni a piu’ breve termine, molto spesso si usa piu’ frequentemente il tempo totale per raggiungere la rottura.
Per la steady state creep rate l’equazione che lega stress e temperatura e’:
dove K e n sono costanti tipiche del materiale (3<n<8), s e’ lo stress applicato, R la costante universale dei gas, T la temperatura assoluta, Q l’energia di attivazione del processo.
Come si può vedere sia lo stress che la temperatura influenzano il creep e un loro aumento fa crescere sempre la velocità di creep ma la temperatura lo influenza in modo esponenziale (un aumento di soli 20 C puo’ talvolta raddoppiare il creep).
Se controlliamo l’equazione possiamo ricavare che:
A stress (carico) costante la deformazione si accumula nel tempo.
A deformazione costante, lo stress cala nel tempo. Questo è il motivo per cui per applicazioni ad alta temperatura le viti o i serraggi vanno controllati e stretti regolarmente.
La deformazione conseguente al creep è causata da due fenomeni:
Movimento di dislocazioni
Diffusione di atomi e vacanze verso i bordi di grano
L’ effetto finale di questo fenomeno per un osservatore è come se la dislocazione si fosse spostata. Le dislocazioni così facendo possono superare ostacoli come i precipitati, effetti di solution hardening e l’eventuale ostacolo dovuto all’interazione delle dislocazioni stesse.
PALETTE PER TURBINE A GAS
i progettisti cercano di aumentare la temperatura di uscita dei gas caldi per aumentare il rendimento. Questo però crea grossi problemi di creep nei materiali delle palette.
La temperatura limite della combustione del carburante è circa 2000 C
La temperatura dei gas di combustione è circa 1200 C
La temperatura di fusione delle superleghe al nickel e’ di poco superiore ai 1250-1300 C
I materiali per palette di turbina devono soddisfare a molte esigenze:
Resistere ad alte temperature, quindi buona resistenza al creep
Resistere agli urti, quindi elevata tenacità
Resistenza alla corrosione e erosione
Resistenza agli shocks termici
Devono essere leggeri possibile, quindi bassa densità
Un alto punto di fusione
Elevato modulo di Young
Basso coefficiente di diffusione (per impedire lo scivolamento delle dislocazioni.
Poiché il coefficiente di diffusione dipende dalla struttura cristallina del metallo sono da preferirsi metalli che cristallizzano nel FCC rispetto a quelli che cristallizzano nel BCC struttura molto più aperta.
Il nichel e il cobalto (problemi di ossidazione) rappresentano i migliori candidati per la realizzazione di componenti per alte temperature. Inoltre come già detto è di fondamentale importanza la struttura a livello microscopico. E’ preferibile produrre strutture eutettiche con grani grossi o meglio ancora monocristalli al fine di minimizzare l’influenza della diffusione. Sempre per questo motivo può essere utile introdurre dei precipitati per bloccare il moto delle dislocazioni. I più usati sono (MoC, Ni3T, e soprattutto Ni3Al che è un precipitato coerente che riesce a dare resistenze al creep elevatissime.
Al decollo di un aereo civile una paletta è sottoposta ad uno stress di circa 250 MPa, queste palette devono resistere a questo stress mentre vengono testate a 850 C. I materiali attualmente usati sono una vasta famiglia chiamata superleghe al nickel. La prima lega di questo tipo nota come NIMONIC 75 si poteva usare solo fino a 750 C ed è stata brevettata nel 1940.
Tutti gli elementi aggiunti hanno un loro preciso ruolo nel bloccare il moto delle dislocazioni e quindi nel rallentare il processo di creep. W, Co, Nb (e ora anche il Re) rinforzano la matrice per soluzione solida Cr, Al danno ossidi stabili sulla superficie delle palette per migliorare la resistenza all’ossidazione Al, Ti, Ta danno precipitati coerenti e molto stabili con la temperatura W, B, Ti, Cr danno precipitati (carburi) che non sono coerenti ma comunque sono abbastanza stabili con la temperatura B, Zr “induriscono” il bordo dei grani e quindi riducono lo scivolamento di un grano sull’altro La, Th, Y sono delle “novita’” non si sa bene come ma rendono piu’ stabile lo strato di ossido anti ossidazione.
L’evoluzione, negli ultimi anni è stata: palette in lega policristallina, palette in lega eutettica o colonnare palette in monocristalli
Il creep porta a rottura un pezzo applicando un carico costante, inferiore al carico di snervamento ma comunque ad una certa temperatura. La fatica porta a rottura un pezzo applicando (anche a temperatura ambiente) carichi alternati ma comunque ognuno di essi inferiore al carico di snervamento.
L’uomo ha sempre saputo che si poteva rompere un pezzo di legno o di ferro sottoponendolo a flessioni ripetute e di segno opposto ciò nonostante il fenomeno della fatica fu’ individuato e studiato solo tra il 1860-1870. Si reputa che circa il 90 % delle rotture di materiali metallici sia dovuta alla fatica.
Per rendersi conto della frequenza con cui queste parti meccaniche vengono sollecitate basti pensare che in 200 ore di volo un albero di un motore di un aeroplano compie più di 25 milioni di giri.
La rottura per fatica si innesca di solito in un punto di concentrazione degli sforzi come un intaglio, un angolo acuto o in corrispondenza a inclusioni o a difetti
metallurgici. La frattura a fatica è particolarmente insidiosa proprio perché durante questa fase di progressivo avanzamento non da all’esterno alcun segnale premonitore come ad esempio una deformazione plastica che possa in qualche modo far presagire la rottura. Infatti i primi studi furono fatti sugli assi delle vetture ferroviarie e le prime equazioni sul fenomeno si devono a Wohler ingegnere capo delle ferrovie bavaresi. Wohler dimostrò che la vita a fatica di un componente può venir caratterizzata riportando in un grafico il numero di cicli necessari per avere la frattura (logaritmico) in funzione dello stress di trazione massimo per ogni ciclo. Si assume che ogni ciclo sia uguale, nelle applicazioni quotidiane non è vero, ma in laboratorio si applica questo metodo.
La prova consiste nel sottoporre un provino cilindrico ad una rotazione applicando un carico di flessione. In questo modo si hanno cicli di flessione alternata e si registra quanti cicli sono necessari per la frattura.
Cambiando ogni prova il carico si può tracciare la curva di Wohler detta anche curva S-N (S=stress, N=numero di cicli). Si può vedere dalle figure sottostanti che le leghe ferrose (acciai e ghise) hanno un limite a fatica. Cioè esiste un valore dello stress al di sotto del quale il materiale in teoria può resistere indefinitamente. Per tutte le alter leghe metalliche questo limite non esiste e allora convenzionalmente si sceglie lo stress che si ottiene dalla curva di Wohler a 108 cicli. Lo stress applicato al provino durante la prova a fatica (Wohler) si determina usando:
Dove s è lo sforzo misurato in (MPa), l è la lunghezza del provino (mm), d il diametro del provino (mm), F il carico applicato (N).
E' irrealistico supporre che tutti i cicli di carico siano uguali (prova di Wohler), attualmente le nuove tecnologie permettono di effettuare prove a fatica cambiando i cicli di carico per renderli più simili a quelli reali.
ASPETTI MICROSCOPICI DELLA FRATTURA A FATICA
Quasi tutte le fratture a fatica hanno lo stesso aspetto:
una zona iniziale (che si può estendere anche per il 90% della superficie resistente) di propagazione lenta della cricca. L’aspetto di questa zona è tipico, molto lucida e di forma semicircolare. Viene chiamata mirror o specchio. Questo aspetto è dovuto al fatto che le due superfici della cricca sono direttamente a contatto e sono soggette a continuo sfregamento durante ogni ciclo.
La seconda zona ha un aspetto rugoso e grezzo ed è la zona di propagazione veloce della cricca e del cedimento di schianto del componente. Se l’apice della cricca si muove con velocità variabile (ci possono essere ad esempio periodi in cui il componente non viene caricato perché la struttura non lavora) all’interno della prima zona (mirror) si vengono a formare delle linee dette di arresto o di spiaggia. Il difetto da cui si propaga la frattura è quasi sempre superficiale quindi la finitura superficiale del pezzo è fondamentale per aumentare la vita a fatica.
Rugosita’ (mm) Vita a fatica (cicli)
Pezzo dopo tornitura 2.67 24 000
Lucidato a mano 0.15 91 000
Lucidato con carta vetro 0.13 137 000
Lucidato con grana sottile 0.09 217 000
Lucidato con pasta diamante 0.05 234 000
Spesso proprio per migliorare la finitura superficiale si effettuano operazioni che introducono stress di compressione sulla superficie del pezzo. Una di queste tecniche è chiamata shot-peening e consiste nello “sparare” sferette tutte uguali di vetro contro la Mirror Difetto di partenza.
La deformazione plastica causata dagli urti crea uno stress residuo di compressione sulla superficie del pezzo che limita la possibilita’ di propagazione dei difetti.
REGOLA DI MINER